di Bruno Demasi
E
mentre i politici calabresi dei due maggiori partiti sono attanagliati da
atroci dilemmi su quale vecchio o nuovo partito riversarsi o su quale vecchio o
nuovo personaggio votare per le imminenti primarie, mentre le associazioni di
volontariato e le organizzazioni di solidarietà languono, nella Piana si continua a morire. Stavolta non per faide o per fatti delinquenziali e nemmeno sui barconi in balìa di correnti
e di furfanti approfittatori, ma solo per il freddo. O anche per il freddo.
E’
morto ieri mattina sul presto dopo aver trascorso una notte gelida a San
Ferdinando dentro una vecchia automobile, dove si era rifugiato perchè non
aveva trovato posto nella tendopoli
allestita per ospitare gli immigrati che lavorano come stagionali per
la
raccolta degli agrumi. Si chiamava Man
Addia, un trentunenne liberiano, giunto
, come tanti, dalle nostre parti carico di speranze, di fame e di voglia di
riscatto.
L’arido comincato ANSA ha informato
quasi subito che la la Procura della Repubblica ha disposto l’autopsia per accertare le cause
della morte di Man e per accertare se ci siano state responsabilità da parte del servizio sanitario, ma non ci interessa sapere cosa e
quando si accerterà: sicuramente i media
dimenticheranno persino di informarci in merito.
Che il giovane liberiano sia morto di freddo o a
causa di altre patologie pregresse, che l'intervento sanitario sia stato o meno tempestivo sono
fatti accessori.
Il fatto fondamentale è che un uomo sofferente e inerme , ancora una volta, non abbia trovato posto nemmeno sotto una tenda stracolma di disperati come lui e sia rimasto una notte all’addiaccio. E se si accerterà che era portatore di qualche patologia, ciò non servirà a scagionare le coscienze di nessuno. Anzi sarà un’aggravante!
Il fatto fondamentale è che un uomo sofferente e inerme , ancora una volta, non abbia trovato posto nemmeno sotto una tenda stracolma di disperati come lui e sia rimasto una notte all’addiaccio. E se si accerterà che era portatore di qualche patologia, ciò non servirà a scagionare le coscienze di nessuno. Anzi sarà un’aggravante!
Vorremmo che chi di dovere, e non a posteriori, controllasse come e
quanto si spende il denaro pubblico nei
vari luoghi di accoglienza di questi infelici, come e quanto ci si spende
per evitare ogni discriminazione e ogni
esclusione, come e quanto si garantisca a tutti , fra le mille e mille spese
immotivate della sanità pubblica, almeno qualche briciola di prevenzione
sanitaria di base o per il trattamento tempestivo
delle situazioni più gravi.
Fra
qualche giorno, ma già da oggi, di Man Addia non si parlerà più: un altro caso
da archiviare in fretta, senza funerali, dentro quattro tavole malamente connesse e a basso
costo,
in un cimitero qualsiasi , con un nome e
un cognome malamente e frettolosamente tracciati, che probabilmente nessuno andrà a cercare o a
leggere... Una vita vissuta ai margini della storia, trenta anni di sofferenza, il cui prezzo sarà ancora una volta inferiore allo zero,
nell’indifferenza di noi tutti.
Domani
i giocatori della squadra di calcio del Koa Bosco di Rosarno, composta da
immigrati di colore, giocheranno con la fascia nera al braccio in segno di
lutto. La decisione è stata presa per ricordare Man Addia, ma l’idea di giocare
col lutto al braccio ha anche lo scopo di denunciare ancora una volta a noi sordi
e a noi ciechi le condizioni estreme in cui
sono costretti a vivere gli immigrati che giungono nella Piana di Gioia Tauro
per lavorare come stagionali o ...per morire di fame e di freddo.