sabato 25 marzo 2023

DALLA TRADIZIONE BIZANTINA AL CULTO DELLA MADONNA ANNUNZIATA IN OPPIDO ( di Rocco Liberti)


     Non poteva essere assente in una diocesi di sicura origine e di profonda matrice bizantina, come quella di Oppido, il culto grandioso dell’Annunciazione, una delle feste più grandi e sontuose di quella tradizione greca trapiantata già a ridosso dell’anno Mille sulle balze  di quell’ Aspromonte che sembra guardare e governare dall’alto dei suoi contrafforti collinari quella “tourma” (circoscrizione) delle Saline , coincidente col bacino dell’attuale Petrace, che tanta storia ha alimentato ed alimenta ancora in queste contrade.
    In  questa, che è una   delle sue più belle pagine, scritte in proposito da Rocco Liberti,  è tracciato con l'abituale rigore documentario l'evolversi di questo culto  lungo i secoli.
    E, come in tutte le grandi feste della tradizione bizantina, oggi il tropario – la preghiera ritmica che riassume i temi  della liturgia del giorno – e l’icona rappresentano gli elementi che, attraverso i suoni e la visione, introducono il fedele al significato profondo della festa. Dice dunque il tropario dell’Annunciazione:
«Oggi inizia la nostra salvezza e la manifestazione dell’eterno mistero: Il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine e Gabriele annunzia la grazia. Perciò anche noi insieme a lui gridiamo alla Madre di Dio salve o piena di grazia, il Signore è con Te».
     Leggendo la rievocazione di Liberti e riascoltando i suoni e i rumori, sempre attesi, della festa odierna, sembra ancora riudire la melodia struggente dell’Inno Akatistos (qui riportato in video) che, a ridosso della festa dell’Annunziata, nell’antica cattedrale mamertina, come in tutto l’enclave bizantino, risuonava nel quinto sabato di quaresima e, cantato rigorosamente in piedi da tutti, tesseva le lodi alla Vergine autrice della venuta di Dio tra gli uomini. (Bruno Demasi).

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   Tutti sanno che ad Oppido Mamertina il culto sacro più importante si qualifica quello rivolto alla Madonna Annunziata, che da tantissimo tempo ormai è consacrata Patrona della Città e dell’intera diocesi. Ma non tutti sono a conoscenza del tempo in cui tale venerazione è nata e come si è venuta sviluppando fino ai nostri tempi. Per cui cercherò di riferire per sommi capi, e possibilmente con le parole più semplici, su quanto interessa. Le varie notizie naturalmente sono ricavate da documenti che si conservano negli archivi ecclesiastici nonché dalle pagine di opere di antichi scrittori.

   Il padre Giovanni Fiore, un monaco cappuccino del Catanzarese, ha scritto nel 1691in una sua nota opera sulla Calabria, intitolata appunto “Della Calabria illustrata”, che all’epoca nell’antica Oppido poi distrutta da un terremoto si venerava una “Immagine Miracolosa” della Madonna Annunziata, che si usava mostrare senza velo soltanto il 25 marzo di ogni anno ed “in tempo di qualche gravissima urgenza”, quindi in periodo di pubbliche calamità. Lo svelamento rappresentava un momento particolare per la gente. Riferisce l’arciprete Sposato con un suo libretto stampato nel 1901, ripren-dendo il tutto dalla viva voce del popolo, che nel frangente si vivevan attimi d’indicibilc ommozione e solennità e che nella cattedrale era pr-sente numerosa folla e, in abito da cerimonia, tutto il clero, sia sacerdoti che monaci. Annunciavano l’evento i rintocchi delle campane delle sette chiese e gli spari delle artiglierie del castello.

     Non sappiamo quando, come e perché il culto verso la Madonna Annunziata abbia preso il soprav-vento su quello dell’Assunta, la vera titolare della Cattedrale, quella teotokòs, ovverossìa Gran Madre di Dio, cui nell’anno Mille i cittadini della nuova diocesi devolvevano loro beni, ma certo, come rivelano i documenti, esso si andò affermando assai per tempo e gradualmente.
Nell’anno 1582 l’altare dell’Annunciazione, lo si afferma in un atto vaticano, non era il maggiore della cattedrale, ma il papa, con suo ordine, lo dichiarava “privilegiato” e nel 1606 concedeva agli associati di un’omonima confraternita indulgenze da usufruirsi in occasione delle festività dell’Annunciazione stessa, della Purificazione, della Natività e dell’Assunzione.
     Il vescovo Canuto scriveva una prima volta nel 1596 che la Chiesa di Oppido si trovava sotto l’invocazione della beatissima Vergine Maria Annunziata, mentre una seconda, nel 1603, dichiarava che la cattedrale, antica e consacrata a nuovo culto, era stata per suo interessamento restaurata egregiamente. In una tale affermazione, peraltro confortata dalla precedente, sembra di poter scorgere l’indicazione che il mutamento del culto fosse stato un’operazione piuttosto recente. Per cui, tenendo presente la prima data, cioè il 1582, è possibile congetturare chel’avvenimento si sia verificato proprio nel periodo 1582-1596.

    Che all’epoca la venerazione verso l’Annunziata fosse piuttosto in auge viene a confermarlo un atto notarile del 1616. Con esso il nobile Marco Antonio Riganati donava alla chiesa o cappella dell’An-nunziata “robbe e beni stabili” per aver ricevuto da Quella tante e diverse grazie.Più alta è risuonata la fama dell’Annunziata di Oppido sicuramente dopo il 1743, anno in cui sisarebbe evidenziato il noto miracolo che è all’origine della duplicazione della festività in suo onore alla prima domenica di settembre dopo la Natività e da ormai molti alcuni anticipata ad agosto. 

    Narrano le cronache che, infierendo la peste nel regno di Napoli, il morbo abbia attecchito anche ad Oppido, dove avrebbe fatto tre vittime. Il monatto Demana, che recava sulla carretta la terza di esse, ad un certo punto si è rivolto alla Madonna implorando di far sì che quella fossel’ultima. D’un subito si stacca una ruota del veicolo senza apparente ragione e va rotolando sino a finire sui gradini della cattedrale, dove il quadro miracoloso si trovava già esposto per la pubblica calamità che si andava vivendo. Dopo quell’insolito evento non si sono più lamentati decessi per la crudele epidemìa e l’Università, come si chiamava allora il Comune, per gratitudine si è fatta carico d’indire una se-conda festa in onore dell’Annunziata. A ricordo è stata innalzata un’edicola votiva, di cui ancora sipossono vedere i resti (vd. Foto) nei pressi della porta di sopra dell’antica città.

     Nella vecchia Oppido la Madonna Annunziata era rappresentata in un quadro che per antica tradizione si riteneva opera di certo Luca, un pittore oriundo diCostantinopoli vissuto in Calabria nel secolo XII. Non sappiamo di più e i documenti a riguardo tacciono. Conosciamo peraltro che a mons. Perrimezzi, che fu vescovo nella prima metà del Settecento, si deve una similare statua in argento.

     Entrambe le opere sono però finite nello sfascio del terremoto del 1783.Il primo presule della nuova Oppido, Tommasini, ordinò invece un quadro al messinese Giuseppe Crestadoro, dove appariva un’immagine anch’essa sottoposta all’uso dello svelamento, un uso però che col 1745, anno dell’apertura della cattedrale è stato poi dismesso. Anche ilnuovo quadro ha fatto una triste fine. Incappato nei guasti del terremoto del 1908 e deturpato malamente, alla fine è scomparso del tutto.
    Ricostruito il paese in zona più tranquilla e sicura, il nobile Marcello Grillo, uno di coloro che più si sono impegnati nella fondazione, ha voluto dotare Oppido di un gruppo ligneo rappresentante la celeste Patrona e l’Angelo Annunziatore, che ha ordinato in tutto simile a quello offerto a suo tempo dal Perrimezzi. Il nuovo simulacro è stato portato per parecchio tempo nelle rituali processioni e fino al 1901 era custodito nella chiesetta del Cuore di Gesù, di pertinenza della famiglia Grillo. Probabil-mente, è lo stesso che oggi si conserva nella chiesa dell’Oratorio e che banalmente si considera da taluni proveniente dalla vecchia Oppido. 

    Il gruppo ligneo della Vergine Annunziata, che ha sostituito l’opera voluta dal Grillo, è stato commissionato nel 1840 dal vescovo Coppola al napoletano Arcangelo Testa, lo stesso autore cui si devono la statua della Madonna delle Grazie di Tresilico del 1737 e la Madonna Pastorella di Piminoro intorno allo stesso periodo.

    Si narra che l’insieme di Madonna ed Arcangelo Gabriele è stato recato con un bastimento sino alla marina di Gioia, località dove è convenuta una buona parte della popolazione oppidese con tutto il corteggio di vescovo, canonici, seminaristi ed autorità civili e militari, compresa la Guardia Urbana, che all’epoca eraforte di 200 uomini. Pervenuti nella contrada Pilèri, quindi poco prima di entrare in città, il presule ha benedetto il simulacro, nel mentre dalla folla assiepata si alzavano grida di giubi-lo, si agitavano rami di ulivo, palme e bandiere. Il suono della banda era coperto dal crepitìo dei mortaretti e per l’aria si diffondeva l’allegro scampanìo delle chiese cittadine e dei paesi vicini. 

     La sacra effigie, dopo varie sistemazioni e dopo la costruzione di un monumentale tresello, alla fine ha trovato posto in un imponente stipo in legno, opera dell’anno 1900 del falegname oppidese Salvatore Caridi.Lo stipo è stato uno dei pochissimi arredi ad uscire indenne dal terremoto del 1908.
     La Madonna Annunziata, come per il passato, è stata invocata dispensatrice di grazie anche nel nuovo paese e, secondo l’arciprete Sposato, coautore assieme a Francesco Saverio Grillo di un libricino pubblicato nel 1901, esse proprio non si sarebbero contate.

                                                                                                              Rocco Liberti

sabato 11 marzo 2023

LA VIA CRUCIS DEGLI ULTIMI NELL’ ULTIMO OSPEDALE DELL’ASPROMONTE (dI Bruno Demasi)

     Oppido Mamertina e gli ultimi della sanità calabrese, proprio gli ultimi, abbandonati da tutti, stanchi da anni di continua spoliazione di un ospedale antico e grande non solo per estensione, ma soprattuto per servizi e per qualità, via via spolpato e distrutto da decenni di ignavia sociale e  politica e di noncuranza per un comprensorio montano privo ormai persino della voglia di pregare.

   Oppido e gli ultimi della sanità nel secondo venerdi di Quaresima  ancora teatro e personaggi sofferenti e oppressi di un’inedita Via Crucis serale proprio davanti a quell’ospedale che oggi qualcuno vorrebbe probabilmente chiudere definitivamente dopo anni di agonia e di servizi sempre più ridotti o azzerati. Una Via Crucis nonostante tutto vibrante di preghiera e di sofferti silenzi nelle parole accorate del parroco, don Giuseppe , che in un concreto slancio di vera sinodalità, l’ha voluta sfidando il freddo gelido , lo sgomento e la stanchezza di molti che da settimane stanno presidiando questo fantasma, che ancora si chiama Ospedale, per tentare di sottrarlo all’incuria, ai calcoli, ai giri di parole opprimenti, alle comunicazioni smozzicate, sempre parziali e incomplete, di chi negli anni ha avuito ed ha la responsabilità di questo disastro..

  Come non ricordare spontaneamente  l’agonia di questo  nosocomio attraverso ciascuna delle stazioni proclamate di questa stupenda Via Crucis,  e le tappe della miseria regionale lungo le quali sono via via crollati prima il sogno di completare ed aprire una grandissima nuova ala per la quale erano stati spesi miliardi, poi il servizio di Ostetricia e Ginecologia, poi quello di Chirurgia, poi quello di Psichiatria, poi quello di Oculistica, poi quello di Otorinolaringoiatria, poi quello di Radiologia, poi quello di analisi cliniche, poi il Pronto Saoccorso, poi il Pronto Intervento notturno, poi il Pronto Intervento diurno e infine il servizio di Lungodegenza? Come non ricordare con commozione gli anni in cui questo nosocomio, nato per proteggere e servire la cittadinanza aspromontana, richiamava anche malati da ogni dove attratti dalla sua efficienza? Come non ripercorrere il sogno di un Ospedale di Montagna che avrebbe ridato fiato ai polmoni esausti di questo territorio condannato da tutti? E come non rimpiangere oggi  almeno la speranza di un Ospedale di Comunità che le promesse avevano pomposamente accreditato e che sembra sempre più lontano nei progetti di carta a cui ormai nessuno sembre più credere? 
 

    Come rassegnarsi , ancora una volta, alla precarietà quotidiana di vita, allo sfacelo sanitario con cui giovani e anziani devono fare quotidianamente i conti, mentre si allontana sempre più persino la magra consolazione di un pomposo “Ospedale della Piana” per il quale sono gia stati spesi fiumi di inchiostro, di saliva e di miliardi, senza ancora porre un solo mattone?

    Ma è stata , malgrado tutto, una Via Crucis in cui spesso è risuonata la parola Speranza nel freddo e nelle invocazioni del sacerdote e della gente, una Via Crucis che nel cuore degli innumerevoli presenti ha riecheggiato la triste conclusione della vita stessa  dell’Aspromonte fiorita nei secoli sul sudore, i sacrifici e le conquiste di tantissima gente che aveva fatto della solidarietà, dell'onestà e del dono, anche e soprattutto della salute, il motivo essenziale del proprio orgoglio, oggi ferito a morte. 
 
   Persino i commenti ad ogni stazione, scritti dal Medico Santo, Giuseppe Moscati, e prescelti non a a caso per questa preghiera corale, hanno scandito le lacrime e la la tristezza della gente abbandonata da tanto tempo a se stessa, ai viaggi della speranza, alle umilianti attese davanti alle porte spesso proibite di Pronto soccorso lontani, raggiunti a stento lungo strade ridotte spesso a tratturi scavati dal tempo e dall’acqua e invasi dai rovi.

    Sulla speranza che sembrava irrimediabilmente svanita e che sta rifiorendo nella tenacia della protesta civile e composta della gente dell’Aspromonte si è innestata la fede genuina dei poveri e dei semplici che da settimane hanno persino  rinunciato al bene più grande per una democrazia degna di tale nome: il diritto di voto. Migliaia di tessere elettorali sono state dolorosamente restituite. E non c’è delitto più turpe che indurre la gente a rinunciare al proprio diritto elettorale, instillare in loro il dubbio che esserre buoni cittadini sia sinonimo di abbandono totale dallo Stato sempre più lontano da queste terre , da questo ospedale che, ancora una volta, è stato benedetto soltanto dalle preghiere e dalle lacrime della gente e dalla povera croce di legno innalzata su tutto e su tutti dalle braccia del parroco.