domenica 10 ottobre 2021

I "NUJU DU MUNDU" DI OPPIDO E DELLA CALABRIA E DON FRANCESCO MOTTOLA (di Bruno Antonio Demasi)

  Così chiamava i più poveri tra i poveri Don Francesco Mottola, oggi beato, "I nuju du mundu", coloro i quali avevano bisogno di tutto, ma soprattutto di uno sguardo che ridesse loro la dignità perduta. Ieri i reietti della società ridotti a vivere di stenti; oggi insieme a loro la moltitudine di immigrati, ma anche di emigrati ridotti a comparse  di una tragedia sempre uguale sul teatro della nostra terra di Calabria che Don Mottola tanto amò nel silenzio impostogli dalla sua malattia e nella sua sovrumana volontà di aiutare tutti insieme agli Oblati  e alle Oblate da lui fondati.
    Queste ultime , "Le carmelitane della strada", come egli le chiamava, operarono ed operano ancora in silenzio ed umiltà in questa terra di stenti e di miserie sempre nuove. Ricordo quanto beme hanno fatto a Oppido - Tresilico negli anni passati, aprendo  asili e ospizi  senza chiedere nulla, portando cibo e coperte e indumenti là dove non c'era nulla, ricordo il sorriso di quesate suore che non vestivano abiti diversi dalle persone comuni, ma consacravano la loro esistenza a Dio e al prossimo con la dedizione che solo lo spirito di don Mottola poteva loro infondere: le signorine Sinicropi, Buda, Guzzardi, Cicciari, Spezzano e decine di altre che hanno votato se stesse a Cristo negli ultimi, nei "Nuju du mundu" seguendo in vita e dopo la sua morte la regola aurea di questo grandissimo, immenso sacerdote: la carità e il silenzio:    

   Nato 
  a
Tropea il 3 gennaio 1901, primo figlio di Antonio e di Concetta Braghò, per  la sua prima  istruzione venne affidato al Seminario vescovile di Tropea, di cui egli fu il primo seminarista, quando aveva dieci anni (1911). Nel 1913  Francesco perse  la madre, la figura che con maggiore incisività  aveva contribuito alla sua formazione spirituale ed umana, la sua compagna di preghiere, un  evento che  lo segnò profondamente. Dal 1917 proseguì i suoi studi nel Seminario regionale di Catanzaro. La sua sensibilità verso la sofferenza fu messa di nuovo a dura prova da un altro triste evento, la morte del fratello minore Gaetano, avvenuta nel 1922. I suoi studi a Catanzaro proseguirono fino al 1924, anno in cui venne ordinato sacerdote.
    Insegnò Teologia e, dal 1929, gli fu conferita la carica di rettore del Seminario di Tropea, che mantenne fino al 1942. A Tropea fu insegnante di materie letterarie, oltre che di Teologia. La sua attività di insegnante non gli precluse la possibilità di rivestire alcune cariche all’interno dell’Azione Cattolica.
      Nel 1930 aveva fondò la Famiglia degli Oblati e delle Oblate del Sacro Cuore. Mentre al 1931 è datata la sua nomina a penitenziere della cattedrale tropeana. In quegli anni si possono collocare anche la fondazione del circolo culturale “Francesco Acri” e la direzione della rivista “Parva Favilla”.
     Oltre a queste iniziative spirituali e culturali intraprese alcune importanti iniziative sociali: nel 1935 organizzò per la prima volta dei gruppi di aggregazione tra laici e sacerdoti in cui la preghiera e la contemplazione venivano affiancati all’impegno pratico di azioni caritatevoli.
   Per dare maggior concretezza a quel progetto di aggregazione affiancò alla Famiglia degli oblati del Sacro Cuore un gruppo di oblati laici, che per la loro azione concreta furono definiti “certosini della strada”.
     Il giovane don Mottola era un sacerdote amato e molto seguito dai fedeli, capace di essere non solo una guida spirituale eccellente, ma anche di utilizzare questo suo carisma per la realizzazione di opere concrete a favore dei meno fortunati: è grazie a lui, infatti, se a Tropea, Vibo Valentia, Parghelia, Limbadi (ma anche a Roma) vennero fondate delle Case della Carità. Questi luoghi furono destinati ad accogliere i disabili, che venivano assistiti dagli oblati.
   Per opera della sue Oblate intanto sorgevano dovunque in Calabria strutture di carità di ogni genere che alleviavano la miseria imperante, aggravata dall'azione malefica della criminalità organizzata nelle campagne e nei paesi.
     Le sue attività di conferenziere, predicatore e di direttore del Seminario di Tropea vennero stroncate a seguito di un incidente avvenuto nel 1942, quando don Francesco Mottola rimase colpito da una paralisi che gli tolse quasi del tutto l’uso della parola.
     La sua grande forza d’animo, però, gli permise di reagire e di accettare quel pesante sacrificio, senza rinunciare a ricevere quotidianamente centinaia di persone che si recavano da lui a chiedere aiuto.
 
     Un grande innamorato di questa terra. della quale vedeva - e sicuramente vede ancora oggi - ogni stortura, ogni forma di corruzione, ogni struttura sociale di peccato che ne deturpa la bellezza:
 
Nella mia terra di Calabria
ho rifatto in ginocchio
la Via Crucis,
son passatop per tutti i villaggi,
sono sceso in tutti i tuguri,
ho transitato per tutte le quattordici stazioni!
Ho sentito il singhiozzo della mia gente
nel mio povero cuore.
La gente di Calabria
non ha conforto come Gesù.
Ma è Gesù
e bisogna confortarlo
nella salita necessaria al Calvario. 


Gli rimaneva ancora la capacità di compiere azioni, di intensificare i suoi rapporti epistolari, di occuparsi con tutto se stesso alla cura dei suoi figli oblati, di mettere per iscritto il suo pensiero (del quale il suo Diario dello Spirito rappresenta il miglior esempio). Questo fece per quasi trent’anni, cioè dedicare tutto se stesso alle opere caritatevoli.
Riuscì a far riconoscere a livello diocesano l’Istituto della Famiglia degli Oblati e delle Oblate del Sacro Cuore dal vescovo, monsignor Vincenzo De Chiara, il 25 dicembre del 1968. Sei mesi dopo, il 29 giugno del 1969, colui che venne definito la «perla del clero calabrese», si spense all’età di 68 anni nella sua città natale.
   Possa il Dio della Misericordia e della Carità attraverso Don Mottola, oggi elevato agli onori degli altari, ridare a questa terra l'intelligenza della libertà smarrita attraverso ingordigie e aberrazioni di ogni genere.Possa presto ognu8no di noi, con l'intercessione di Don Mottola, poter esclamare come lui nel servizio gratuito  agli altri : «eccomi tutto!».
    

Io sono

una povera lampada ch’arde.

L’olio d’oro fu raccolto quasi a goccia a goccia,

con lunga pazienza e con amore grande:

l’olio d’oro che ricorda

la pressura dolorosa del frantoio

e l’umiltà

della raccolta su la terra nera.

Fu posto u vaso di coccio

E fu accesa

Una lampada ch’arde

Alimentandosi della sua morte.

E’ il segreto di tutta la vita:

una fiamma

che cerca spasimando i cieli

e si alimenta di morte.

Arde ancora la fiamma e,

finché il povero vaso di coccio

non andrà in frantumi,

arderà – cercando i cieli.