martedì 21 maggio 2024

La penna del Greco: POVERE…OVA! ( di Nino Greco)

     Un piccolo  e gustoso pezzo di  bravura e di colore di Nino Greco, che ritorna anche su questo spazio con la sua penna incisiva e appassionata del nostro modo di  esprimerci  e di colorare il parlato con esclamazioni che solo l'Aspromonte può comprendere e usare. Grazie!(Bruno Demasi)
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    La settimana santa era ormai prossima e Catuzza era in ritardo: doveva fare provvista di trenta uova da portare la Domenica delle Palme alla padrona della vigna, così com’era di prassi ogni anno prima di Pasqua. Lei di galline ovaiole ne aveva solo tre e le teneva nel pezzo d’orto libere di beccare e di nutrirsi in maniera del tutto naturale anche se ogni giorno, specie per radunarle, le ingolosiva con qualche junta di dorindia. Per quanto potessero fare uova in maniera puntuale, e non sempre accadeva, sarebbero serviti parecchi giorni per racimolare la quantità di uova necessaria per rispettare quello che era divenuto più un uso che un onere. 

   Non c’era nessuno impegno contrattuale, la partita di vigna della Reggia era stata concessa a’mmitati, per meglio dire: metà del mosto prodotto al padrone e metà al colono. Il colono ci metteva il lavoro per la coltura e il necessario per i trattamenti (zolfo e verderame) il padrone di suo ci metteva la vigna. Il dono delle trenta uova a Pasqua era un’abitudine maturata negli anni per volere della Gnura e Catuzza mal sopportava quella consuetudine, ma per quieto vivere e perché non voleva compromettere il rapporto di colonia avviato dal padre, poi continuato da suo marito, si era adeguata. 

   Pasqua incombeva e Catuzza, non potendo fare fronte all’impegno con le sole uova prodotte dalle sue tre galline, aveva dato parola ed era riuscita a farsene vendere altri venti da commare Concetta, sua vicina di orto che di galline ne aveva un buon numero e che allevava sia per l’uso personale sia per la vendita. Era il periodo di maggiore richiesta di uova: tutte le famiglie anche le più povere si davano da fare per la preparazione delle gute di Pasqua e durante la Settimana Santa i vicoli, nei pressi del forno di Meluzza, erano saturi del profumo di quel dolce semplice e buono. Le cataste di rrami ordinate sul marciapiede in base alle prenotazioni del forno erano il segnale che la Pasqua si stava avvicinando.
 
  La mattina della Domenica delle Palme, così come faceva ogni anno, Catuzza si avviò col paniere di virga al braccio con le trenta uova coperte da un sarbetto verso la casa della padrona; oltrepassò la Villa Ferraris e percorse ancora un tratto di Corso in direzione Tresilico. Pigiò il campanello e dopo pochi attimi la porta si aprì e comparve la Gnura:
- Trasiti!
   Catuzza salutò e percorse il breve vialetto che portava all’uscio , entrò seguendo la padrona di casa che nel frattempo aveva aperto la porta della cucina. - Sono trenta le uova? – chiese perentoriamente.
- Sì, sono trenta - rispose Catuzza.
   La Gnura levò il sarbetto e cominciò a sbirciare dentro il paniere.
- Contiamole – disse - senza avvertire nemmeno l’ombra di un leggero imbarazzo per la sua sfacciata malfidenza.
   Catuzza cominciò a tirarle fuori e a contarle poggiandole con accortezza dentro uno sciatameju preparato apposta per accoglierle. La padrona seguiva attenta le operazioni con occhio esaminatore e con il braccio che teneva perennemente al fianco a causa di una malformazione che si portava dietro dalla nascita.
- Le uova sono trenta, ma non fanno nemmeno per quindici! - esclamò, senza risparmiare il carico d’indignazione che traspariva dal suo volto affilato e burbero - sono piccole! Sembrano uova di quaglia! Che me ne faccio adesso? - Continuò inalberata -  Già ve l’avevo detto l’anno scorso che le uova devono essere fresche e grosse, non di piccione!
- Signora, scusate, ma le uova sono come le fanno le galline, non le faccio io, le ho comprate e in questo periodo è difficile anche trovarne - rispose Catuzza, cercando di mantenere la calma per evitare ulteriori polemiche.
- Nessun pasticcere le vorrà comprare tanto sono piccole! – aggiunse la Gnura.
- Ah! Le uova che vi porto ogni anno le vendete alle pasticcerie? - Chiese Catuzza meravigliata.
- Certo che le vendo! E poi a voi che interessa? - rispose stizzita la padrona mentre Catuzza riponeva nel paniere le uova poco prima tirate fuori - Ecco, riportatevele e dite a chi ve le ha vendute che le volete più grosse e tornate domani! 
 
   Catuzza annuì , ne rimise venticinque nel paniere e le coprì col sarbetto; le altre cinque le lasciò sul tavolo della gnura e si avviò verso l’uscita. Quando giunse davanti alla porta rimasta aperta si girò altèra e sdegnata :
- Queste uova le userò per fare i guti ai miei figli, avete fatto bene a rifiutarle. Con le cinque che vi ho lasciato, fatevi una frittata alla mia salute, dato che non potete ricavarne dei soldi, ma state attenta che non vi facciano male…
   La gnura ,offesa, cercava di interrompere il discorso di Catuzza che però era ormai un fiume in piena:
- Oh, povere ova…!!! Dovevo immaginare che a voi servivano solo per venderle: se avessi saputo vi avrei portato le trecento lire che ho speso per comprarle, come elemosina. “E’ poviru chiju chi voli sempri i cchiu…!” E d’ora in poi sperditivi l’ova: l’anno prossimo né grosse né piccole né di gallina né di papera … e manco di piccione! Bona Pasca!