mercoledì 24 ottobre 2018

CALIGOLA E L’ANTICO PORTO DI REGGIO

 di Felice Delfino
 Una situazione storica apparentemente poco significativa, eppure eloquentissima: il porto di Reggio Calabria, stando alla sua vocazione geografica, nel tempo avrebbe potuto e dovuto avere ben altre attenzioni e risorse da parte delle rotte commerciali mediterranee. Ciò appare ancora oggi evidente, ma la situazione non evolve rispetto al passato. Felice Delfino, storico della grande eredità ebraica dei nostri paesi e della nostra terra , riprendendo Giuseppe Flavio, parla di una chanche perduta, na che - chissà - forse potrebbe essere rispolverata da qualcuno ancora oggi...!(Bruno Demasi)

     Strano destino quello del porto di Reggio Calabria: da sempre suscita gli interessi di governanti e governatori vari, ma da sempre rimane marginale non solo nello scenario del Mediterraneo, ma addirittura in quel crocevia di traffici e commerci che è lo Stretto di Messina.
    Ne è testimonianza, tra le tante possibili, il progetto che per questo porto aveva messo in cantiere uno degli imperatori romani più discussi, quel Caligola passato alla storia per le sue stravaganze prima ancora che per i suoi meriti e i suoi demeriti. 

    L’Impero Romano è stato un Impero vastissimo che richiedeva necessariamente la presenza di un uomo forte che detenesse il potere e che lo mantenesse saldo . Non era dunque raro che gli imperatori si comportassero in maniera spietata e con una violenza inaudita. Alcuni di loro comunque è accertato che soffrivano di una patologia che in qualche modo garantìva loro il potere : la sindrome borderline; un disturbo della personalità collocabile nella linea di confine tra la nevrosi e la psicosi. Anche il dictator e poi dictator vitae, Caio Giulio Cesare, ne era affetto, tanto da alternare momenti di megalomania  a momenti di più dignitosa sobrietà.
    Altri nomi illustri interessati da tale patologia furono quelli erano Caligola e Nerone, entrambi borderline.
    Con Caligola il potere divenne assoluto , tanto che egli arriva a spacciarsi presso i Greci come figlio di Apollo e presso gli Egiziani come figlio del dio Aton; volle inoltre che a Gerusalemme si collocasse una sua statua e che gli ebrei l’adorassero.
    Tuttavia, Caligola oltre ad essere ricordato per le sue stranezze o follie o stravaganze, come i bagni nell’oro oppure i banchetti a base di carni ricoperte d’oro , e’ ricordato anche per l’idea di ristrutturare ed ampliare il porto di Reghion, facendo della citta ’ il punto di arrivo dell’annona egiziana, vale a dire del flusso di grano che veniva imbarcato ad Alessandria per nutrire la Capitale.     Lo ricorda lo storico di origine ebraica Giuseppe Flavio nella sua opera “Antichità giudaiche”. La soluzione avrebbe risolto il problema di sfamare milioni di persone perchè  il porto di Ostia era troppo piccolo ed inadeguato per recepire le tonnellate di viveri che vi arrivavano  e le navi cariche di grano dovevano attendere giorni se non settimane prima di attraccare. 

     L’idea di Caligola di far edificare il porto a Reggio era eccellente dato che, come diverse fonti attestano, esisteva una regolare rotta di navi che partivano da Alessandria e facevano scalo a Reggio e poi a Pozzuoli. Da Reghion a Roma il grano sarebbe arrivato via terra sfruttando la via Popilia. I lavori, come attesta lo stesso Giuseppe Flavio, non furono mai portati a termine per la morte di Caligola, che comunque scongiuro’ l’obbligo da lui atrocemente imposto agli Ebrei di adorare anche la sua statua. Rimase il porto che il tempo e le necessità spostarono gradualmente sulla parte nord del litorale reggino, ma non gli diedero mai il rilievo che forse avrebbe meritato. Men che mai oggi.

domenica 14 ottobre 2018

MA AI TEDESCHI L’AVETE DETTO CHE L’ASPROMONTE CHIUDE?

di Gioacchino Criaco


    L’esodo degli immigrati da Riace è solo il contrappunto triste di un esodo molto più ampio e dimenticato che ha spopolato da anni e sta ancora spopolando quel che rimane della vita della nostra terra: un dilavamento continuo dell’ humus antico sotto gli schiaffi , il vento, le piene della fame che lasciano a nudo solo pietre e ingrassano di braccia e di sangue terre più ospitali della nostra. Un crocevia di immigrati e di migranti che si incontrano ancora oggi su questa terra, appena appena gratificata dagli sguardi impietositi o impietosi degli osservatori esterni o dei tribuni del nord che vengono a spendervi le loro roboanti cartucce per rastrellare voti e battimani. A costoro il consenso servile e miserabile di tanta della nostra gente rimasta qui alla ricerca di scuse non per sopravvivere, ma per primeggiare, dopo aver distrutto le strade, la convivenza,  le scuole e persino il nostro orgoglio antico. Ci restano i musei o forse solo i ricordi dei ricordi , ma Gioacchino Criaco ancora una volta ci dice a cosa  possono servire… (Bruno Demasi)
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     Non voglio fare il guastafeste, la Calabria davvero custodisce un tesoro immenso, se le decine di tour operator scesi a Reggio porteranno migliaia e migliaia di turisti tedeschi sarà un fatto positivo, le nostre striminzite risorse economiche ne hanno bisogno. Certo, senza tante piaggerie, siamo più noi a fargli un favore, concedendogli di condividere una bellezza che così, alle loro latitudini, e ai nostri prezzi, non è semplice da trovare. 

     Chi verrà con rispetto ci darà una mano, e capirà che la rappresentazione che per anni è stata data della Calabria è sbagliata, e che ha privato molti di un bene immenso. Dunque merito a chi si è prodigato per la discesa tedesca. Però, in attesa della svolta, noi le cose dobbiamo dircele, senza offuscare la sacra immagine della nostra terra. Dobbiamo dircelo che fra le numerose cose positive un po’ di piaghe le abbiamo. Diciamocelo zitti zitti, fra di noi. confessiamocelo che una delle potenziali e maggiori risorse del territorio, l’Aspromonte, sta chiudendo, si sta inesorabilmente svuotando.
    E noi lo sappiamo che la cultura di cui portiamo vanto, quella greca, sopravvive solo su pochi balzi di Mana Ji, che la lingua in bocca ai Bronzi, in caso di resurrezione, sarebbe quella che è superstite a Roccaforte, Bova, Gallicianò, nella vallata dell’Ammendolea.

 Sussurriamolo allo Zefiro che da giugno l’ente di governo del parco d’Aspromonte non ha un presidente. Che le scuole chiudono e ragazzi e famiglie scendono in braccio allo Jonio in una diaspora che porterà tutti altrove, che Mimmo Lucano dovrà emigrare all’estero per accoglierci, integrarci e riunirci. Che, con un’ironia spicciola, la mia, potrei dire -con quello che si è speso per accogliere i tedeschi a Reggio, si poteva fare un progetto, pagare un paio di insegnanti e spedirli in montagna a tenere aperta la scuola di Roccaforte. Soffiamolo nelle orecchie di questo Stato che Roccaforte è l’occasione per dimostrare di esserci, di rivelare un’altra faccia, buona, oltre a quella che scioglie i Comuni, con mani che costruiscono e non solo legano e trascinano. 
     Sveliamo al principe della città metropolitana, che esiste un mondo oltre le mura di Risa, che si può passeggiare sul lungomare di Reggio e proseguire uscendo dalla città, per scoprire, insieme ai tedeschi la profondità della Grecìa calabrese. 

Ululiamo al lupo della Sila, che c’è una madre lucente che muore e i progetti milionari di ri-popolamento, a posteriori, risultano solo una beffa. Gridiamolo al popolo calabrese che Roccaforte è l’occasione per rifarsi comunità coesa, solidale, che accoglie lo straniero e protegge i suoi. Scriviamolo agli intellettuali calabresi che fare cultura non è solo scrivere, ma lottare. Diciamocelo in faccia che le uniche vette raggiunte dalla Calabria ci sono state solo ai tempi in cui i nostri scalatori in cima alla cordata erano i filosofi, non i procuratori o i prefetti. Perché se non ci diciamo la verità, è capace che i Bronzi davvero si risveglino, e non avranno parole di miele né per i tedeschi né per noi.