di Bruno Demasi
La lezione gramsciana è più che mai attuale per noi, qui, oggi, su questo
territorio sempre più abbandonato a se stesso : se dovessimo infatti
valutarne il futuro con lo stesso metro
e gli stessi elementi con cui si è costretti a valutare anche il suo recentissimo passato, non potremmo che
cadere e scadere ancora una volta nel pessimismo della ragione.
Basta analizzare solo due aspetti di fondo :
Il contesto sociale , economico e politico nella Piana
Sempre più sfilacciato e sempre più privo di
identità, il nostro contesto sociale che da un pezzo ha smarrito un sistema
valoriale proprio, oggi insegue spesso chimere di arricchimento facile ( o
forse anche solo di sopravvivenza) fornendo facilmente manovalanza, sommersa o
legalizzata che sia, al crimine. Enon solo al crimine targato ndrangheta…
I fondi comunitari, gli aiuti di governo,
che pure negli anni si nono stratificati e susseguiti con cadenza ed erogazioni
impressionanti, non hanno lasciato da queste parti il minimo segno di ripresa e
di sviluppo nell’indifferenza pressochè totale dei politici o delle agenzie
statali chiamate a un controllo ferreo dei mille tortuosi rigagnoli in cui tanto danaro ha trovato strada.
Non un solo nuovo posto di lavoro è stato
creato nella Piana in questo 2012 a
fronte delle centinaia che sino sono perduti: basterebbe effettuare un piccolo controllo nei luoghi
appropriati per accorgersi di quante piccole e piccolissime imprese in questi
ultimi due mesi dell’anno sono state costrette a chiudere o a dichiarare il
loro privato default.
Un sistema bancario, politico,
imprenditoriale che, parallelo a quello del crimine organizzato, passa sulle nostre teste in modo ormai
palesemente sfacciato, in una società-pollaio, che si azzuffa in continuazione
attraverso guerre di poveri e fra poveri. Il tutto nell’indifferenza del mondo
scolastico ormai asservito a mode e miti pedagogici improbabili, nella palude
di un sistema formativo di facciata, nell’urgenza delle nuove povertà – non
ultime quelle degli africani di Rosarno e di San Ferdinando – nell’incertezza
di un domani almeno vivibile, sia pure tra gli stenti del quotidiano. Il tutto
nell’arroganza di un sistema politico che continua ad autocelebrarsi e ad
alimentarsi in modo vorace e pilatesco, anche mediante l’opera di campieri e di
vassalli di palazzo che continuano a rimestare con rara maestria nel calderone
delle risorse non spese o spese malissimo.
Più
che lo sciocco volantinaggio che in questi giorni in qualche paese della Piana
vorrebbe muovere confuse e improbabili
accuse ai responsabili ai gradi più alti della nostra diocesi , preoccupa molto
invece l’analisi effettuata lucidamente
da F. Arzillo nei giorni scorsi sui nuovi “segni dei tempi” circa il futuro
della Chiesa,segni che per la nostra terra assumono una rilevanza assolutamente
grave.
Qui da noi l’identità ecclesiale , forse
più che altrove, si sta accartocciando su se stessa:tutte le posizioni tradizionaliste e progressiste postulano – sia pure in forme diverse – la
presa d’atto della fine della cristianità: i tradizionalisti a favore di un
cristianesimo che sopravviverebbe in minoranze combattive, isole felici del
tutto impermeabili alla cultura contemporanea; i progressisti inverandosi in
una sorta di “puro vangelo”, annunziato da una Chiesa minoritaria pronta a
celarsi come lievito nel mondo secolarizzato, assumendone per buona parte la
cultura.
Anche
le posizioni tipiche dei movimenti
ecclesiali sulla Piana incrociano
pesantemente questi due atteggiamenti,
pervenendo a posizioni di vario segno, accomunate comunque dalla medesima ,
pericolosissima convinzione di essere minoranza nella postcristianità.
Là dove il munus docendi, il munus regendi e
il munus sanctificandi coesistono e si esercitano senza mezzi termini e senza
mezze convinzioni la nostra gente accorre ancora a frotte per chiedere aiuto,
luce e benedizione…!
Là dove invece c’è stanchezza e ripetitività
di atteggiamenti, distanza dalle persone e dai loro problemi, là dove c’è
stucchevole o arrogante convenzionalità
e poco altro, là c’è l’abbandono progressivo e fatale della fede, che per le
nostre parrocchie sta assumendo dimensioni disastrose.
C’è tanto devozionismo popolare – è vero
– ma c’è anche tanta stucchevole rimasticatura di convegni, raduni,
convivenze,campi-scuola, pellegrinaggi onerosi, che isola sempre più i
presbiteri e le parrocchie dalla gente.
Mordersi la coda denunciando e
condannando il devozionismo tradizionale
per riproporne uno di ritorno che non ha neanche radici popolari (almeno
quelle) è un gioco perdente.
A tutti i livelli!
Non a caso nel pontificato di
Benedetto XVI la difesa della tradizione devozionale e l’annuncio di una fede
purificata e ricondotta al suo fondamento spirituale coesistono nitidamente e
trovano espressione nelle straordinarie omelie, che proprio per questo
assomigliano alle omelie dei Padri della Chiesa e di cui sentiamo tutti il
bisogno urgente!
. . .
Con l’ottimismo della volontà
dunque BUON 2013, Piana!