di Bruno Demasi
A osservare oggi con occhio disincantanto quel che resta (ed è ancora tanto malgrado la criminale incuria antica e attuale di chi avrebbe dovuto preservarla dai danni arrecati dal tempo e dalla mano dell’uomo) della fortezza tanto imponente di Oppido nella sua ultima edizione angioino-aragonese, viene da chiedersi non solo quale fosse la sua fisionomia a guardia del Castron in età bizantina, ma quale e quanta parte di popolazione essa governasse e/o proteggesse dall’alto dei suoi bastioni. Si presume un insediamento sempre consistente lungo i secoli sia pure in rapporto alla irregolarissima densità abitativa di queste contrade dall’età bruzia almeno fino all’abolizione della feudalità, ma, a ragion veduta, dobbiamo pensare che ad epoche di discreto popolamento della zona siano succeduti momenti di spopolamento quasi totale e di abbandono in gran parte inspiegabile e che con ogni probabilità il periodo di massima densità abitativa e di maggiore ricchezza sociale e amministrativa di Oppidum (ribattezzato Hagia Agathè) vada individuato nel periodo della seconda colonizzazione greca, che passa sotto la denominazione di ” periodo bizantino”.
Discorso a parte , anche sotto questo aspetto, meriterebbero il periodo bruzio-ellenistico e quello coevo alla Roma repubblicana nel corso della lunghissima vita di questa città, con ogni probabilità la Mamerto di cui parla Strabone, posta a mezza strada tra la colonia di Locri e Region, primo nucleo abitativo di quell’Oppidum, sorto in seguito più a monte, di cui ancora vediamo le fastigia nella loro tessitura tardo imperiale e poi medioevale. Non si hanno comunque notizie rilevanti sulla consistenza della popolazione di questa città neanche nei primi secoli dell’era volgare, sebbene gli scavi di Paolo Visonà abbiano documentato il passaggio accanto ad essa di un ‘importantissima via di comunicazione tra la costa tirrenica e il dromo, che percorreva la dorsale aspromontana con il suo punto di forza nella forezza di Tavola, e da esso alla costa ionica. Si trattava di una imponente strada risalente all’età tardoimperiale ( IV- V secolo d. C.) ancora oggi leggibilissima con i sepolcreti ai suoi margini secondo l’uso romano.
Subentra a questo punto l’interesse di Bisanzio per il territorio di Oppidum già all’epoca della spedizione sfociata nella famosa guerra Greco-Gotica (535-553 d.C). E solo pochi anni dopo si avverte confusamente l’eco dell’arrivo dei Longobardi a minacciare il Ducato di Calabria che comprendeva anche parte della Puglia e aveva capitale prima ad Otranto poi a Reggio. Da ricordare infatti che l’espressione “ Calabria “ nella sua originaria valenza latina indicava inizialmente l’attuale Salento, ma i Bizantini in epoca giustinianea lo unificarono con la Calabria attuale deando vita al cosiddertto “Ducato di Calabria” nel VI secolo. Nel frattempo il Salento, conquistato dai Longobardi, prendeva il nome di Terra d’Otranto. Mentre i Longobardi avanzavano, la Calabria rimaneva territorio bizantino ancora nell’VIII secolo e in quello successivo si estendeva da Reggio a Rossano, mentre il resto della regione fisica, l’attuale area del cosentino, restava territorio longobardo.
Nei primi decenni del IX secolo gli Arabi sbarcavano in Sicilia e solo in qualche decina di anni conquistavano l’isola che diventava territorio musulmano. Anche la Calabria era a tal punto minacciata. Una nuova spedizione bizantina sbarcava sull’attuale costa crotonese sul finire del IX secolo e riconquistava la parte nord della Calabria, compresa Cosenza. Ne è testimonianza la nascita nella zona di vari monasteri e chiese di rito ortodosso. E risale proprio agli albori del X secolo la conquista araba di Taormina e Reggio e soprattutto l’accordo tra Arabi e Bizantini per il versamento da parte di questi ultimi di un tributo annuo in cambio della pace. Un accordo che comunque non produceva frutti consistenti, se è vero che, proprio in questo scorcio di tempo, larga parte del territorio calabrese diveniva teatro di sanguinose scorrerie saracene ad opera di manipoli di esaltati che partivano frequentemente dalla Sicilia fino a dare vita molto presto alla marcia su Region, abbandonata dalla popolazione insieme a molti piccoli centri del suo entroterra, tra cui Sant’Agata, e si spingevano fino a Gerace sottomettendola nel sangue.
Risale plausibilmente a questo momento il ripopolamento bizantino di Oppidum che, secondo la consuetudine greca, viene ribattezzato col nome di un santo, nella fattispecie quello di Sant’ Agata (Hagia Agathè), con la presenza dei transfughi già stanziati nei dintorni di Region che si rifugiano nell’antico insediamento multietnico e multireligioso dell’Aspromonte pressochè abbandonato e vi creano, su una preesistente e rudimentale fortificazione, un castron capace di garantire per la sua posizione una relativa tranquillità alla sua popolazione ormai mista che nel ricco insediamento del mellah più a valle trova fonte di vita e di sostentamento.
Lo scoppio di una guerra civile in Sicilia nel 1031-32 pone fine alle incursioni saracene in Calabria e un relativo periodo di pace e di convivenza tra Bizantini e Arabi, durante il quale il popolo del mellah a valle di Hagia Agathè può paradossalmente entrare e uscire liberamente nella rocca bizantina e vivificarla. E’ questo il momento fotografato dalle donazioni dei privati al vescovo riportate sulla pergamena scoperta e pubblicata da Andrè Guillou ( A. Guillou: La theotokos de Hagia Agathè – Oppido - , L.E.V., Roma, 1972) che ci consentono con sufficiente rigore di conoscere la composizione della popolazione nella Oppido degli anni 1050 – 1064/65 e che documentano come all’epoca il ripopolamento fosse ormai ampiamente avvenuto. L’ attenta e meticolosa analisi dello studioso francese (Ibidem) documenta in modo scientifico quale fosse la composizione della popolazione di Hagia Agathè (Oppidum) nel quindicennio considerato:
- per il 70% Greci;
- per il 17% Latini;
- per il 13% Arabi.
All’interno di queste percentuali ovviamente andrebbero individuate delle subpercentuali di popolazione armena ed ebraica residente o transeunte, prevalentemente di nazionalità o naturalizzazione greca.
I nomi di origine latina (molti dei quali ellenizzati nella terminazione) rispetto a quelli greci sono percentualmente pochi e indicano a quale livello di spopolamento fosse giunto il Terrritorio prima dell’arrivo dei Bizantini. Ecco i più ricorrenti dei quali, al contrario di quelli greci, si è persa quasi traccia: Aukarienos/ Aucarius (allevatore d’oche) ; Berbikarès/ Berbicarius/ Vervicarius (pastore); Egidaris/ Egidarius; Gemellarios/ Gemellus; Koloradès/ Coloretum (bosco di noccioli); Makellarès/ Macellarius; Masaritès/Masura (mugnaio); Oursos; Ploutinos; Tilirikos / Tilia (tiglio).
Complessivamente la ricchezza e la varietà dei nomi indicano dunque un ripopolamento del castron oppidese estremamente significativo e un volume di traffici commerciali e di rapporti sociali di tutto rispetto.,
Quanto ai toponimi le percentuali individuate dal Gouillou mantengono sostanzialmente lo stesso andamento di quelle relative ai nomi, ma il misero 4% attribuibile ai toponimi di origine araba ( due soli: Avaria/ Abariah e Nardon) indica chiaramente la pervasività dell’elemento graco che addirittura assurge al 71%, facendo chiaramente intendere che l’elemento bizantino nel volgere di pochissimo tempo ribattezzò quasi completamente non solo la città in sè, ma quasi tutti i luoghi di nuova giurisdizione. Precisamente:
- Toponimi di origine greca: 71%;
- Toponimi di origine latina: 25%;
- Toponimi di origine araba: 4%.
Questi i toponimi greci: Boutzanon ( barile); Dadin (torchio); Dapidalbòn ( stabile) Hagia- Agathè; Kannabareia ( canapa); Lakoutzana (palude); Lychnos ( lampada); Mystritzena ( cucchiaio di legno);Plagitana (terreno incolto); Kellibitzanos (cenobita?) Skidon (scheggia di legno); Spitizanon (luogo ospitale); Photakei; Katasykas (albero di fico); Myrosmas( deposito di salgemma?); Nomikisès; Sikelos e Sikron (unità di misure ebraiche): Sinopolis..
I toponimi di origine latina scampati alla tempesta iconoclasta greca e presenti nelle donazioni sono invece pochissimi:; Radikèna; Roubiklon(quercia); Salinae; Friguriana; Oppidon.
Paradossalmente qualla che doveva essere una vera e propria occupazione di una città in decadenza, si rivelò per Oppidum, nella sua nuova denominazione intitolata alla Santa siracusana per eccellenza, una rinascita vera e propria, forse il periodo di massimo splendore . La città sotto il dominio bizantino crebbe a dismisura sul piano sociale, economico, strategico e culturale con la sua rigida, ma efficace stratificazione piramidale della popolazione. Al vertice il vescovo, capo assoluto della città e dell’intera Tourma delle Saline, quindi preti, strateghi, monaci, arconti, funzionari governativi e amministrativi di ogni genere,militari, contadini e allevatori di bestiame. La mercatura, l’artigianato, la tintoria e la tessitura , la farmacopea, la medicina invece erano affidatate agli Arabi e agli Ebrei del mellah di Oppidum e di tutti i mellah che costituivano contemporaneamente la fogna e il grande tesoro di ogni centro abitato dell’intera Tourma.