sabato 29 giugno 2013

QUANDO LA PARROCCHIA, O LA CHIESA STESSA, RISCHIANO DI DIVENTARE ELITES O GRUPPI ESCLUSIVI...


    di Bruno Demasi


     Era il 25 novembre 2004, quando Papa Giovanni Paolo II, ricevendo in udienza i partecipanti all'assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici, in corso a Roma  sul tema: “Riscoprire il vero volto della parrocchia” lanciava un monito accorato sulla necessità di rivitalizzare la parrocchia e soprattutto aprirla realmente a tutti e non solo a pochi “eletti”.

         “La parrocchia – affermava il papa -  è la cellula vitale nella quale trova naturale collocazione la partecipazione dei laici all'edificazione e alla missione della Chiesa nel mondo. In quanto presenza che richiama costantemente ogni uomo a confrontarsi con il senso ultimo della vita, la parrocchia è porta aperta a tutti, perché ognuno possa accedere al cammino della salvezza”. In questa prospettiva, per Giovanni Paolo II, la parrocchia  dovrebbe diventare  quindi “il luogo per eccellenza dell'annuncio di Cristo e dell'educazione alla fede”, che però “ha bisogno di rinnovarsi costantemente per divenire vera ‘comunità di comunità', capace di un'azione missionaria veramente incisiva”. “Cuore pulsante della parrocchia” e “fonte della sua missione e presenza che continuamente la rinnova  è l'Eucaristia”.


  E da parte sua Papa Francesco, appena qualche giorno fa, nell’udienza in piazza San Pietro, ha sottolineato vigorosamente che “La Chiesa non e’ una ”elite”, ne’ ”un gruppo esclusivo”: tutti sono chiamati a farne parte, di qualsiasi origine siano, ”senza distinzioni. ”Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo perche’ e’ lui che ci chiama ci convoca ci invita a fare parte del suo popolo – ha spiegato – e questo invito e’ rivolto a tutti, senza distinzioni, perche’ la misericordia di Dio vuole la salvezza per tutti” ”Gesu’ non dice agli apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo un gruppo di elite – ha sottolineato Bergoglio -. Dice: andate e fate discepoli tutti i popoli. San Paolo afferma che ‘nel popolo di Dio, nella Chiesa, non c’e’ piu’ giudeo ne’ greco, poiche’ tutti voi siete uno in Cristo Gesu”’. Il Papa si e’ quindi rivolto ”a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi e’ timoroso e indifferente, a chi pensa di non poter piu’ cambiare”, dicendo: ”il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo, lo fa con grande rispetto e amore. Lui ci invita a far parte di questo popolo, il popolo di Dio”.

    Due richiami emblematici che calzano a pennello
contro  un’inveterata  e pessima abitudine all’interno di molte delle nostre parrocchie, quella  di affidare ogni cosa ai pochi che diventano gruppo inviolabile, casta, barriera quasi insormontabile per la  condivisione piena dei carismi e della vita parrocchiale nel suo insieme anche nella sua dimensione spicciola e quotidiana.

      Se è verissimo infatti che i “lontani” stentano molto ad avvicinarsi alla Chiesa, alle attività parrocchiali, è pur vero che, sempre più spesso, se e quando tentano di farlo, si sentono subito estranei in un universo costituito quasi per intero soltanto da  addetti ai lavori che non li coinvolge e forse nemmeno o non sempre sa accoglierli!

domenica 16 giugno 2013

"PIANA DI GIOIA TAURO: UNA RISORSA SPRECATA DA MILIONI DI EURO"

di Bruno Demasi
      
Condivido volentieri la bellissima pagina di Maria Fabricatore sulle potenzialità e sulle ataviche questioni irrisolte che sembrano ormai  dimenticate da tutti e da tutto.
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       E’ come oltrepassare una linea di confine. Dall’autostrada all’improvviso si vede il mare, che abbaglia la vista, come un apparizione. Superata da poco la provincia di Cosenza, imbocchiamo il catanzarese nelle zone di Pizzo e di Lamezia. Sulle colline, come spine ficcate nei fianchi, contornano il paesaggio le pale eoliche, sono centinaia, focalizzano l’attenzione e continueranno a comparire sulle colline senza un ordine, o una logica. Ci eravamo illusi che l’eolico e l’energia verde potessero aiutare la nostra economia e anche l’ambiente. Ma a guardare questi orizzonti massacrati che non danno respiro alla vista e che soffocano il territorio ritorneresti al carbone e al petrolio in un attimo. Già perché poi funzionano le pale donchisciottiane? ci chiediamo. Ci rispondono le varie inchieste che da qualche anno riempiono pagine e file dei pubblici ministeri. Nei mesi scorsi si sono chiuse le indagini della Procura di Catanzaro. Tra gli indagati esponenti politici regionali, imprenditori. “Eolo”, iniziata nel 2006 nella procura di Paola dispone le intercettazioni, e si concentra su una presunta tangente per la realizzazione del parco eolico “Pitagora” a Isola Capo Rizzuto, inchiesta passata poi appunto alla Procura di Catanzaro.

          E il problema pare che sia più diffuso e comprenda non solo la Calabria ma anche la Campania e la Basilicata. Le pale vampirizzano il terreno che non potrà più essere coltivato. Secondo studi recenti distruggono l’assetto degli uccelli migratori, che una volta massacrati, guarda caso, cambiano rotta e così facendo distruggono un intero ecosistema. Continuiamo con il mare a fianco, e ci risiamo, di nuovo la natura ha il sopravvento e ci immergiamo nei colori dell’inverno: argento e azzurro, che si confondono con le luci del pomeriggio. Una natura incontaminata carica di verde ci prende il fiato. Sulla Salerno/Reggio Calabria si viaggia bene, non ci sono lavori in corso, la carreggiata è larga, contiene bene il traffico. Ci chiediamo come mai, e ci sorprendiamo visto che abbiamo lasciato chilometri e chilometri di lavori in corso. Per non parlare della più lunghe e ininterrotte indagini sulle collusioni tra cosche di ndrangheta e della camorra e con più alte infiltrazioni della storia dell’Italia contemporanea, che da decenni si contendono i metri di questa che rimane l’unica vera strada che collega l’Itala del sud con il nord, che
doveva essere la spinta all’economia e sulla quale si sprecano discorsi, parentesi, inchiostro e parole inutili di politici e amministratori. Ma quello che attraversiamo è il tratto con più presenza mafiosa e ndranghetista della penisola, sarà un caso?. Dall’autostrada deviamo verso Gioia Tauro. Ci coglie una strana ansia. E’ come se ci preparassimo per andare in guerra. Stiamo per entrare in una delle zone più ricche d’Italia. Olio, arance, agricoltura fiorente. E il porto più grande del Mediterraneo, uno dei primi venti del pianeta.


            E’ come se la piana di Gioia Tauro avesse avuto dagli dei il meglio. Una terra ricca. Forte. Fiorente. Anche il colore rosso bruno della terra ce ne suggerisce la fertilità di una capacità produttiva
superiore alle leggi di natura. Gli alberi di ulivo alti più di venti metri, con oli di qualità eccellente. Gli alberi di arance e di clementine carichi, e il colore verde intenso dell’erba che rigogliosa cresce dentro gli agrumeti, soddisfa completamente la nostra vista. E ci appare in lotta con se stessa, tra un territorio dove la ndrangheta la fa da padrona, e un territorio che potrebbe offrire una ricchezza economica a tutta la penisola. Anche detta Piana di Rosarno. Ci coglie come un lampo il ricordo degli uomini piegati alla raccolta sulle cassette pagate a due euro, in tutto venti o venticinque euro al giorno, ci confermano le inchieste di oggi. Ragazzi e uomini spinti dalla fame che dall’Africa arrivano a Rosarno chiamati alla raccolta, servono braccia durante l’inverno e qui ne arrivano, dal profondo sud dell’Africa, dal nord Africa e anche da est, dalla Romania. “Vedete lì in fondo alla strada sono pieni di nord africani”ci racconta un signore dall’aria mite “ma sono anni che stanno qui, sono tunisini, hanno messo su famiglia e ora stanno dappertutto”. Gli africani di Rosarno vivono nelle tendopoli, allestite per la raccolta. Ma non risolve il problema, le condizioni di vivibilità precarie si sommano ad una mancanza di controllo del territorio, e le responsabilità si compongono e ricompongono come le bambole russe. Siamo colti da un senso di vuoto e di sgomento quando ci appaiono le prime case di Gioia Tauro. Per strada non c’è nessuno. I fabbricati e case già vecchi e mai finiti si susseguono uno dietro l’altro. Cerchiamo di districarci nei vicoli di questo paese di mare così noto alle cronache. Cerchiamo il porto, non ci sono insegne e come in un labirinto ci ricaccia indietro, riusciamo a vedere le sue torri in lontananza.

                Ma è un porto lontano alla piana, dalla gente, che produce solo per sé, come una porta chiusa su stessa, altro che la porta dell’Europa. Per non parlare dei milioni di euro guadagnati con la droga, i quintali di cocaina, eroina sequestrati che smettiamo di contare dalle varie inchieste, faremmo prima a contare i primati di sequestri nel mondo. I cartelli della ndrangheta calabrese non ha rivali. La ndrangheta, ha un fatturato superiore alla multinazionale americana della Apple, queste le notizie di oggi. Intanto vediamo fabbricati in pietra enormi e intatti, che fanno da contrappunto, come uno spaccato del secolo scorso fiorente, ma perduto per sempre. E cumuli di immondizia a ridosso del porto e del lungomare che alla vista dei bastioni enormi che arrivano dal mare profondo, ci sembrano il male minore. Il porto non riusciamo a vederlo nella sua interezza e dalla strada neanche a concepirlo nella sua grandezza, vediamo solo due cancelli sbarrati. Nessuno può avvicinarsi. Ci appare in lontananza, abbandonato, come un enorme trofeo tenuto in piedi dalla cupidigia insaziabile degli uomini.


sabato 8 giugno 2013

UNA “ ZONA ECONOMICA SPECIALE” A GIOIA TAURO ?

di Bruno Demasi


       Le zone economiche, “speciali” o meno che siano, non possono essere create a tavolino nè tantomeno con un provvedimento istituzionale a livello regionale o nazionale se prima non acquisiscono e sviluppano in sè la vocazione economica e anche culturale per divenirlo. Tuttavia la  proposta, approvata  in questi  giorni all’unanimità dal Consiglio regionale della Calabria, di istituzione della Zona Economica Speciale a Gioia Tauro, rappresenta di sicuro un fatto importante che va seguito opportunamente  ma che, al contempo, nel prosieguo dell’iter legislativo in Parlamento, va attentamente vagliato e controllato  con  preventive norme, chiare e precise , anche in direzione
del mantenimento e del rafforzamento della contrattazione nazionale.
      Non vi è dubbio, tuttavia, che l’istituzione della Zona Economica Speciale possa e debba rappresentare una iniziativa concreta per l’effettivo rilancio industriale del porto e del retroporto di Gioia Tauro attraverso la creazione di un “porto franco” dove le imprese potranno avere vantaggi doganali, fiscali e amministrativi. E’ però  evidente-
mente necessario evitare qualsiasi operazione propagandistica perché nel corso ormai di lunghi anni troppo spesso si è annunciata una svolta industriale per l’area di Gioia Tauro che poi puntualmente non si è realizzata. A tal proposito basterebbe  ricordare l’Accordo di Programma Quadro con un investimento di circa 490 milioni quasi del tutto improduttivo e che ha fatto registrare gravi, incomprensibili e colpevoli ritardi.
       La ZES agevolerà i progetti di sviluppo dell’Area?  Può essere. La ZES candiderà Gioia Tauro e la Calabria ad un ruolo di protagonista nel Mediterraneo? Sicuramente aiuterà tale prospettiva.
 Le  condizioni fondamentali per favorire lo sviluppo industriale e produttivo dell’area di Gioia Tauro rimangono  tuttavia sempre quelle stesse che fino ad ora hanno impedito questo sviluppo: il miglioramento, il potenziamento e l’ammodernamento del sistema infrastrutturale e fin quando, per esempio, non sarà realizzato il gateway ferroviario per un sistema di trasporto efficiente e integrato queste condizioni resteranno solo sulla carta.
      In questo quadro, è necessario ribadire e sottolineare le responsabilità della società Ferrovie dello Stato che ha considerato Gioia Tauro un ramo secco del trasporto nazionale: basti pensare che nel 2006 erano 2300 i treni merci che partivano e arrivavano da Gioia Tauro e oggi nessuno; oppure che nel 2008 viaggiavano col treno 100 mila container ed oggi neanche uno. Questo è uno dei motivi di fondo, certamente non l’unico,  per cui l’area di Gioia Tauro non è mai divenuta industriale e produttiva.
     
Dunque la ZES certamente può rappresentare un fatto importante e di rilievo ma il rischio che sia solo un annuncio propagandistico è assai concreto se contemporaneamente non si costruiscono le condizioni fondamentali ed elementari per  lo sviluppo industriale. E se Moretti in questi anni ha privato i calabresi del diritto alla mobilità ha anche un’altra grande responsabilità: quella di aver impedito al porto di Gioia Tauro di poter avere lo sviluppo industriale di cui si ha bisogno. E su questo la Giunta regionale francamente appare inspiegabilmente silente. Quel che è peggio però è che non si rifletta sulla possibilità che la creazione della zona franca diventi un ulteriore  paradiso anche per le dinamiche di illegalità e di criminalità che già prosperano indisturbate su questo territorio!