venerdì 20 agosto 2021

U PARRARI E’ ARTI LEGGIA


di Mariastella Crupi
 
      E' venuta recentemente a trovarmi in questa estate torrida Mariastella Crupi, la piccola allieva di scuola media conosciuta tanto tempo fa in una singolare scuola della Ionica dopo qualche anno da quando mi aveva fatto pervenire dal Belgio questa preziosa lettera che ripubblico, nuovamente commosso, esattamente come me la scrisse all'epoca. Mi riempì il cuore allora, mi riempie il cuore e la mente anche adesso, e non solo per i ricordi che suscita , ma per l'amore profondo per la nostra lingua che vi traspare e per il rispetto sacrale con cui questa ex alunna , ora docente emigrata, sa trattarla senza schernirla e senza piegarla a improbabili espressioni di colore.
        Grazie del ricordo, Mariastella! Grazie per i tuoi ricordi! (Bruno Demasi)
 

      Carissimo professore, l’ho ritrovata su un social network quando meno me l’aspettavo. Si ricorda di me? Metà anni ’80, mi pare , nel Sidernese: Lei giovane preside, io alunna di scuola media che detestavo libri e banco, ancora desiderosa com’ero di giocare e di correre per le rughe di quel piccolo paese dove ho lasciato l’anima e del quale la sera, prima di addormentarmi, avverto ancora nelle orecchie i suoni e i sibili del vento tra le rocce bianche che qualcuno chiama “Le Dolomiti del Sud”. Come se le nostre montagne con la loro orgogliosa bellezza avessero bisogno di scimmiottare i nomi di montagne più fortunate per avere un minimo di visibilità tra i pochi turisti che si degnano di visitare la Locride e i resti dell’antica Epizephiri.
    Da almeno venti anni la vita mi ha portata in Belgio, dove insegno Italiano in una scuola in cui si ama l’Italiano forse più di quanto non lo si ami nella nostra Calabria e dove , per un terzo della giornata faccio la mamma di tre figli ormai quasi grandi e indipendenti (Ahimè). 
 

    Torno spesso al mio paesello costruito su una frana che scende inesorabilmente verso Siderno e mi incanto ancora  quando rivedo quella scuola in cui Lei, annoiato di fare il Preside, non vedeva l’ora se mancava qualche professore, di entrare nella mia classe e di parlarci dei poeti e degli scrittori della nostra terra. Quelle lezioni mi sono rimaste stampate nel cuore. Quante volte ho ripercorso i sentieri dei personaggi di Saverio Strati, l’uliveto di Fortunato Seminara, le rughe spazzate dal vento raccontate da Mario La Cava, le risate delle commedie di Salvatore Filocamo, le montagne paurose e stupende di Corrado Alvaro.
    Quante volte mi riecheggia nelle orecchie la voce di mia madre (ancora vivente tra quelle pietre polverose) che quando le manifestavo i miei sogni, la mia voglia di andare via dalla Calabria, mi rimproverava dicendomi “U parrari è arti leggia”, come per dirmi che i progetti sono una cosa, ma la realtà è un’altra e che è difficile realizzare nella pratica ciò che il cuore e la bocca suggeriscono e dicono ai quattro venti.
    Eppure ce l’ho fatta. 
 

    E adesso che sono lontana, inesorabilmente lontana, perché ormai la mia vita è qui e perché qui è la vita dei miei figli, mi manca tantissimo la polvere di quelle case e di quelle strade, il sibilo frequente e insolente del vento, la sacralità di Prestarona, la magnificenza di Gerace, persino la paura dei lupi che , si raccontava, girassero ancora sulle montagne fino a trenta anni fa, ma soprattutto “U parrari”, il dialetto, la lingua cosi dolce e musicale della nostra gente, la cadenza strascicata che ci rimanda ai ritmi arabi e greci, la sonorità delle imprecazioni, persino la tristezza del pianto.
    E rivedo e risento il vecchio prete-massaro e contadino che con un muccaturi lercio e sciampariato si tergeva il sudore urlando parole irripetibili alle capre testarde più di lui che non volevano rientrare a sera nello jazzo ricavato dietro la sacrestia. Risento la sua voce nasale che invita i giovani archeologi della missione francese venuti a scavare pertusa in qualche anfratto tra le rocce a stare attenti alla sua suriaca che cresceva stentata e senza acqua e poi a mangiare la cardarata di pasta llevitata che lui stesso aveva preparato e condito con olio , polvere e casu friscu.
    E risento le nenie, i canti delle donne intente all’antica tessitura tra un colpo di navetta e l’altro in mezzo all’ordito o che con le tafarìe sulla testa trasportano l’uva ai palmenti e e le olive appena abbacchiate ai frantoi di Agnana e mi domando se la lingua che insegno io ai miei alunni belgi sia la vera lingua della nostra terra o almeno la MIA vera lingua, quella che i miei avi mi hanno donato e che io ho dimenticato. 
 

    Poi quando vedo che sul Suo blog qualche bravo scrittore, come Greco, non ha vergogna di ritornare alle parole antiche, allora il mio cuore sussulta e si colma di gioia e capisco che le parole che mi diceva mia madre erano proprio vere: “U parrari è arti “! Leggia o pisanti, non ha importanza, ma è arti.
    E ringrazio mia madre e ringrazio ancora anche Lei perché mi ha insegnato il cuore della Calabria e perché prima non lo avevo mai fatto. 
   
 E La saluto di cuore.

domenica 15 agosto 2021

LA FESTA DELL'ASSUNZIONE E I FASTI DELL'ANNUNCIAZIONE IN OPPIDUM (di Bruno Demasi)

      La pandemia a modo suo ha purificato molte delle intenzioni religiose, interrompendo, o almeno attenuando, una serie di devozioni che di sacro porobabilmente avevano poco, a vantaggio di una spiritualità meno appariscente e, forse, più partecipata.
Il desiderio di essenziale, di scarno, di semplice, inconfessato da molti, forse affiora sempre più spesso e ci spinge senz'altro a migliorarci, indipendentemente dai livelli di pratica religiosa o meno che pensiamo di avere.
    Ancora una volta oggi nel centro sede della Diocesi, a Oppido Mamertina, la festa per eccellenza, l’Assunzione della Vergine, quella in cui, secondo la tradizione, persino l'Inferno si ferma, cade nel cuore della preparazione della festa dell’Annunciazione ( la festa cosiddetta "del Ringraziamento") e ricalca pienamente, anche se molti sembrano essersene dimenticati nella foga di imbastire e calcare palcoscenici sacri e profani di ogni genere, la tradizione bizantina di Oppido rinnovandone i fasti e gli splendori.
Celebrare la Madonna nei due momenti più significativi della sua parabola umana, l'Annunciazione e l'Assunzione, non è cosa da poco per un paese, per una diocesi, funestati da tanti problemi scottanti, e non solo dal fuoco che in questi giorni sembra rinascere in continuazione dalle ceneri  dei boschi perduti e da quelle di una civiltà in forte declino, ma tenacemente ancorata al proprio passato. La voglia di rinascere infatti è forte. Aleno quanto quella di ritornare alle tradizioni vere e più genuine del nostro passato antichissimo e anche a quello più recente.
    Almeno dal X secolo in poi infatti nella chiesa bizantina, quindi anche in Oppidum, si coltivava la profonda convinzione della glorificazione corporea della Vergine dopo la morte, che sfociava negli splendori della liturgia del 15 agosto, tanto che la cattedrale di Hagia Agathè era ed è dedicata alla Vergine Assunta, come testimonia sul soffitto centrale della chiesa attuale l’enorme riproduzione del capolavoro del Tiziano.

 
  Ancora oggi dunque, nella nella nuova città, come tra i commoventi ruderi di quella antica e antica e abbandonata, sembra risuonare l'inno Akatistos ( cioè "cantato in piedi" ) che nel periodo di massimo splendore di questa terra benedetta da Dio, quello bizantino, salutava l'alba di questo splendido giorno di festa con lo sguardo del celebrante rivolto a oriente sull'altare dell'antica cattedrale irrimediabilmente distrutta poi dal terremoto.
   E anche quando, nel XVI secolo, molti protestanti, tra i quali Lutero, ripresero a negare questa pia credenza della chiesa cattolica, da queste parti la convinzione unanime e la sua espressione liturgica rimasero intatte, senza contare che , in generale, negli apologeti cristiani una pronta reazione fece si che questa pia credenza popolare divenisse quasi una dottrina certa, persino presso i teologi , tanto che nel ‘700 viene presentata la prima petizione alla Santa Sede per la definizione del dogma dell’Assunzione, ad opera dei “Servi di Maria”.
    Ci sarebbe voluto più di un secolo e mezzo perché la Chiesa confermasse, il I novembre 1950, con la Costituzione apostolica “Munificentissimus Deus”, questo dogma già fatto proprio da secoli dalla devozione popolare, dando ragione a quel canto di lode insuperabile alla Vergine scritto da Giovanni Damasceno:

« Era conveniente che colei che nel parto aveva conservato integra la sua verginità conservasse integro da corruzione il suo corpo dopo la morte. Era conveniente che colei che aveva portato nel seno il Creatore fatto bambino abitasse nella dimora divina. Era conveniente che la Sposa di Dio entrasse nella casa celeste. Era conveniente che colei che aveva visto il proprio figlio sulla Croce, ricevendo nel corpo il dolore che le era stato risparmiato nel parto, lo contemplasse seduto alla destra del Padre. Era conveniente che la Madre di Dio possedesse ciò che le era dovuto a motivo di suo figlio e che fosse onorata da tutte le creature quale Madre e schiava di Dio. »

Buona festa dell'Assunzione a tutti! Buona rinascita dalle ceneri del nostro Aspromonte!"

venerdì 13 agosto 2021

OPPRESSI DAL FUOCO, MA ANCHE DALL’IGNORANZA...

di Bruno Demasi
 

   Il triste e vergognoso primato degli incendi nei boschi e nelle campagne ( in grandissima parte già abbandonate) che pone la Calabria al primo posto nella graduatoria del fuoco che ci brucia, non può assolutamente nascondere un altro primato che l’emergenza di questi giorni tende a far passare in silenzio: il nostro disastro scolastico. Il primo sarà verosimilmente studiato e capito in tempi lunghissimi da chi di dovere, sebbene ci sia pochissimo da studiare e da capire. Il secondo invece è già certificato dagli ultimi esiti pubblicati dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema d’Istruzione riguardanti la Calabria, e specificamente la provincia di Reggio Calabria. 
 
  Fatte salve le dovute e sparute eccezioni, la sentenza è la seguente:

· nelle quinte classi della Primaria siamo a 190 punti (2 in meno rispetto alla precedente valutazione nell’anno scorso), ultimo posto nella graduatoria nazionale. Per la Matematica, sempre alle Elementari, nelle seconda classe, la Calabria risulta con 192 ( 194 nel 2019) ha il risultato peggiore -8 dalla media nazionale e -23 dalla Basilicata col punteggio più alto.Stessa situazione nella classe quinta della Primaria, qui i punti sono 186 ( 192 nel 2019),con un distacco di 14 punti dalla media nazionale e di 30 dalla Basilicata;

· sempre nella quinta Primaria per l’Inglese (ascolto) il punteggio è di 189, -11 dalla media nazionale e -20 dalle Valle d’Aosta .Analoga situazione per i test relativi alla lettura dove i punti percentuali conseguiti sono 191– 9 dalla media. Per la Scuola Media, testata in Italiano nelle classi del terzo anno, le cose peggiorano, il gap continua ad essere imbarazzante. In Italiano siamo ultimi con 186 punti (185 nel 2019) , di quattordici punti inferiori alla media nazionale che è sempre di 200. La distanza con le prima regione le Marche è pari a 22 punti;

· ancora peggio in Matematica, con 181 punti (come nel 2019),il punteggio più basso con una distanza dalla prima,la provincia di Trento, di 32 punti e dalla media di 19.Riguardo la posizione del campione calabrese è deficitaria con un punteggio di 184 , -16 dalla media ed un distacco di 5 punti dalla prima.Non vanno meglio le cose negli ultimi due ambiti testati dall’Invalsi, e cioé la Scuola Superiore. Per le Seconde Classi in Italiano penultimo posto con 189 punti (181 nel 2019), undici in meno rispetto alle media nazionale e una distanza dalla provincia di Trento di 34 punti;

· ultimo posto per la Calabria nel test per gli allievi di quinta solo 182 punti percentuali e un distacco di 37 punti dalla provincia di Trento, prima.Per le Seconde Classi in Matematica il punteggio è di 184 (penultima posizione con la Sicilia) e un distacco abissale di 40 punti dalla provincia di Trento.Gli allievi delle Quinte Classi ottengono il punteggio più basso,179, lontani di 21 punti dalla media nazionale e di 45 dalla provincia di Trento.Non cambia la situazione nella prova di Inglese, la Calabria ottiene il punteggio più basso 177 nell’ascolto e 180 nella lettura , abissale il distacco con Bolzano e Trento. 
   Dunque è una Italia divisa in due quella che appare nell’ultima fotografia Invalsi della scuola italiana,con le scuole del nord che riescono a mantenere un buon livello degli studenti durante tutto il percorso e le scuole di regioni come la Calabria in cui la metà degli studenti arriva alla maturità con l’insufficienza sia in italiano che matematica ed inglese. Una Italia che procede a due velocità.E’ un dislivello che si intravede già nei primi livelli di scolarità e diventa via via più consistente man mano che si sale ai livelli superiori dalla scuola media vero e proprio buco nero fino al scuola secondaria di secondo grado.

   Eppure, emerge in maniera chiara e inequivocabile come, per esempio, la scuola media resta l’anello debole del sistema e che il “buco” diventa una voragine nel biennio delle superiori. Basta correlare questi risultati con il numero di studenti bocciati, la quantità di ragazzi promossi con debiti formativi, il tasso di dispersione scolastica, i risultati negativi dei ragazzi che ripetono per capire la gravità del problema. Per non dire che almeno il 40% degli studenti di terza media esce dall’esame di stato col giudizio di sufficiente che nasconde gravi lacune ed un percorso estremamente inadeguato. E non è un mistero che la maggior parte di questi ragazzi si iscrive agli istituti professionali dove si raggiungono punte notevoli di bocciatura. Insomma un quadro complessivo che richiede cambiamenti ed in prima battuta un piano di formazione diffuso e efficace legato alla valorizzazione professionale dei docenti. Perché senza di loro è impossibile cambiare il metodo con cui si lavora all’interno della scuola. 

   Il sistema scolastico in Calabria appare non solo meno efficace in termini di risultati conseguiti rispetto all’Italia e al nord, ma anche meno equo: la variabilità dei risultati tra scuole e tra classi nel primo ciclo d’istruzione è consistente così come sono più alte le percentuali di alunni con status socio-economico basso che non raggiungono livelli adeguati nelle prove. Il sistema scolastico è in Calabria non solo meno efficace ma anche meno capace di assicurare agli alunni le stesse opportunità educative, malgrado la proflucie di “sedute innovative”(banchi a rotelle) regalati recentemente alle scuole.

   Assumere allora il tema dell'eleva­mento del grado di istruzione dei nostri giovani e dei nostri ragazzi credo che sia una questione che ha molto a che fare con i programmi di sviluppo di una regione che continua a non voler superare il proprio ritardo, fare i conti con le proprie risorse e che non fa il possibile per mettersi alle spalle la dimensione assistita dello sviluppo. Credo, quindi, che questa non possa che diventare una priorità fondamentale per il sistema scolastico calabrese e degli altri enti territoriali a cascata. 

   La qualità del sistema di istruzione in Calabria esige ben altro. Perchè i risultati Invalsi vedono di continuo, per esempio, migliorare le competenze dei giovani del Nord-Est, collocandosi ai vertici della classifica dei Paesi UE? Questo non ha a che fare di sicuro con le leggi elaborate dal Ministero della P.I. o dal Parlamento. Ha a che fare con il dinamismo, la vitalità e l’impegno di quelle Regioni e di quelle province. Ha a che fare con il capitale sociale e professionale di quelle scuole.

   E’ anche per questo che la Calabria si trova al fondo delle classifiche.

giovedì 5 agosto 2021

PASQUALE CREAZZO POETA E LA PRIMA SEZIONE SOCIALISTA NELLA “PIANA”

di Bruno Demasi 

 
Nu iornu u Patri Eternu si levau
si fici l’occhi chini di sputazza
e ch’i mani nta buggia s’avviau
mi vidi chi si dici supra a’ chiazza,
ma si fici nu mari di fururi
quando vitti carompula a culuri... 

 

    Così scriveva nel maggio del 1898 lo studente/poetaVincenzo de Angelis ristretto in carcere dopo lo scioglimento della prima sezione socialista nata appena un anno prima sulla costa ionica della provincia reggina e di cui egli era stato uno dei fondatori. Al fine di divulgare le idee socialiste a Brancaleone, da universitario, tra la fine del 1896 e l’inizio del 1897 aveva fondato infatti il circolo socialista detto “ Zappa e Martello”, che successivamente avrebbe preso il nome di “Emancipazione e Lavoro”. La prima sezione socialista di Brancaleone venne appunto costituita all’interno del predetto circolo, che l’anno successivo, in data 18 maggio 1898, venne però sciolto con decreto del Prefetto di Reggio Calabria, in quanto considerato sovversivo. I 90 aderenti al circolo vennero identificati e De Angelis ed altri 21 soci,vennero arrestati.

   Sul versante tirrenico reggino le idee socialiste invece attecchirono con relativo ritardo. Rispetto ai fatti di Brancaleone occorse infatti ancora un buon decennio perchè nascesse a cavallo tra il 1909 e il 1910 a Cinquefrondi ad opera di un altro giovane del luogo, Pasquale Creazzo, il primo circolo di lavoratori, ma è impressionante l’analogia tra i fatti di Cinquefrondi e quelli di Brancaleone, tra l’impegno politico e sociale di De Angelis e quello di Pasquale Creazzo, entrambi colti e impegnati, entrambi politici fino al midollo, entrambi amanti e praticanti della poesia contadina e vernacola.

     L’incredibile vita di Pasquale Creazzo merita sicuramente di essere ricordata con ammirazione come un unicum eroico in un contesto civile e sociale praticamente inesistente, con le terre quasi compeletamente in mano a pochissimi piccoli latifondisti gretti e meschini, una classe operaia sfilacciata e appena accennata da alcuni artigiani che facevano la fame senza alcun orario di lavoro.

    Era nato a Cinquefrondi l’8 marzo 1875 da un segretario comunale e da Giuseppina Grande, discendente da una ricca famiglia di Torre Ruggero. Il padre morì giovanissimo lasciandolo orfano in tenera età insieme ad altri tre fratelli, nessuno dei quali ebbe la possibilità di proseguire gli studi. Il modestissimo patrimonio familiare fu consumato infatti molto presto tanto che il Creazzo, ancora ragazzo, dovette andare in cerca di lavoro e fu assunto in una segheria per abbozzi di pipe di radica di erica, legname nascosto e prezioso di cui abbondavano e abbondano ancora le balze dell’Aspromonte.

   Era però un ingegno molto versatile, di intelligenza molto viva e nel pochissimo tempo libero si dedicava allo studio, alla poesia e alla pittura. Fu il periodo formativo in cui ebbe i primi contatti con gli operai che segavano il durissimo legno di erica che di tanto in tanto venivano dalla Toscana e insieme col mestiere iniziavano a propagare le teorie del nascente socialismo.

   La condizione servile e di totale sfruttamento di contadini e operai nella sua poverissima Cinquefrondi alimentarono in lui sin da giovane la rapida maturazione di un ardente credo politico che lo fece diventare presto un tenace sostenitore della causa dei poveri e dei ultimi. Divenne poi dal 1920 un irriducibile antifascista (resta famoso il rifiuto che oppose al saluto del gagliardetto durante una manifestazione fascista di piazza), tanto che fu aspramente perseguitato e più volte risatretto in carcere.

    Nel 1894, l’anno di un terribile terremoto che mette a dura prova la Piana di Gioia Tauro già prostrata dalla fame e dall’analfabetismo, partecipa ai moti insurrezionali bakuniani, a Reggio Calabria, contemporaneamente a quelli svoltisi a Milano, Torino, Roma, Napoli, Palermo e subisce il primo di una serie di arresti.L’anno successivo insieme con una decina di compagni conosciuti nel capoluogo dà vita al nucleo originario della prima Sezione Socialista di Reggio Calabria.

    All’alba del nuovo secolo, in seguito all'uccisione a Monza del Re Umberto I per mano dell'anarchico Bresci, a Cinquefrondi appare uno scritto murale così concepito: “Lutto Nazionale per causa di un fesso qualunque”. Vengono subito accusati e processati per apologia al regicidio i «sovversivi» fratelli Creazzo i quali, per sottrarsi all'arresto, fuggono attraverso i tetti delle case. Il principale accusato, il giovane fratello minore Francesco, ripara in America dove perisce in un tragico incidente ferroviario. Si saprà in seguito che lui stesso era stato l'autore dell'ambiguo scritto murale, con l'intenzione chiarissima di biasimo nei riguardi dello sparatore Bresci e non del Re ucciso.


    Tre anni dopo Pasquale si sposa con Alfonsina Avenosi che gli darà ben nove figli: Federico, Garibaldi, Libero, Alba, Bixio, Aurora, Adone Spartaco, Vera Era Rossa e Gloria.
  E’ un periodo in cui lavora intensamente per l'organizzazione e la formazione delle coscienze socialiste nella piana di Gioia Tauro e delle sezioni, ma nel 1906 per bisogno e per cambiare probabilmente aria è costretto a emigrare in America e capita nelle foreste ancora vergini della Carolina dove si lavorava per la costruzione di un tronco ferroviario. Qui denunzia, su un giornale del luogo, le malversazioni, le intimidazioni e i delitti della Società costruttrice: ciò provoca un allarme e un'inchiesta delle autorità governative, quindi per sfuggire al grave pericolo che lo minacciava e per le insistenze della moglie decide di rientrare in Italia.

   E dopo appena qualche anno dal suo rientro in Italia,esattamente nell’inverno tra il 1909 e il 1910 organizza a Cinquefrondi un numeroso circolo operaio dal quale nascerà la prima sezione socialista della Piana. Consideriamo la difficoltà del tempo, la mancanza assoluta di veicolazione delle idee all’interno dei poverissimi paesi della Piana, l’azione repressiva delle forze dell’ordine e dei prefetti dell’epoca, la carenza assoluta di mezzi. Eppure la sezione crebbe e si impose quasi subito come modello per tutto il mondo contadino, artigiano e operaio dell’intero territorio, tanto che quando nel 1911 il Creazzo iniziò una dura propaganda contro la guerra in genere, ma soprattutto contro l’impresa coloniale in Tripolitania, molte delle sue idee furono prese in prestito in vari comizi tenuti nei centri più dinamici della Piana. E il suo duetto, “La zappa e la spada”, qui riproposto anche nella versione canora di Pasquale Quaranta, cominciò presto ad essere recitato a memoria in varie manifestazioni di piazza contro la guerra.


Nc'era 'na zappa mpenduta a 'nu muru
di 'nu catòju niru affumbicàtu,
china di ruggia, queta, ntra lu scuru,
cu na lucenti sciàbula di latu.

La sciàbula nci dissi: « O zappa strutta,
vattindi, esci di ddocu pe favùri:
non è lu postu tój, tamàrra brutta
vicin'a mmìa chi lustru di sbrenduri.

Non bi' ca feti a pesta di fumèri,
di terra e porcaria chi sai 'nchiappari?
Lordazza, esci di ddocu ca non meri
di latu a nu strumentu militari!...

Iu vegnu di la guerra e cu l'onùri
di prìncipi, surdati e cavaleri,
ca fici valentìzzi a tutti l'uri,
mpilandu musurmàni e turchi veri.

E mi portaru ccà pe 'nu ricordu
di groglia e di curaggiu militari,
e non vurrìa daveru mu m'allòrdu
mpenduta cu nu ferru di zappàri!

A tìa lu to patrùni ti lassàu
pe quantu si sdegnùsa, zappa brutta!
ma quando nd'appi a mmia si ricriàu,
se bòi pe mmu la sai la storia tutta.

E... ndi minàmmu botti di crepàri...
ndi ficimu jochétti ntra la guerra...
tagghjandu a MoriMamma e und'esci pari,
e non c'importa mu ca dormi 'n terra!

Ca mó, cu vid'a mmìa si l'arricorda
li valentizzi sój, la sój persùna...
m'a ttìa, cu vid'a ttìa, zappùna lorda,
vicin'a mmìa pi scornu si mpuzzuna! »

La zappa cchjù non potti risístiri,
e nc'issi: « Veramenti si mprisùsa...
m'a mmìa non mi cumbínci lu to diri,
ca si putenti, guappa e valurùsa.

Lu vì, pi ttìa 'sta casa è ruvinàta;
spirtu di nfernu, facci di guccèri,
nfama, spaccùna, brutta sbuccazzàta,
vattìndi tu di ccà, ca tu non meri.

Tu feti di peccati di 'sassìna,
tu lustri di dolùri, chianti e guaj,
di sangu tu si lorda china china,
e tu smerdiji a mmìa pecchì zappài?

Undi t'azzìppi tu lu beni peri;
peri la gioventù e nun c'è chi fari,
ma und'eu zappài la terra cu fumèri
nzumàu lu megghiu cjuri di mangiari.

Pe mmìa si fa lu 'ranu pe farina
e di la terra tutti li prodùtti;
senza di mìa non gugghij la cucina
e mancu vinu trasi ntra la gutti.

E nd'hai l'ardìri pe mmu mi mpuzzùni
ca lu patrùni meu m'abbandunàu;
ma quandu mi mpendìu cu lu spuntùni
sacciu io sula chianti chi jettàu!

Mu cangi'ammìa pe ttia, mu va a la guerra,
'na leggi pripotènti l'obbrigàu,
se nno non jia m'arròbba strana terra,
pe cui la morti barbara trovàu!

E mó, guarda 'sta vecchia nduluràta
chi lu figghiòlu ciangi notti e jornu;
guardala com'è affrìtta, scunsulàta,
ca ciangi puru tu se senti scornu.

Moríu, ntra 'stu catóju l'abbundanza,
'nu mantu di dulùri l'accuppàu!
finíu cu chianti e luttu la speranza,
chi mmu t'allàmpi tu e cu ti purtàu!

Scappa, fuji di ccà birbant'azzàru,
ca nun c'è mostru bruttu comu a ttìa,
va fa pe mmu ti 'mpasta lu furgiàru,
pe mmu ti faci zappa comu mia! »

     Il Partito Socialista si incrementò rapidamente, tanto che appena dopo due anni dalla fondazione della sezione di Cinquefrondi Creazzo riesce con l’aiuto di Nicola Mancuso, Carlo Mileto, Francesco Mercuri ( poi Sindaco socialista di Giffone) e di molti altri a costituire un comitato per la campagna elettorale che porterà all'elezione del socialista Francesco Arcà deputato al Parlamento avendo la meglio sul potentissimo giolittiano Giovanni Alessi che rimane trombato pir essendo abbondantemente appoggiato dagli agrari e dalla mafia dei campieri e delle guardianìe che imperversava in tutte le campagne della Piana. 

  La campagna elettorale fu veramente combattutissima. quasi sanguinosa, ma servì a diffondere in tutte le piazze idee ed entusiasmi nuovi che il popolo non aveva mai nutrito. Cominciarono a girare foglietti, poesie, canti e ogni domenica tutte le piazze del Collegio erano affollate da molti comizi fortemente partecipati dalla gente, persino da alcune donne coraggiose che per la prima volta riuscivano a organizzare squadre di raccoglitrici di olive che andavano ad ascoltare i comizi da lontano.

   Era sicuramente un trascinatore con la sua dialettica suadente e pacata, ma decisa e nella vita pratica gli erano facili e congeniali tutte le iniziative che intraprendeva.Fu apprezzato collaboratore e corrispondente di molti giornali e riviste; quali l'Avanti, il Corriere della Calabria, La Fiaccola, Calabria Rossa, La Luce, Nosside, Calabria Avanti, Calabria Letteraria. Scrisse moltissimo, raccogliendo egli stesso le sue cose in 5 volumi manoscritti e in parecchi fascicoli di appunti e ricerche storiche, archeologiche, numismatiche, etniche, discorsi e commemorazioni varie.
Molte sue poesie furono pubblicate da varie riviste e giornali del tempo. Altre, compreso il volume di poesie dialettali dell'Abate Conia di Galatro, le pubblicò a sue spese. E ciò, se ve ne fosse ancora bisogno, dimostra il suo grande coraggio, ma soprattutto il suo grande valore intellettuale oltre che ideologico e civile.

Tanto versato nella politica, nelle arti e nello studio, non era un uomo d’affari. . Aprì una delle prime sale cinematografiche una fabbrica di acque gassate e bibite, una oreficeria e orologeria, una segheria per abbozzi di pipe di erica ma, vuoi per la scarsissima circolazione di denaro legata ai tempi vuoi per la sua generosità senza limite ne usciva sempre in perdita, oppresso dai creditori e dagli opportunisti di ogni risma che non mancano mai:


Nci sù l'opportunisti pé natura,
Cuntenti tutti senza vucch'amàra;
Tutti li leggi accettan'a bon'ura...
Di cìnnari o farìna, sù crisàra.
Tra la gnuranza e la vigliaccaria
Si mbàrdanu e nun sannu mai pecchì;
Di capizza tiràti a la campìa,
Abbàscianu la testa e dinnu: sì...

Ma poi nci sù l'opportunisti veri
Chi cangianu culuri pé dinàri:
Di chisti (malanova mu li peri)
Cui noi li ncàppa...s'havi di guardàri.

Pé cchisti, non c'è credu e nnò partìtu,
Si jéttanu, undi nce di profittàri:
Tràdinu a Crìstu nChiesa e ad ogni sìtu
Jocandulu cù carti di pezzari!...

Di li difetti, ncé cù l'havi tutti,
E chisti sù li grandi farabutti!,

E se nsiamài su menzi ntilligenti,
Sù li cchiù perniciùsi dilinquenti!...

Dio mu ndi scanza, di sti mulinari!...
Se Cristu ncruci tornarìa appilàri,

Cù Juda accordarianu lu partìtu,
E cù la spònza nci darrianu acìtu..(Li veri opportunisti). 


  Proprio per la miseria subito dopo lo scoppio della Grande Guerra è costretto a recarsi al Nord. Parte, a capo di una squadra di operai per il Friuli e precisamente per Cormons e Corno di Rosazzo dove fervono i lavori necessari per la difesa delle linee italiane nelle immediate retrovie del frante. Furono anni di durissimo lavoro che tuttavia consentirono a Creazzo e a chi era con lui di conbtinuare a interiorizzare il credo socialista. E quando, nel 1921, dopo la scissione avvenuta al congresso socialista di Livorno, aderisce al Partito Comunista, egli si schiera apertamente contro i Riformisti, rei, a parer suo, di aver annacquato il Socialismo con mille compromessi.

    All'avvento del Fascismo, continua la sua lotta clandestina, mantenendo collegamenti epistolari segretissimi con i compagni in Italia e all'estero. Per tutto il Ventennio non riuscirono a piegarlo i fermi polizieschi, gli arresti, le intimidazioni e gli allettamenti a cambiare stato e posizione economica che si susseguivano in modo impressionante. Era un uomo che non si faceva intimidire da nulla e che non scendeva a patti con la propria coscienza civile neanche se costretto alla fame. Dopo la Liberazione riuscì a riprendere intensamente la riorganizzazione della lotta, formando numerose sezioni comuniste uscite dalla clandestinità, ma presto entrò in polemica con gli stessi comunisti e si ritirò dal Partito, continuando, da indipendente, la lotta antifascista e per il socialismo.

    Concluse la sua eroica e singolare esistenza a Cinquefrondi il 7 settembre 1963 con grandissimo rimpianto di quanti lo avevano conosciuto, ma soprattutto dei lavoratori e degli oppressi di tutta la Piana. La sua bara fu avvolta nella bandiera rossa con falce e martello e la banda musicale intonò l'Inno dei Lavoratori e l'Internazionale. Nel 1979, su mia insistenza, l’editore Barbaro di Oppido Mamertina pubblicò la prima e unica silloge delle poesie di questo grande cantore della civiltà contadina della Piana con il titolo “Poesie dialettali”.



E quantu, quantu guài ntra sta mè vita!
Diquand'escia la raku peniàta!
Fui condannàtu comu la munìta:
Posa no ndàppi mai, mija jornàta!

Jocata storta fu la mè partita,
Di chija ceca Sorti, disgraziata...
Orfanu, straniàtu, senza mìta,
Mbattìa sempri sdarrùpi a la mè strata!

Cumu chiji a lu limbi cundannàtu,
Non trovu jazzu mai ntra nnùiu sìtu...
Di paci o di riposu sù assitàtu.

L'urtimi jorna, armènu, ndisturbàtu,
Vorrìa nu passu mpàci di Rimitu  (Arzura)