Dobbiamo all"Archivio Storico Crotone" questa pagina inedita e approfondita su un'epoca non molto studiata della storia di Oppido e del suo vescovado. Ad Andrea Pesavento il merito di averne esplorato con attenzione e passione i vari risvolti che costituiscono per i cultori di storie patrie elementi di grande curiosità e interesse al di là degli episodi in essa illustrati e con un occhio al contesto sociale e religioso di un'epoca per molti versi più oscura dei secoli del grande medioevo aspromontano e bizantino.
Andrea Pesavento (Bassano del Grappa, 1942) vive ed opera a Crotone dal 1969, dove ha costituito e diretto la biblioteca del Centro Servizi Culturali (al tempo Enaip-Crotone) creata dalla Cassa per il Mezzogiorno. Biblioteca poi passata al Comune di Crotone. Laureato in Sociologia presso l’Università degli Studi di Trento (1969), cura interessi, studi e ricerche nell’ambito del territorio crotonese, riguardanti diversi aspetti storici e sociali. (Bruno Demasi)
Il 4 marzo successivo il cardinale Francisco Nerli consacrerà Vincenzo Ragni vescovo di Oppido e Mutio Suriano arcivescovo di Santa Severina. Nel novembre dello stesso anno il Ragni effettuerà la sua prima visita alla diocesi. È dell’anno successivo la sua prima “Relazione”, dove già annuncia di avere pubblicato editti e scomuniche contro l’università, per il fatto che i diaconi selvaggi, cioè i servitori della chiesa, erano soggetti al pagamento del focatico. Il Ragni occuperà la chiesa di Oppido dal 1674 alla sua morte avvenuta 1693. Seguirà nel gennaio 1694 Bernardino Plastina di Fuscaldo.[i] “Accerrimo difensore della immunità ecclesiastica”, l’operato del vescovo sarà più volte al centro di forti contrasti, tanto da richiedere l’intervento della congregazione del Santo Offizio, come nel caso del prete Giuseppe Barone accusato di pratiche magiche.
Da un fascicolo del fondo arcivescovile di Santa Severina[ii] sappiamo che, il primo giugno 1680 da Roma, la Sacra Congregazione del Santo Uffizio inviava una lettera all’arcivescovo di Santa Severina Carlo Berlingieri (1679-1719), con acclusa “una nota degli eccessi commessi da Monsignor Vescovo di Oppido nella causa di D. Giuseppe Barone in mat(eri)a di sotilegii, e di altri pretesi complici di haver essimito d(ett)o Barone da quelle carceri vescovili”.
L’arcivescovo dovrà indagare e poi riferire alla Sacra Congregazione “essendosi di già i sod(ett)i Barone, et altri presentati in q(uest)to Supremo Tribunale”. Con una successiva lettera in data Roma 13 luglio dello stesso anno, si informava l’arcivescovo di Santa Severina che i cardinali generali inquisitori avevano affidato al da poco insediato vescovo di Nicastro Francesco Tanci, la causa contro il vescovo di Oppido. Pertanto si ordinava all’arcivescovo di Santa Severina di mandare al predetto prelato commissario tutte le scritture inviate da Roma. L’undici agosto seguente il vescovo di Nicastro informava l’arcivescovo di aver ricevuto tutte le carte.
“Instruttione à Mons.r V.S. Arcivescovo di S. Severina
Cio non ostante il d(ett)o Vescovo fe carcerare il medesimo sotto li 11 luglio 1677 nella Chiesa di S(an)ta Maria del Soccorso de PP. Agostiniani di Terranova, e di ciò si danno per informati il Priore di quel tempo M.ro Fran.co di Terranova, fr. Girolamo da Reggio, Domenico Morabito, Nicolò Lauria, e l’estrattione fu fatta da Dom(eni)co Capoferro Barricello si come V.S. vedrà dalla copia dell’esame di d(ett)o Barone, che congionta se le manda.
Doppo la d(ett)a carcera(tio)ne con scandalo pub(li)co lo fece condurre per le publiche contrade di S.ta Cristina d’Oppido, e Terranova per maggiormente scurgognarlo, e ciò si deduce dalle depositioni dello stesso Barone dall’attesta(tio)ne di più persone, e da med(esim)i ministri, et altri testi, che nomina nell’ult(im)o suo esame.
Di haverlo fatto trasportare nelle carceri laicali di Arena, luogo fuori della sua Diocesi, ove non giunge la sua autorità, per provedere da giudice e quivi l’ha trattenuto più di un anno, con ferri ai piedi, conf(orm)e depote d(ett)o Barone e ne da per informati d(ett)i testimonii, che nomina nell’ultimo suo esame.
Di haverlo posto la 2A volta nella fossa di S(an)ta Cristina che si dice carcere sotterranea con farvelo stare 5 mesi, et affissa una scomunica alla porta del castello con chi gli havesse parlato, e dato da mangiare fuori che il custode, il quale hebbe ordine di dargli pane et acqua il mercoldì venerdì e sabbato, lo debone il d(ett)o Barone, e ne da per informati più testimonii che nomina nell’ultimo suo essame. Di haverlo tenuto in carcere 25 mesi per li pretesi delitti, senza haverlo mai costituito, e tutto ciò si ricava dalla depositione del Barone, e dalla serie del processo, dove non si legge alcun suo costituto, non ostante che la S(acra) Congregatione ordinasse al medesimoVescovo che l’havesse costituito.
Di haver confiscato il di lui patrimonio sin dal principio che fu carcerato, e ne dà per informati Pietro Paolo Barone, col quale fece anco tratta di compor questa sua causa con denari.
Per haver proceduto alla scomunica contro Agatio Ant(oni)o Grillo, e Leonardo Grillo suo figlio, e dichiaratili incorsi nelle pene della Bolla = si de protegendo non havendo prima provato cio, che pretendeva dalli medesimi, ch’era di havere operato alla fuga di d(ett)o Barone dalle carceri si come tutto cio appare dal Processo anzi essendo detto Agatio ricorso à questa S. Congregatione è stato dichiarato dalla medesima innocente dalle imputationi fattegli dal Vescovo, e percio è scritto à Mons.r Arcivescovo di Reggio Metropolitano del Vescovo d’Oppido, che facesse staccare li cedoloni affissi con tanta solennità, che per 33 giorni furono sonate le campane à ricorso per la d(ett)a scomunica per tutta la sua diocesi.
Per havere il detto Vescovo ingiustamente querelato il detto Agatio nella Regia Udienza di Catanzaro dell’estrattione dalle sue carceri il detto Barone, acciò fosse rigorosamente punito dalla medesima, la quale Udienza mandò un Regio Auditore à fabricarne processo in Terra nova, e di vantaggio per esser ricorso detto Vescovo più volte al Collaterale di Napoli acciò procedesse rigorosamente contro il d.o Agatio, et altri pretesi complici per l’esimitioni dalle sue carceri del medesimo Barone, come depongono rispettivamente Michel Agosta, D. Dom.co Blosi, et il med.o Agatio, il quale ad istigatione del detto Vescovo dalla Regia Udienza di Catanzaro fu fatto carcerare per la sudetta pretesa causa con ordine del fiscale regio, che si trovava in Monteleone, e condotto a Catanzaro dove subbito fu rilasciato dalla Regia Udienza stante che l’esposto del Vescovo al Collaterale era falso.
Riferitasi questa causa nella Sagra Congregatione del S.to Offitio successivamente alla San.ta di Mons.re S. Beat.ne col parere di questi miei Em.ti S.ri Colleghi Gen.li Inquisitori ha risoluto che sopra li gravami et ingiustitie manifeste fatte dal detto Vescovo al detto D. Giuseppe Barone si prendino da V.S. diligenti et esatte informationi, et acciò ch’ella non sia turbata in rintracciare la verità sincera li medesimi E.mi miei Colleghi Generali Inquisitori hanno ordinato al detto Vescovo di Oppido che non parta da Napoli, ove al presente si trova senza ordine di questa S.ta Congregatione. Le parti dunque di V.S. dovranno essere di mettere in chiaro tutte le cose che sono enunciate di sopra, con quelle di più che raccontano ne loro essami di d.o Barone, et Agatio Grillo, con fare apparire manifestamente tutti li strapazzi fatti al Barone con haverlo ritenuto tanti mesi ingiustamente carcerato in diversi luoghi, e tramandandolo da un luogo ad un altro per maggiormente aggravarlo e vituperarlo. E sopra gli aggravii fatti ad Agatio Grillo enunciati di sopra, e quelli di più egli esprime in d.i suoi essami, che a V.S. tutti si mandano in copia. E per quello che riguarda alle scomuniche fulminate contro l’uno e l’altro per far costare di esse in processo procurerà di haver gli atti dal cancelliere del vescovo di Oppido et un esemplare di un cedolone affisso contro il detto Agatio fondato sopra la Bolla dalla s. m. del B. Pio V che incomincia = si de protegendis con quel di più che V.S. stimerà necessario per ben fondare gli eccessi, che si sono commessi in si fatti procedimenti.
Procurerà ancora di certificare se sia vero che il Vescovo habbia confiscato il patrimonio al d(ett)o Barone, e che si sia fatto manifestare per comporre cotesta causa con denari con Pietro Paolo Barone, sopra di ciò esaminarà detto Pietro Paolo Barone, sopra di ciò, et ogni altro che sarà dato per informato.
Si suppone dal detto D. Giuseppe Barone che quando era condotto carcerato di qua e di là una volta se ne fuggisse, e si ritirasse in una chiesa della Dioc(es)i di Mileto, e quindi fosse estratto. V.S. farà dilegenza d’investigare la verità della d(ett)a 2.a estrattione e se sopra di questa il Vesc.o di Mileto fosse richiesto dal Vesc.o di Oppido sotto pretesto che fosse camerale per pretesa causa del S.to Off.o ò in qualche altro modo fosse violata l’Imm(uni)tà Ecc(lesiasti)ca e cio potrà verificare con essaminare il Vicario e Cancelliere del d(ett)o Vesc(ov)o di Mileto ( già morto) ò in altra maniera che a V.S. parerà più adeguata per fondare la violatione dell’Immunità della d(ett)a Chiesa.
Il med(esim)o Agatio pretende di essere stato ingiustam.te incolpato della d(ett)a estratt(io)ne dal Vesc.o di Oppido à causa che esso fu eletto Proc(urato)re d’Oppido e suo territ(ori)o ad ogni causa che d.o Vesc.o potesse havere nelle Cong.ni di Roma, e sebene cio esso depone ove ha prodotto il mandato di procura, ad ogni modo sarà necessario d’indagare se di ciò il Vesc.o ne habbia havuta notitia e che rinovasse all’animo che il d.o Agatio si fosse fatto capo di parte contro di esso, e che di ciò ne abbia dimostrato dispiacere, o’ in qualsivoglia altro modo, se ne sia dato per malsodisfatto di d.o Agatio, il quale per questa persecutione fattagli dal Vesc.o dice di esser stato dannificato di 700 ducati oltre l’incommodo di esser venuto a Roma; e perciò V.S. farà chiamare d.o Agatio, et avanti di lei gli farà giustificare identificamente il danno da lui patito, e lo riponi in processo, e di vantaggio farà chiamare d.o D. Gius.e Barone (quando ritorni in Patria) et al medesimo farà giustificare nello stesso modo li danni che ha patito, e sebene dalle loro depositioni V.S. che haverà lume sufficiente per provare gli aggravi et ingiustitie fattegli le quali V.S. dovrà provare tutte minutissimamente con tutte le loro qualità et circostanze individue ad ogni modo quando in alcuna cosa havesse bisogno di maggior chiarezza, potrà de medesimi valersi per haver maggior lume per delucidar meglio tutto ciò che V.S. dovrà operare.
Antonio Iannello ha fatto una fede contraria a quello ch’egli dubita, che sia stato posto in processo con la sua volontà, e senza sua saputa. V.S. esaminerà d(ett)o Jannello sopra la d(ett)a fede, e tutti quelli ch’esso da per informati sulla d.a fede.
In ordine poi ai ricorsi fatti dal Vesc.o al Reg. Collaterale di Napoli, affine che il d.o Agatio fosse punito per la d.a pretesa estratt.ne. Non accade che V.S. faccia alcuna diligenza si perché non può farla per la distanza, si anche perché qui se ne hanno sufficienti giustificationi.
E sommamente a’ cuore alla S(anti)tà di N. S.re et a questi miei Em.i Colleghi G(enera)li Inquisitori che si giustifichino tutti li sud(ett)i eccessi commessi dal Vesc(ov)o d’Oppido, et è stata scelta la persona di V.S. per la più atta à manegiar cotesto affare, e perciò V.S. procuri, che il tutto minutamente si pongia in chiaro, e colla dovuta diligenza et essattezza acciò S. Santità e questi Em.i miei Colleghi generali Inquisitori à suo tempo possono pigliare quelle risolutioni, che stimeranno necessarie al debito della Giustitia, e ridotto che haverà in processo tutte le diligenze impostele, ne trasmetterà copia à questa S. Cong(regatio)ne.”
Il vescovo Ragni venuto a sapere, che ciò era avvenuto per opera del Grillo, come agente a nome dell’università, lo querelò affermando, che suo figlio Leonardo Grillo con altre persone di notte avevano fatto evadere dalle sue carceri di Oppido il prete D. Giuseppe Barone, che vi era stato rinchiuso per una causa spettante al Santo Offizio. A causa di questa querela intervenne la Regia Udienza, che mandò a prendere informazioni e formò un processo.
Per tale motivo l’uditore regio D. Antonio da Ponte mise in prigione Michele Agosta da Varapodio e Antonio Jannello da Tresello, come complici della fuga d D. Giuseppe Barone. Anche altri furono carcerati e furono interrogati in Terranova in presenza del vescovo e dell’uditore, tra i quali il prete fuggito Diego Laganà e il carceriere delle carceri vescovili di Oppido Ottavio Positò. Quidi l’uditore portò il processo alla Regia Udienza di Catanzaro.
Il fiscale regio, che si trovava in Monteleone, inviò il capitano di campagna, il quale carcerò il Grillo in Seminara, dove si trovava presso un suo zio ammalato, e lo condusse alle carceri di Catanzaro. Per questa “condotta” il Grillo dovette pagare ben 100 scudi. Poiché risultò che l’esposto del vescovo era falso, il Grillo fu rilasciato con l’obbligo però di non allontanarsi dalla città. Dopo cinque giorni, il 9 dicembre 1678, fu finalmente licenziato, con precetto però di presentarsi ad ogni ordine sotto pena di 300 scudi.
Il vescovo saputo della scarcerazione ricorse nuovamente al Vicerè, rinnovando le accuse e supplicando, che la causa fosse rimessa alla Gran Corte della Vicaria, la quale ordinò alla Regia Udienza di Catanzaro di rimettere in carcere il Grillo, il quale tuttavia, scomunicato fin da novembre dal vescovo, trovandosi in Napoli, decise di andare a Roma a dichiarare la sua innocenza davanti al tribunale del Santo Offizio.
“Carolus
“Io fui carcerato nelle carceri del Vescovato di Oppido dette La Speranza il giorno di Domenica 11 di Luglio del 1677 e mi presero in congiontura che io servivo mon.s Vesc.o con cotta e barretta mentre mon.s vesc.o havea quella mattina assistito nella chiesa matrice alla messa cantata nella chiesa di Terranova mia Patria dove segui immediatamente la cattura, ma mio padre chiamato Pietro paolo Barone sentendo che io ero stato carcerato corse in mio aggiuto, e ferì un sbirro chiamato Francesco Chetti, conche io e mio padre fuggissimo nella d.a chiesa matrice di Terranova da dove io passai nella Chiesa di Santa Maria del Soccorso de P.ri Agost(inian)i dove fui di novo d’ordine di mons.re carcerato l’istessa mattina delli 11 di luglio 1677 e successivamente fui condotto da med(esi)mi sbirri ad Oppido nelle carceri dette La Speranza del Palazzo Vescovale ma quivi fui solo trattenuto per due hore, e poi dalli stessi sbirri ed altri d’Oppido che potevano essere 30 huomini in tutto fui posto nella fossa di una carcere sotterra dove si cala con una fune trenta braccia in circa sotto terra, e quivi sepellito con manette e ferri e ceppi a piedi dove fui ritenuto per 15 giorni e per la bocca di detta fossa mi calavano per mangiare con una corda. Venne poi un caporale chiamato R.mo Regane con la sua compagnia di 30 persone e più quasi tutti preti che facevano lo sbirro, e mi cacciò fuori di detta fossa con calarmi una corda e per via d’argano, e dopo uscito mi spogliò lasciandomi solo la camicia et un paro di calzoni, e così scalzo senza cappello e colle mani legate a dietro fui condotto per la terra di Santa Cristina come se havessi da essere frustato a piedi, e da Santa Cristina mi condussero alla Città d’Oppido dove facendomi girare per la strada publica mi condussero alla casa del Vicario Generale Don Marcello Zerbi, dove mi fermarono sotto il portico per un hora, e vi concorreva tutta la gente d’Oppido per vedermi e da là fui condotto nel medesimo modo legato, e mi diedero un paro di scarpe per carità a Terranova dove prima d’entrare nella Città mi fecero cavar di novo le scarpe et a piedi nudi cosi spogliato mi fecero passare avanti il monastero di Santa Caterina dove dimorava il vescovo quale mi vide e benche il popolo che vi era concorso esclamasse che era una indegnità un affronto che si faceva ad un sacerdote, ad ogni modo il vescovo si mostrò sordo, benche stando al balcone sentisse cio, ed io cio vedessi con i miei propri occhi, e da Terranova successivamente dopo mezora di riposo in piazza publica avanti detto vescovo fui per ordine suo condotto da medesimi sbirri e nel medesimo modo spogliato e ligato verso Monte Leone, e ben però vero che dopo due miglia lontano da Terranova mi posero il giuppone, scarpe, calzette e cappello venendo poi la notte dormissimo in campagna aperta nella piana di S. Antonio, e venendo la mattina vicino .. sei miglia incontrassimo un huomo a cavallo mandato da mio cognato a Luigi Drago, quale smontato hebbi gratia dal Caporale di poter cavalcare ancor io sopra quel cavallo di mio cognato, mentre tutti i sbirri, erano à cavallo et io solo à piedi, e mi fece habilità di legarmi le mani davanti, dove sempre prima l’havevo tenete legate dietro, conche m’insegnai al miglior modo che potei di scioglier le mani ch’erano ligate con una funicella e sapendo di haver sotto un buon cavallo mi misi in fuga e vantaggiai col cavallo i sbirri quali mi spararono appresso due archibugiate gridando ferma ferma ma io non mi fermai et entrai nella chiesa di Francica, e mi salvai nella chiesa dell’Annunziata di detta terra che ancora non era hora di pranzo e perche i sbirri facevano forza a detta gente di detta terra per pigliarmi di novo hebbero delle buone mazziate, e perché nella medesima congiontura si trovava in detta terra il vescovo di Mileto che faceva la visita per ovviare a qualche danno mandò il suo Barricello con sbirri a pigliarmi nella chiesa e mi fece condurre carcerato à Mileto salvo servigi iure immunitatis conforme io mi ero protestato, e tutto questo viaggio dalla fossa di Santa Cristina fino à Mileto che saranno più di 35 miglia di strada fu fatto in due giorni che compreso il tempo che stetti nella fossa sud.a viene a essere alli 28 di luglio del 1677. Stando io dunque in Mileto nelle carceri vescovali supplicai il vescovo con un memoriale accio mi dovesse restituire alla Chiesa dove ero stato preso e ne trattò Luigi Drago mio cognato e fù convenuto di pagarli oltre le spese e la condotta 25 ducati con patto di restituirmi alla Chiesa ma con tutto che mio cognato sborsasse undeci zecchini effettivi e cinque libre di seta al fratello del vescovo di Mileto garante però del vescovo medesimo io ad ogni modo non fui restituito alla chiesa dicendo detto vescovo haver havuto avviso dal vescovo di Oppido che io ero carcerato per cause di S.to Off.o, e perciò non godere dell’Immunità conche fui fermato nelle medesime carceri di Mileto per tutto l’agosto, settembre e parte dell’ottobre susseguente con ceppi e ferri et una notte col collare di ferro. Dopo di che fui condotto in potere del vescovo di Oppido che mandò a pigliarmi con 40 huomini armati e tutti erano Preti da messa, eccettuatine quattro ò cinque secolari et in due giorni fui trasportato nella fossa di Santa Cristina, dove fui posto la prima volta, che fui carcerato et ivi stetti più di 5 mesi e dio solo mi ha mantenuto per miracolo vivo, poiche non vi era ne letto ne paglia, anzi vi nasceva l’acqua e senza vedere luce e con i ferri a piedi in pane et acqua. Doppo di che il Principe di Cariati Spinelli (Carlo Filippo Antonio Spinelli) che era il Principe di d.a terra di Santa Cristina, sapendo che io ero sepolto in quella fossa havendo visto che il vescovo di Oppido haveva fatto affiggere alla porta del castello una scomunica riservata al Papa à chi havesse ardito di parlarmi ò somministrato qualsisia sorte di vitto, parendo à detto Principe che fusse una crudeltà fece intendere a mons.r vescovo che mi levasse da quella fossa conche essendo io stato levato verso il principio di Quaresima del 1678 fui condotto ad un altra terra della Giurisdizione di Mileto detta Arena 50 miglia lontano da Santa Cristina, e mi vi fece condurre à piedi da 30 huomini à cavallo e mi conducevano con una fune, come se fossi stato un cane, e gionto in Arena, dopo haver passato montagna e fiumi sempre à piedi fui portato nelle carceri laicali dette il Carbone sempre con ferri e ceppi d’ordine del vescovo e quivi ho continuato la mia carcerazione sino al principio d’agosto 1679, e da queste carceri fui levato e condotto alle carceri di Oppido dette la Speranza nel Palazzo Episcopale per haver io supplicato il S.r Duca d’Atri princ. D’Arena acciò non mi lasciasse morire nelle carceri d’Arena, perche m’erano venute le gambe talmente grosse che parvia che i ferri si fossero incastrati nella carne, et ero tutto gonfio come una botte per i gran patimenti fatti nella longa e crudel prigionia, e per questo fui portato sopra un cavallo ad Oppido, dove essendo stato 15 giorni prigione in questo tempo scrissi a mons.r vescovo d’Oppido che per amor di dio vedesse di mettermi in libertà, overo condannarmi in galera se mi havesse ritrovato reo, perche in tutto il tempo della mia carcerazione che è durata 25 in 26 mesi non sono mai stato interrogato ne costituito et ancora ho da sapere per qual delitto io habbia sofferta si lunga e crudel prigionia, e la mia lettera la presentò a Terranova a detto Vescovo D. Stefano Leale canonico d’Oppido e mi fece di poi dal medesimo canonico che io pagassi 100 scudi di spese fatte a pagare i sbirri per farmi trasportare da carcere in carcere et inoltre scudi 200 per compensazione poi mi haverebbe scarcerato e posto in libertà ma io non trovandomi possibilità e per havermi già detto vescovo confiscato … due vigne et una casa che sotto sopra fruttuavano più di 25 scudi diedi nelle smanie, e cominciai a pensare di fuggirmene come seguì alli 17 o 18 d’agosto 1679 e la mia fuga fu verso le 4, o 5 hore di notte con due altri preti.”
Capi dati dalla città di Santa Caterina
1(prova) In Bagnara fatto notorio essendo per la medesima causa in detto loco tirate due archibugiate al Vescovo che se non si avesse buttato in un fosso sarebbe stato occiso, venne poi assediato con tutti suoi della comitiva nel convento dei Padri Cappuccini di detto loco, da dove ne ani cavato dal Principe di S.to Antonio figlio del Duca di Bagnara che si trovava nella medesima terra, e procurò che si salvasse e perciò li diedero 25 scudi alla moglie per non farli parte dalli medesimi capiccini anco d’altri lochi residenti può haversi la notitia sud.a
2. Fece carcerare a D.Fran.co del Sindico in d.o anno con mal termini del clerico Gioseppe Greco, che fu causa che li parenti del sud.o havessero occiso detto clerico.
2(prova) Puo haversi notitia del fatto anco in Santa Severina dalli parenti di d.o D. fran.co del sindico figlio del detto Pietro Antonio di d.a città et in Mesuraca dalli parenti del sud.o. essendo qui fatto notissimo.
3.Ha fatto fare l’homicidio di fran.co capoferro et michele dromi con il sborso di Duc. 300 esatti da pene ecclesiali e parte di seguire la di loro morte et haver poi fatto assediare li delinquenti e presoli il danaro dato per mano del monaco una volta l’homicidii susseguenti come in d.o capo e parola data da nicola dromi fratello di michele occiso et haver fatto celebrare e fatto celebrare S. Messe.
3(prova) Tiene d.o delegato quattro fedi di Università contigue di questo fatto anche per chiarezza del tutto et in Catanzaro dalli medesimi carcerati che furno può havere maggiore notitia quando vi bisognasse che non si crede.
4. Li mali patimenti à D. Gioseppe Barone fatti d’ordine del Vescovo d’Antonio Ligasti suo allora caporale del baricello con il di piu su detto capo.
4(prova) Fatto notorio in Oppido, Terranova, Santa Chatarina et Francica …”.
L’11 luglio 1690 il nunzio di Napoli informa il Segretario di Stato che, come da ordini ricevuti, è intervenuto nei confronti del vescovo di Oppido Vincenzo Ragni, affinché soddisfi quanto spetta all’abate D. Girolamo Clementi, il quale deve essere anche “reintegrato dei mobili, e che intorno al resto de’ frutti pretesi è giusto farne il deposito in questa città”.[III]
Note
[I] Russo F., Regesto, 43012 e sgg. Liberti R., Le Relationes ad limina dei vescovi della diocesi di Oppido Mamertina, in www.accademia.edu Quaderni Mamertini[II] AASS. Fondo Arcivescovile, 046A.
[III] Russo F., Regesto, 46224.