martedì 20 agosto 2013

PASQUINO CRUPI CI HA SALUTATO.



Anche la Piana gli è debitrice...!
(di Bruno Demasi)


    Ho voluto capovolgere la consuetudine: non siamo noi a salutare Pasquino, ma, conoscendolo,  è  stato lui a farlo, con un sobrio gesto del cappello, come sempre. Lo ha fatto ieri, poco più che settantenne, sul filo del mezzogiorno, dopo aver lottato a lungo contro una malattia che non perdona, dopo aver soprattutto lottato a lungo contro la  malattia del nostro Sud, della nostra terra, la patologia dell’indifferenza, del torpore, del tutto è permesso...

    "Meridionalista senza conversione" lo ha definito qualcuno, ma non aveva alcun bisogno di “convertirsi” a quella fede che fece ardere di impegno sociale i grandi meridionalisti storici, che lui ha venerato, a partire da quello Zanotti Bianco con cui ha condiviso la premura per gli ultimi di questa terra, ieri priva di alfabetizzazione scolare, oggi ancora paurosamente priva di alfabetizzazione sociale e politica, fino a quel Nicola Zitara, l’ultimo dei meridionalisti “convertiti”, cui Pasquino successe nella direzione del giornale “La Riviera”, strumento di grande crescita per la Locride, e non solo...

      Prima di conoscerlo personalmente, nei  primi anni
Settanta del secolo scorso lo conobbi da docente attraverso quella sua “Bibbia dei poveri”, un libricino di narrativa per la scuola media, nel quale, a più mani cercava di combattere l’analfabetismo culturale dei nostri ragazzi abbandonati a se stessi in tanti paesi della Provincia dopo una quinta elementare rabberciata a stento, quando la scuola media, malgrado venisse pomposamente definitia “scuola dell’obbligo” era ancora un miraggio per molti, forse tantissimi...

   La” Bibbia dei poveri”, antologia breve e commovente di narratori della nostra terra, diventava per tanti ragazzi della scuola media uno dei pochi libri che essi erano disposti ad “ascoltare” incantati, con gli occhi semichiusi, assaporando quelle gocce di Calabria e di Mezzogiorno che la scuola dell’obbligo, persa dietro improbabili programmi, evitava loro di dare. Un libro infallibile, anche con gli alunni più distratti e menefreghisti, tanto da afferrarne l’attenzione e l’interesse in modo miracolosamente rapido e suscitare in loro il desiderio di conoscere di più, di capire la nostra terra attraverso i suoi narratori e i suoi poeti.

    Un libro di narrativa che ho continuato ad adottare finchè è stato possibile e che mai, dico mai, ha tradito tra i banchi la sua missione di piccola semina di altrettanto piccole , ma preziose conoscenze di base sulla cultura, la storia e la vita della Calabria e della nostra provincia.

    Conobbi  di persona più tardi Pasquino Crupi e spesso lo invitai nelle scuole per parlare agli alunni e incantarli ancora con le sue  lezioni-racconto che avevano il sapore di una saggezza antica, quella dei padri, e di lui acquistavo gelosamente, avidamente ogni pubblicazione, condividendone sempre fino in fondo impostazioni e contenuti: I fatti di Melissa (Catanzaro 1976), Letteratura ed emigrazione (Reggio Calabria 1982); Processo a mezzo stampa (Venezia 1982); Stragi di Stato nel Mezzogiorno contadino (Cosenza 1985); Il giallo colore del sangue di Luino (Reggio Calabria 1990); Un popolo in fuga (Cosenza 1991); L’anomalia selvaggia-Camorra, mafia, picciotteria, ‘ndrangheta nella letteratura calabrese del Novecento (Palermo 1992); Benedetto Croce e gli studi di Letteratura calabrese (Cosenza 2003) e  la monumentale Storia della letteratura calabrese - alla quale si inchinò persino quel grande Antonio Piromalli, il primo storico della nostra letteratura calabra, maestro di Pasquino e di lui ammiratore instancabile - senza dimenticare:La
letteratura calabrese raccontata ai ragazzi; Buongoverno: commento alla Costituzione; La questione meridionale al tempo della diffamazione calcolata del Sud; Lezioni di letteratura calabrese dalle origini ai nostri giorni; Luna Rossa.

    Davanti al professore Piromalli Pasquino Crupi manteneva una venerazione inusuale e una soggezione da neofita e quando questi parlava, come accadde una volta in un seminario destinato agli allievi di una scuola, dove lo aveva accompagnato, egli si ritraeva, restava tra il pubblico, quasi un allievo che non osa sedersi accanto al suo maestro e che voglia continuare a imparare dalla sua viva voce ...

    Era l’umiltà vera di chi, “intellettuale in trincea”, come amava definirsi, ha continuato  a divulgare la nostra storia e la nostra cultura e ad amare e difendere questa contrade fino alla fine con la commozione del maestro   che presenta a chi non li conosce i poeti della sua terra, come nell’ eloquentissima  raccolta “Il Natale” ( Scendendo dalle stelle con i poeti del popolo) in cui ci presenta alla sua maniera alcuni tra i grandi poeti semisconosciuti che  “ci appartengono”: Michele Pane, Vittorio Butera, Napoleone Vitale, Ciardullo, Francesco Salerno, Giuseppe Coniglio, Giuseppe Morabito, Achille Curcio, Salvatore Borelli, Luciano Nocera, Antonio Zurzolo, Pasquale Favasuli, Franco Blèfari, Giovanni Favasuli. Bruno S. Lucisano, Totò Mediati.

    La Piana gli deve tanto, e non solo per l’attenzione da lui dedicata  ai narratori e ai poeti di questi paesi (dai Seminara ai Piromalli, ai Creazzo, ai Conia, e a cento altri che nella sua storia della letteratura hanno trovato posto e rilievo), ma anche  per la sua discrezione di intellettuale sobrio, non litigioso e vacuo, e soprattutto per le sue analisi sociali, storiche e politiche che Emilio Sereni ebbe spesso a prendere e ad additare a modello.


  La Piana gli deve anche molto quando egli scava e  scuote  dalle fondamenta, e senza mezzi termini le pieghe dellla geografia e della storia   di questa terra strana nel suo studio generale  sul paesaggio agrario calabrese e soprattutto nel saggio “ L’anomalia selvaggia-Camorra, mafia, picciotteria, ‘ndrangheta nella letteratura calabrese del Novecento , pubblicatogli entusiasticamente da Sellerio una ventina di anni fa  quasi a suggello di una incredibile personalità di  saggista e storico, meridionalista non convenzionale, uomo del Sud senza senza campanile.


Ciao, Pasquino!

Grazie!!!

domenica 11 agosto 2013

NASCE NELLA DIOCESI DI OPPIDO IL GRANDE SANTUARIO DELL’ANNUNCIAZIONE

     di Bruno Demasi
   Il 15 agosto, grandiosa festa cristiana dell’Assunzione in cielo di Maria, è anche quest’anno, o da quest’anno, in Oppido e in tutta la Diocesi, festa per  ricordare commossi quel piccolissimo ed immenso evento che è il fiat della fanciulla di Nazareth, da cui si sviluppano tutti i cardini della fede cristiana. La cattedrale della diocesi, a Oppido, diventa Santuario dell’Annunciazione, luogo di imponente statura architettonica e al contempo umile custodia di questo  stupendo segno e mistero di fede.

          
  Non possiamo non riconoscere in questo gesto altamente profetico e inatteso del vescovo, mons. Francesco Milito, che ha voluto con tutte le sue forze questo nuovo grande santuario e il conseguente gemellaggio con la città di Nazareth, l’impronta dello Spirito Santo , ma  , ci si augura, anche  l’inizio di un riscatto vero della diocesi e della Piana di Gioia Tauro  dalle orribili umiliazioni  e dalle  grandi ferite che la dilaniano e la opprimono.

       Come Maria SS.MA Annunziata nella sua assoluta semplicità ha saputo accogliere nel proprio grembo il germe santo  di una nuova era fondata sull’Amore e sulla Pace, così da questo nuovo santuario mariano che dall’alto domina tutta la Piana si possa costruire in queste contrade con umiltà e giustizia una nuova epoca di Pace e di Progresso per tutti!

   Questo post insolito viene illustrato dai video di alcuni  canti mariani più belli,a partire dall’Akatistos, forse il più antico e il più completo, che nella parabola della vita terrena  della Vergine Maria, racchiusa tra il momento dell’Annunciazione e quello dell’Assunzione in cielo, canta in modo sublime la storia intera della Redenzione e ci consente in qualche modo, nella nostra pochezza, di individuare alcune tra le ragioni storiche, teologiche e culturali di questo evento profetico per il popolo di tutta la Diocesi.

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   Per la cattedrale di Oppido Mamertina, almeno fin dall’epoca bizantina, la simbiosi commovente tra l’icona dell’Annunciazione e quella dell’Assunzione era scontata ed ancora oggi la chiesa cattedrale, dedicata alla Madonna Assunta, è impregnata in tutte le sue pieghe più recondite dal culto e dalla venerazione di Maria SS.Ma Annunziata. Celebrare questi due momenti della vita di Maria nello stesso giorno di agosto è dunque occasione speciale, decisione fortemente carismatica, supportata da ragioni non certo effimere o estemporanee. Sono Sicuramente le ragioni della Fede e dell'Evangelizzazione concreta, diremmo "in situazione", quelle che animano il Vescovo, ma nel nostro pensiero sono anche le ragioni della speranza che questo grande lembo di Calabria possa iniziare a pensare sul serio  anche a un proprio riscatto morale e civile.

     Nel dogma dell’Assunta viene celebrata la biografia totale di Maria, che dall’umiltà della scena dell’Annunciazione giunge a partecipare in pienezza alla gloria del Dio tre volte Santo: la bellezza che si affacciava a Nazaret nella giovane donna coperta dall’ombra dell’Altissimo, risplende ora, dopo l'Assunzione corporea in cielo, nella Sposa delle nozze eterne.                                                                Scriveva Giovanni Paolo II in una sintesi mirabile di Fede, Teologia e amore per Maria, cui aveva voluto donarsi "tutto" persino nel suo stemma pontificio: “Colei che all’ Annunciazione si è definita ‘serva del Signore’, è rimasta per tutta la vita terrena fedele a ciò che questo nome esprime...

   Per questo, Maria è diventata la prima tra coloro che, servendo a Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducono i loro fratelli al Re, servire al quale è regnare, ed ha conseguito pienamente quello stato di libertà regale, proprio dei discepoli di Cristo: servire vuol dire regnare! Cristo, fattosi obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre, è entrato nella gloria del suo Regno… Maria, serva del Signore, ha parte in questo Regno del Figlio. La gloria di servire non cessa di essere la sua esaltazione regale: assunta in Cielo, ella non termina quel suo servizio salvifico, in cui si esprime la mediazione materna, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti”( enciclica Redemptoris Mater § 41).


     La Tutta Bella, assunta in cielo, si offre in tal modo ai credenti  della Piana  ed all’umanità intera come segno di sicura speranza e pegno della partecipazione futura alla bellezza eterna, che in Lei si è resa visibile nel Figlio. Maria ci mostra la meta, cui dobbiamo tendere, e la via, che lei per prima ha percorso: “In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel tempo. Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne… ascolto attivo, che interiorizza, assimila, ed in cui la Parola diviene forma della vita” (Benedetto XVI,  Verbum Domini, 2010, 27).

     Attraverso il fiat della piccola  Vergine – Madre di Nazareth  il Verbo è  entrato  nel tempo: e sarà grazie alla fede di cui Lei è modello che il tempo potrà entrare nell’eternità, come vi è entrata Lei in pienezza nella sua assunzione corporea, quale segno e profezia per tutti noi che sicuramente abbiamo smarrito, specialmente dalle nostre parti, il valore del sacrificio, del lavoro e della fatica quotidiana, nobili strumenti di cooperazione al Bene e al bene comune!

  
      Ecco perchè – ne siamo convinti -  il Vescovo e la Chiesa della Piana di Gioia Tauro  vogliono guardare a Maria Annunziata ed Assunta in cielo  come alla Madre della speranza, alla stella che orienta la navigazione dei pellegrini della fede sul grande mare della storia di questa terra ancora oggi schiacciata da mille problemi, da mille sopraffazioni e dimentica della propria grande tradizione, anche culturale e religiosa.
    Un fatto  concreto che accomuna tutti i centri della Diocesi e che in sè può esprimere, tra l'altro, anche la necessità di cooperare instancabilmente, senza delegare ad altri la soluzione  di tutti i problemi aperti.


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