martedì 30 giugno 2015

GIOIA TAURO MUORE D’INVIDIA PER LA ZES DI TANGERI

di Domenico Napoli
     Le Zone Economiche Speciali (ZES) furono create nella Repubblica Popolare Cinese a partire dagli anni ’80 del secolo scorso con la riforma dell’Economia Socialista di Mercato voluta da Deng Xiao Ping, il successore di Mao Tse Tung. Nelle ZES cinesi è in atto un particolare sistema di franchigia doganale sulle materie prime destinate alla lavorazione industriale e, successivamente, all’esportazione, ed una completa liberalizzazione e flessibilità del mercato del lavoro. Ciò ha consentito uno straordinario sviluppo economico delle aree interessate, come testimoniato dal caso della prima ZES costituita, nella città di Shenzen: agli inizi degli anni ’80 Shenzen, situata nella baia di Hong Kong, dove sorgono anche le città di Macao e Canton era una cittadina di 25.000 abitanti, mentre oggi è una metropoli di 3 milioni di abitanti. Nel Mediterraneo, oltre alla crescente realtà di Tangeri in Marocco, possiamo segnalare ben otto zone franche minori in Egitto e una a Smirne in Turchia. E’ questo il modello a cui bisogna riferirsi per Gioia Tauro, ma si continua a perdere volutamente moltissimo tempo.
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    Abbiamo guardato, e guardiamo ancora, con sufficienza i marocchini che venivano a vendere ( e in piccola parte continuano a farlo) le loro cianfrusaglie per le strade e sulle spiagge per guadagnare qualche euro e poi tornarsene a casa e investirlo in cambio di tanti, ma tanti Dirham con cui costruirsi una casa o aprire una nuova attività produttiva e commerciale. Molti l’hanno già fatto in questi ultimi anni, ma non solo loro. Parecchi imprenditori italiani infatti hanno ormai lasciato soprattutto la Sicilia, la stessa Calabria e altre zone della Penisola per impiantare sul territorio del Marocco le loro aziende grazie alla politica intelligente del governo di Rabat che concede suoli, energia , strade e acqua pressochè gratis a chi apre uno stabilimento e dà lavoro a quell’esercito di ex disperati che un tempo scappava anche dalle coste del Magheb ed approdava sulle nostre per elemosinare pochi spiccioli quotidiani.

    La misura di questa nuova politica vincente di Rabat è la realtà di Tangeri (foto 1), nata e cresciuta in pochissimo tempo al contrario delle insipide e colpevoli lungaggini italiane che non hanno consentito e non consentono ancora la nascita della ZES a Gioia Tauro.
  A fronte della fragilissima politica economica nostrana, il governo di Rabat sta provvedendo all’ampliamento del porto di Tangeri, realizzando quello che viene denominato TangerMed II che, una volta completati i lavori, sarà il più grande porto del Mediterraneo, con una capacità potenziale di 8 milioni di TEUS: grazie a tutta una serie d’incentivi che contribuiscono ad aumentare l’interesse nei suoi confronti da parte delle imprese straniere interessate a delocalizzare la produzione (ad esempio IRES 3 “Imposta sul Reddito delle società” allo 0% per i primi 5 anni e al 17,5% per gli anni seguenti, IRPEF al 20%, sostegno alla formazione continua, flessibilità della legislazione sul lavoro, tariffe telefoniche e contratti di locazione fino al 30% inferiori rispetto ai prezzi di mercato, e un regime doganale e fiscale speciale - previsto l'esonero d’imposte sull’acquisizione di terreni, di licenze industriali per un massimo di 15 anni, sui ricavi delle azioni e sui redditi dei non residenti - come del resto per la Tanger Free Zone e le altre piazze offshore vecchie e nuove (CasaNearShore Park, che si estende su una superficie di 290.000 m2 e può ospitare oltre 30.000 lavoratori, il TechnoPolis di Salè-Rabat, che si sviluppa su una superficie di 300 ettari, il parco integrato di FèsShore - consegna della prima tranche del progetto è prevista per il giugno del 2010 - che potrà disporre di una superficie di 131.000 m2).

    Si sta realizzando insomma proprio dirimpetto alle coste della Calabria , a non molte miglia nautiche di distanza, il sogno di Gioia Tauro, quello che in una recente convegno sui possibili fattori di sviluppo per il porto calabrese, Domenico Bagalà, Amministratore Delegato della “MCT s.p.a.” Medcenter Container Terminal (vd. filmato e seconda foto) ha ripreso raccontando con una punta di invidia per tutti noi, l’esperienza di Tangeri, che nonostante presenti ancora un tessuto sociale ed economico più disastroso dell’Italia, in 4 anni è riuscita a ottenere risultati strabilianti grazie alla ZES.
    Secondo Bagalà infatti la semplificazione normativa è un punto importante per le imprese che vogliono investire, a Tangeri è stato creato uno sportello unico, un unico interlocutore cui si rivolge l’azienda e che si districa successivamente nelle concessioni su più livelli. Ha inoltre specificato come la ZES sia un progetto per una zona che non possiede particolari risorse finanziarie, e dove proprio le imprese che decidono di investirvi possono fungere da start up dell’economia della regione. Il Mediterraneo, attualmente, non presenta elementi di attrazione per le imprese internazionali, perciò la ZES, come fattore di sviluppo e miglioramento logistico potrebbe portare benefici sostanziali all’economia dell’area.

    Una necessità ormai imprescindibile più volte ribadita dallo stesso ingegnere Marco Simonetti, rappresentante della Contship Italia Group,( a sinistra nella terza foto) che ritiene indispensabile un impegno congiunto per creare interesse sull’area calabrese. Per Simonetti importante è, senza dubbio, sviluppare la zona retrostante per dare piena attuazione a un tipo di traffico che non sia solamente il transhipment. Il mancato impegno in questo senso potrebbe portare a un trasferimento completo del traffico navale in porti non UE, se questo non risultasse più conveniente per le grandi imprese navali. Questa fattispecie costituirebbe una seria minaccia per gli scambi marittimi dell’Europa e per la continuità degli approvvigionamenti dei Paesi comunitari.
    Appare chiaro che l’opportunità per l’area industriale del porto di Gioia Tauro diventa proprio questa, ossia quella di inserirsi all’interno delle reti internazionali di relazioni commerciali – industriali – organizzative, e favorire l’insediamento di industrie che si occupino dell’assemblaggio di un prodotto finito.

    L’ottimismo della volontà ci induce ancora a sperare, malgrado il pessimismo della ragione che vede nell’atteggiamento attuale dello Stato verso il Porto e verso la stessa stabilizzazione dell’autorità portuale esempi di assoluto disinteresse che occorre rimuovere al più presto se si vuole inaugurare una nuova stagione per la Piana di Gioia Tauro, per la Calabria tutta e per il Mediterraneo!

domenica 28 giugno 2015

'U MONACU JANCU D’ASPROMONTE

di Maria Lombardo
   Questa Calabria  sorprende sempre: ha molto, e dico molto, da dire, basta ascoltarla, basta essere sicuri che essa  vuole essere scoperta. La storia che intendo raccontarvi potrebbe essere la sceneggiatura di un film che vede come location l'acrocoro aspromontano.
    In contrada Crocefisso, vicino a Bianco, esiste un vecchio cimitero contiguo ai ruderi del Convento di S. Maria della Vittoria che ormai è interamente scomparso, coperto dalla vegetazione circostante. Un convento che già dal 1678 era rinomato per le due “Fiere della Croce” che si svolgevano a maggio e che richiamavano gente da tutta la Locride , ma anche dalla costa tirrenica dell'attuale provincia di Reggio .
    Indubbiamente era tappa sicura per chi viaggiava per la Regione. Sempre da e  in questo luogo partivano ed arrivavano le lettere fra Padre Bonaventura e Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, la quale, prima di sposare Ferdinando II, aveva scelto di farsi monaca e scelto misteriosamente come suo confessore un monaco calabrese.
    Il complesso conventuale finì i suoi giorni quando subì le violenze dei soldati piemontesi che, arrivati qui per unificare l’Italia, lo incendiarono e fucilarono i religiosi.
   U monacu Jancu, ossia Giuseppe Lucà , di origine polistenese, chiamato così perché albino e di pelle candida, fu inviato proprio in questo convento. Si innamorò perdutamente di una donna del luogo e iniziò ad offrirle un’ospitalità non proprio religiosa. Era proprio innamorato di Ciccilla Macrì, che nella sua parlata di Polistena chiamava "Ciccira".
    I frati che vivevano con lui si scandalizzarono di questo comportamento e più volte lo invitarono a placarsi. Si narra  però che il monaco era considerato una sorta di stregone. Proprio per questo motivo non fu cacciato dal convento: la sua condizione di albino lo faceva tacciare di atti di magia fondamentalmente temuti da tutti.... Rimase così ben presto unico ospite del convento.
    Vi sono molte storie legate a questa figura, tra cui una emblematica: nel 1859 moriva a Bianco il prete Giulio Medici. Dopo la messa funebre la salma venne condotta al Convento sopra citato, ma il giorno della sepoltura trovarono la salma sfregiata e con le gambe rotte. Era stato il monaco Jancu a ridurre in tale stato il corpo esanime del sacerdote Medici per vendicarsi di un’offesa da lui ricevuta anni prima.
    Tutti si domandarono attoniti ed inorriditi che cosa fosse successo durante la notte, ma qualcuno ricordò che qualche tempo prima il monaco Jancu s’era recato un giorno a Bianco, dove per caso aveva incontrato il sacerdote Giulio Medici, il quale, appena lo vide, lo chiamò a sé e, quando gli fu a tiro di bastone, alzò il suo, sul quale si appoggiava nei suoi movimenti, e gliene diede più che poté. Motivo di questa sfuriata del Medici era stato il fatto che alcuni giorni prima un suo colono aveva portato al monaco Jancu, anziché a lui che ne era il proprietario, le primizie di un frutteto quale disobbligo per averlo, il monaco Jancu, liberato dagli effetti malefici di una magia ed il sacerdote Medici se n’era risentito. Il monaco Jancu evidentemente aveva ingoiato per il momento il rospo, incassando le botte senza reagire, in attesa però dell’ora della vendetta, che era giunta appunto dopo la morte del Medici…
   Il monaco Jancu lasciò il suo regno terreno – il Convento del Crocefisso – per quello dell’aldilà qualche tempo dopo il febbraio del 1908. Si racconta che dopo la morte e poco prima di essere seppellito si svegliò e un prete di Bianco, per non consentirgli di “resuscitare”, lo colpì con una grossa croce di legno.
    Con la sua scomparsa il convento fu chiuso al culto divino e trasformato in cimitero, un cimitero monumentale per i paesi di Caraffa, S. Agata e Casignana

venerdì 26 giugno 2015

CHI RESTERA’ A PULIRE QUESTA CALABRIA SEMPRE PIU' SPORCA?

di Bruno Demasi
    Quando Maria Carmela Lanzetta, con un gesto che riscattava in qualche modo tutti i suoi errori politici precedenti, lanciò qualche mese fa un macigno nei piani alti della piccionaia politica calabra rifiutando categoricamente di fare parte di una giunta regionale nella quale era presente tale Nino De Gaetano, il mondo partitico politically correct locale, senza distinzione di bandiera, sussultò di paura , ma fece finta ugualmente di scandalizzarsi e di stracciarsi le vesti .
    A tale stracciamento fece eco la parlamentare calabra Bindi, che non potendo stracciarsi le pesanti vesti con cui è adusa proteggere le sue vetuste grazie, decise di pilotare le “indagini” della commissione antimafia da lei presieduta non tanto verso il contesto politico allargato, sul candore del quale c’era parecchio da ragionare, quanto proprio verso la Lanzetta.
    Non vogliamo sapere di quale interrogatorio sia stata fatta oggetto quest’ultima da parte dell’ineffabile parlamentare antimafia che appena qualche giorno fa si indignava contro coloro i quali avevano osato mettere in dubbio il candore della microscopica giunta Oliverio, asserendo stentoreamente che su De Gaetano non era acceso “ nessun riflettore”, ma oggi è proprio il caso di offrire ai Calabresi dormienti e alla Bindi , come grazioso ricordo delle sue passeggiate in Magna Graecia, quest’albo d’oro degli indagati di Calabria e di coloro i quali sono stati raggiunti da provvedimenti di sequestro.
   Con la speranza che anche i Calabresi prima o poi si decidano a fare le loro grandi pulizie….!

ALBO D’ORO PERSONE INDAGATE APPARTENENTI AI VARI PARTITI  (nell'ambito dell'operazione "Erga Omnes", portata a termine dagli uomini della Guardia di Finanza di Reggio Calabria che, in questi mesi, hanno fatto luce sui contributi regionali per le spese istituzionali che sono risultati utilizzati per spese meramente personali. (fonte ilvizzarro.it):

1) FEDELE Luigi, nato a Sant'Eufemia d'Aspromonte (RC) il 29.05.1953;
2) AIELLO Pietro, nato ad Ardore (RC) il 30.06.1956;
3) NUCERA Giovanni, nato a Reggio Calabria il 02.01.1953;
4) TRIPODI Pasquale Maria, nato a Montebello Ionico il10 maggio 1957
5) FRANCO Giovanni, nato a Reggio Calabria il 28.06.1949
6) DATTOLO Alfonso, nato a Rocca di Neto (KR) il 23.04.1964;
7) GALLO Gianluca, nato a Roma il 22.11 .1968;
8) BILARDI Giovanni Emanuele, nato a Reggio Calabria il26.03.1968;
9) TRAPANI Carmelo, nato a Reggio Calabria il 02.03.1973;
10) GRILLO Alfonsino, nato a Vibo Valentia (VV) il 18.03.1967;
11) PARENTE Claudio, nato a Rogliano (Cs) il17 giugno 1956;
12) MAGARO' Salvatore, nato a Castiglione Cosentino il 29 maggio 1954;
13) DE GAETANO Antonino, nato a Reggio Calabria 1'11.06.1977;
14) AIELLO Ferdinando, nato a Cosenza il 26 novembre 1972;
15) BOVA Giuseppe, nato a Reggio Calabria il29.10.1943;
16) ADAMO Nicola, nato a Cosenza il 31 luglio 1957;
17) CICONTE Vincenzo Antonio, nato a Vibo Valentia il 15.1 1.1 955
18) GIORDANO Giuseppe, nato a Reggio Calabria il 05.06.1972;
19) DE MASI Emilio, nato a Crotone il20.07.1948
20) TALARICO Domenico, nato a Conflenti (CZ) il 18.05.1963;
21) PRINCIPE Sandro, nato a Rende (CS) 1'11.08.1949
22) BATTAGLIA Demetrio, nato a Motta San Giovanni 1'1 novembre 1959;
23) AMATO Pietro, nato a Borgia (CZ) il21.05.1939;
24) CENSORE Bruno, nato a Serra San Bruno (VV) il 06.08.1958;
25) FRANCHINO Mario, nato a Montegiordano (CS) il20.01.1954;
26) MAIOLO Mario, nato a Cosenza, il 23 maggio 1963;
27) GUCCIONE Carlo, nato a Rende (CS) il13 Marzo 1960;
28) SCALZO Antonio, nato a Conflenti (CZ) il 31 agosto 1955;
29) SULLA Francesco, nato a Cutro (KR) il14 maggio 1954;
30) LOIERO Agazio, nato a Santa Severina (KR) il14.01 .1 940
31) FEDELE Diego, nato a Reggio Calabria il 18.01.1986

ALBO D’ORO DEI POLITICI DEI VARI PARTITI DESTINATARI DI PROVVEDIMENTO DI SEQUESTRO (emesso dal gip di Reggio Olga Tarzia su richiesta del procuratore aggiunto di Gaetano Paci e del sostituto Matteo Centini nell'ambito dell'operazione "Erga Omnes"):

1) Luigi Fedele, per una somma pari a € 399.969,03
2) Antonino De Gaetano per una somma pari a € 410.588 per uno dei capi di imputazione, più € 1.254,00 per un secondo capo di imputazione
3) Giovanni Emanuele Bilardi, per una somma pari a € 357.655,96
4) Giovanni Nucera, per una somma pari a 34.777,99
5) Pasquale Maria Tripodi, per una somma pari a € 161.091,82 per uno dei capi di imputazione, più altri € 25.200 per un secondo reato contestato
6) Nicola Adamo per una somma pari a € 278.856,1
7) Vincenzo Antonio Ciconte, per una somma pari a 10.709,00 per uno dei capi di imputazione, più € 41.251,28 per un secondo reato contestato, più € 17.550,00 per un terzo reato
8) Carlo Guccione,per una somma pari a € 27.186,07
9) Antonio Scalzo, per una somma pari a € 11.193,54
10) Pietro Aiello, per una somma pari a € 37.160,04
11) Alfonso Dattolo, per una somma pari a 185.169,34
12) Gianluca Gallo, per una somma pari a 12.477,64
13) Alfonsino Grillo, per una somma pari a € 95.100
14) Claudio Parente, per una somma pari a € 14.543,07
15) Salvatore Magarò,per una somma pari a € 6.610
16) Ferdinando Aiello, per una somma pari a 3.680,08, più € 20.489,15 per un secondo reato contestato, più € 16.540,76 per un terzo reato contestato
17) Emilio De Masi, per una somma pari a € 20.694,55
18) Domenico Talarico, per una somma pari a € 13.175,08
19) Sandro Principe, per una somma pari a € 35.087, 19
20) Demetrio Battaglia, per una somma pari a € 8.761,75
21) Pietro Amato, per una somma pari a € 13.836,23
22) Bruno Censore, per una somma pari a € 10.173,86
23) Mario Franchino, per una somma pari a € 47.020,83
24) Mario Maiolo,per una somma pari a € 88.963,25
25) Francesco Sulla, per una somma pari a € 42.108,19 26)
26) Agazio Loiero, per una somma pari a € 15.625,45, per uno dei capi di imputazione, più € 13.902, per un secondo capo di imputazione.

giovedì 25 giugno 2015

PLATI’, OMBELICO DELL’ ITALIA SPOLITICA, MA NON PER BINDI & Co.

di Bruno Demasi
   Ci stanno passando tutti o quasi tutti ormai da Platì i politici calabri. Ci arrivano in automobile con una scorta di tutto rispetto di fotografi e cronisti , ne scendono già alle prime case del paese e si dirigono almeno a piedi, non potendo affermare di esserci arrivati a dorso di mulo, verso il cuore del piccolo centro, che ormai fa tutt’uno con l’Aspromonte anche nell’immaginario collettivo. Ma il massimo della libidine sociopolitica e veteromeridionalista si raggiunge quando si visitano certe contrade o frazioni di Platì, come Senoli, e si fa scoprire al mondo che ancora nel 2015 le case non hanno l’acqua corrente.
   Ci stanno passando tanti, ma non si comprende perchè mai non ci sia passata l’ ineffabile gentildonna senese calabra ( o calabro senese che dir si voglia) Rosa Bindi, nella sua duplice veste di stagionata parlamentare devotamente fatta
eleggere in Calabria e di presidentessa della commissione antimafia, che nei giorni scorsi è tornata a miracol mostrare da queste parti producendosi in capricciose conferenze stampa in cui ha seminato patenti di legalità e di illegalità a tutti e a nessuno e ha persino osato sfidare la proverbiale pazienza dei vescovi calabri che per bocca di Mons. Nunnari , sotto un Crocifisso orridamente appeso al muro senza croce (non si capisce se per risparmio sul legno o perchè la Croce sia andata fuori moda) hanno potuto riaffermare a memoria l’enunciazione di principio mutuata da Wikipedia “- Con il Vangelo la mafia non ha nulla a che fare. Potranno avere immagini votive, potranno insinuarsi nelle processioni ma i mafiosi sono l'anti Vangelo”.
    Se poi si decide di investire, come ha fatto Ernesto Magorno attraverso Oliverio, una manciata di soldi pubblici pagati dai platiesi e dai senolesi stessi con tasse sanguinose versate allo Stato estero ubicato a Roma e da questo centellinate al governo regionale estero residente a Catanzaro, per allacciare all’acquedotto le case di Senoli, si accendono subito i fuochi d’artificio per bollare d’incuria (giustamente) secoli di falsa politica regionale alternativamente destrorsa e sinistrorsa e al mondo il prodigio dell’acqua che scaturisce dalla rupe ed arriva finalmente nelle case per dissetare le genti incapaci di presentare liste alle elezioni comunali, ma che tuttavia non si sottraggono nel loro piccolo quando si tratta di votare per le consultazioni regionali, nazionali o europee.

    Che Senoli non avesse l’acqua corrente lo sapevano benissimo tutti gli amministratori locali, provinciali e regionali della Locride, variamente colorati o colorabili, che nel tempo si sono avvicendati per far finta di governare il nulla. E sapevano anche che in una realtà come Platì e frazioni ( ma non solo lì) sarebbe stato criminale da parte dello Stato lasciare a se stessi il comune ,la scuola, i servizi sociali, la chiesa stessa a gestire il disastro del sottosviluppo sociale e dell’aborto secolare della democrazia senza mezzi di nessun genere.
    Che i riflettori stiano puntati su Platì è sicuramente un bene. Che Ernesto Magorno vanti l’iniziativa idraulica di Senoli va benissimo. Ma non vorremmo che tutto finisse qui o in altre riprese del genere per dimostrare l’indimostrabile, e cioè che la gente di Platì e comprensorio (come tanta altra gente di sperduti e meno sperduti paesi degli entroterra di Calabria) ha finalmente acquisito l’educazione alla cittadinanza e alla legalità proprio grazia alla politica, a quella politica che invece ha sempre rappresentato lo Stato lontanissimo, a quella politica che la gente ormai detesta, a quella politica che è stata spesso e volentieri maestra di illegalità e di regresso sociale.

    Il progresso di un popolo – e non bisogna scomodare i grandi meridionalisti o Gramsci stesso o gli scrittori della Locride che in merito hanno versato fiumi di inchiostro e di sangue – si registra soltanto quando nasce spontaneamente dal cuore di un popolo libero e non è somministrato dall’alto da improbabili maestri o da “sollecitatori di democrazia” di mestiere.
   Il progresso di un popolo nasce conquistandolo  con fatica quotidiana che non cerca ricompense,con il  sacrificio silenzioso di tanti e con tutte le premesse perché la cittadinanza diventi attiva e consapevole dei propri diritti e dei propri doveri.
    In caso contrario, più che di progresso reale, si tratta soltanto del gioco delle tre carte: democrazia, legalità , cittadinanza, mescolate malissimo con le carte da poker dei milioni di euro, sprecati o rubati, o con quelle disseminate di assi,  re, cavalli e fanti di bastoni che comandano sempre e comunque la briscola…

sabato 20 giugno 2015

UN MESTIERE SOLO UFFICIALMENTE SCOMPARSO: ‘U VANDIJATURI

di Maria Lombardo
    “Sentìti! Sentìti! Sentiti! Vi dicu ca stasira ncigna a vindiri ‘u vinu novu Pascali Cucuzza…!!!!!”
    Era ai crocicchi delle strade dei paesi la voce lamentosa e monotona di una delle figure più pittoresche che un tempo animavano la vita delle nostre comunità, quella del banditore. Fino a una sessantina di anni fa per divulgare notizie di pubblico interesse infatti si jettava ‘u bandu, come si diceva nei paesi di Calabria, e non solo. Solo successivamente il bando dell’unica persona addetta iniziò ad essere sostituito dal richiamo degli ambulanti che arrivavano nei paesi e che propagandavano merci sia da acquistare che in vendita: "chi ha uova da vendere, chi ha da vendere olive, chi vuole ritirare capelli caduti in sede di pettinatura oppure alluminio vecchio o ferro vecchio o ancora di stracci di stoffa, in cambio di aghi, pettinini o spagnolette di cotone ?".
    Il vandijaturi, che in genere e nei paesi più poveri, viveva di espedienti ma doveva avere una voce buona, si spostava da una piazza all’altra (prima i paesi erano raccolti e meno rumorosi ed era facile farsi sentire anche senza altoparlanti) e vandiàva. Questa figura caratteristica poteva anche essere un dipendente del Comune e tra le varie mansioni che svolgeva (acquaiolo, camposantaro, addetto ai bracieri nelle scuole), aveva anche l’incarico di "gettare il bando", cioè di divulgare ad alta voce alla cittadinanza, girando a tappeto le vie del paese, avvisi, ordinanze, disposizioni, leggi, notizie ed informazioni che potessero interessare l'intera collettività.
    Il banditore, utilizzato per comunicare ai cittadini le disposizioni dell’Amministrazione comunale, della Chiesa o avvisi di privati cittadini , era spesso munito di trombetta e con il berretto municipale in testa, che gli conferiva una sorta di distintivo. Era frequente sentirlo strillare per le vie del paese, sopratutto all'imbrunire o di sera, quando si era certi che le famiglie, soprattutto quelle dei contadini, erano rientrate a casa dalla campagna e nelle case si era riuniti per il pasto principale della giornata, che era pranzo e cena insieme. Ma non era raro sentire la voce del banditore anche durante la mattinata, prima che le donne si recassero in campagna con il cibo da consumare durante la fatica, in modo che esse potessero informare della notizia i familiari che erano a lavoro.
    In ogni caso il bando aveva un’ importante funzione sociale perchè era l'unico modo che aveva la gente per informarsi della vita del paese.
    In alcuni paesi, per gli annunci ufficiali del comune, il banditore faceva precedere la sua voce dal rullo del tamburo; per gli annunci della Chiesa, invece del tamburo, veniva a volte suonato un grosso campanello, mentre gli annunci privati erano preavvertiti dal suono della trombetta. Era il momento in cui il paese conosceva il calendario civico o ecclesiastico sia nel bene che nel male.

    Il banditore aveva nella memoria tutti i punti in cui doveva sostare per l’annuncio ed usava rigorosamente il dialetto perché il messaggio fosse comprensibile a chiunque; il passaparola faceva il resto.
    Spesso “ i bandi” riguardavano il pagamento della luce all’immancabile esattore presente in municipio in determinati giorni e orari della settimana; la vendita di oggetti e beni legati alla produzione familiare; smarrimenti di chiavi di casa o di altri oggetti , dei quali si chiedeva la consegna allo stesso al banditore seguita da adeguata ricompensa, e persino annunci di matrimonio che poi venivano integrati a voce. Spesso in alcuni paesi il maggior timore per le famiglie dei nubendi era che, dopo gli annunci rituali, il coniugio non andasse in porto e toccasse rimuginare questa amara considerazione: “ Fìcimu, fìcimu e poi restammu ch’i bandi jettati!”.
* * *
   Oggi ufficialmente questa figura nei paesi non esiste più, ma di fatto esistono ancora molte e molti vandijaturi, che sia pure a bassa voce sussurrata nell’orecchio altrui, rendono di pubblico dominio situazioni vere, ma il più delle volte inventate, sul conto altrui.
Ma questo è un altro discorso…