giovedì 23 luglio 2015

LE REALI FERRIERE NEL REGGINO: ARANGEA

di Maria Lombardo
   Un altro scavo  nella storia minima, ma gloriosa, dell'imprenditoria locale che sembra non esserci mai stata da queste parti, ma che nell'Ottocento registrava grandi successi invidiati da molti...
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  Di questa testimonianza si deve ringraziare il prof Orlando Sorgonà il quale per primo ha ricercato e portato
notizie sulle Reali Ferriere del Reggino. La “ corsa all'argento” interessò il territorio di Arangea nel Reggino, ma purtroppo oggi rimane solo qualche toponimo a dare testimonianza di quel passato. A riguardo i toponomini, uno è quello identificato come l'Argenteria, un'area collinare, ubicata lungo il corso della fiumara del Valanidi, dove vennero realizzate delle gallerie, da parte di operai specializzati, provenienti dalla Sassonia, per l'estrazione dell'argento e testimonianza di quanto detto è un importante e prezioso reperto custodito presso il piccolo museo San Paolo di Reggio Calabria. Si tratta, di un voto indirizzato a Dio, da parte di Carlo III di Borbone e della sovrana Amalia, come segno augurante per le attività estrattive, e sul retro di questo manufatto, un piatto rotondo, usato durante le celebrazioni religiose, su cui veniva poggiato il calice (del quale non vi sono tracce) e sul cui retro si trova incisa la seguente iscrizione: «Primitiae Dea a Carolo isp. Imp. Et Amalia Poloniae et Sax. Utique Siciliane dominantibus, ex oenofodinis. 1750». Una vera manna dal cielo questa testimonianza così nessuno potrà dare falsa testimonianza storica sull'esistenza di questo Opificio Reale di cui siamo veramente pochi a darne testimonianza. 
   Due erano gli edifici adibiti alla lavorazione in cui erano stipati fornelli, macchine, e due laviere insomma una realtà all'avanguardia per i tempi era stata voluta con un lusso tutto reale. All'esterno era posizionata la fucina, 4 forni due per purificare il metallo e due per triturarlo. L'argento veniva estratto anche nelle zone di Bagaladi e San Lorenzo, dove erano ubicate cinque miniere, mentre altre zone di scavo si trovavano in contrada Cerasino, mentre una galena di piombo venne ritrovata nel 1755 a Rosalì, dove erano state aperte tre piccole gallerie nelle quali l’ estrazione venne effettuata per un breve periodo, a causa del rapido esaurimento del metallo. Ed anche questo argento confluiva ad Arangea per essere lavorato.
    Bisogna spiegare anche che dalla vicina Sicilia giungevano carichi di minerale per essere trasformato. Dagli studi del Cortese in "Descrizione geografica della Calabria" si evince che nella zona di Trunca vennero realizzate delle gallerie strettissime, simili a quelle della valle Aurina in Alto Adige, dove si estraeva del rame di buona qualità; mentre altri scavi vennero effettuati nelle zone di Santa Trada, S.Aniceto, Montebello e nella zona di Condofuri. Ovviamente lo Stato Borbonico decise di provvedere alla fondazione di un piccolo villaggio che sorgeva vicino allo stabile ed era bitato da operai, minatori, militari e tecnici.
    Secondo le cronache del tempo le unità lavorative che insistevano sul luogo superavano le 700 unità,che nel corso degli anni diedero vita al popoloso quartiere, che a tutt'oggi ne conserva la toponomastica: Arangea.
    La Ferriera di Arangea lavorava ed estraeva ben 4 tipi di minerale: il rame, il piombo, il ferro e l'argento. Il materiale estratto veniva portato fuori dai cunicoli in panieri per poi permettere agli animali, asini e cavalli , il suo trasporto fino all'Opificio. Ubicata però in una postazione sensibile alle alluvioni l'opificio venne molte volte inondato e in ogni caso clima et natura presero il sopravvento.
  Nel 1783 successe che il sisma che si scatenò proprio nel Reggino sbriciolò l'opificio irreparabilmente. Ed ancora in una nota informativa del 1823 il Melograni ebbe a riportare a riguardo il Valanidi che «... lo scavo principale era il cunicolo della Stroffa, che ora è tutto sepolto e riempito dalla fiumara, il cui letto è salito tanto che ha coverto la cima del cunicolo ...» E nel 1870 i ruderi rimasti vennero abbattuti su commissione di Filippo Foti che ne salvò solo la casina.
    Tra tante cronache del periodo Borbonico che ne danno testimonianza fu però un naturalista che cercò di studiare l'Argentiera in toto e descrisse così i cunicoli che visitò:” questa galleria mostra a destra e sinistra le tracce del lavoro”. Anche i funzionari del Re lasciarono testimonianza: nel 1817 Pietro Pulli dice:”grandi massi di miniere di rame, con ferro e matrice quarzosa” vi erano a San Lorenzo.
    La fortuna mineraria del Reggino si esaurì presto; durò solo un ventennio a causa dei colpi inferti dalla natura e poi dai costi del lavoro. Fu poi il Marchese Nunziante uomo di valore imprenditoriale che chiese al Re Ferdinando II di poter scavare all'Arangea ma con scarsi risultati. Oggi gli agrumeti e l'edilizia hanno fatto dimenticare quel passato industriale.