sabato 26 dicembre 2020

LA VENERABILE ROSELLA STALTARI NEL CUORE DELLA CALABRIA DEI POVERI

 di Bruno Demasi

     La breve esistenza della nostra conterranea Rosella Staltari, che Papa Francesco nei giorni scorsi ha dichiarato venerabile nella stessa occasione  in cui ha annunciato al mondo la prossima beatificazione del giudice Rosario Livatino, ha come poli estremi  la devastante alluvione calabrese del 1951, quando Rosella è nata, e la miseria delle strade di Palermo dove è improvvisamente morta nel 1974 ad appena 23 anni di età vissuti intensamente al servizio dei poveri.

    Aveva visto la luce il 3 maggio del 1951  ad Antonimina, una delle zone più povere della provincia di Reggio Calabria, nel cuore di quella Locride che oggi appare all’avanguardia della ricerca sociale e politica nella tormentata provincia di Reggio Calabria, ma che 70 anni fa faceva i conti con una situazione sociale ed economica che Umberto Zanotti Bianco appena  pochissimi  anni prima aveva definito terribile.

     Era la  terza figlia di Rosario e Maria Reale. La precarietà economica della famiglia, si era  aggravata a causa della grande alluvione che aveva colpito  la Locride e tutto il territorio reggino ( 18 ottobre 1951 ),  ma soprattutto per la morte improvvisa della mamma che lasciò un segno indelebile nella povera  vita familiare. 

   A due anni e sette mesi, Rosella, per volontà del padre e col supporto dell’E.N.A.O.L.I., viene accolta all’Istituto Scannapieco di Locri e si impegna nello studio fino a conseguire la licenza di Avviamento Professionale. Viene successivamente inviata a Reggio Calabria presso l’Istituto Mater Gratiae della Congregazione delle Figlie di Maria SS.ma Corredentrice per continuare gli studi.  

     Come racconta il vescovo  mons. Giancarlo Bregantini in una sua radiosa pagina su questa bella figura calabrese, l’amore paziente ed esemplare di Padre Vittorio Dante Forno , fondatore dell’Associazione religiosa e poi della Congregazione, la maternità spirituale della Superiora Generale Sr. Maria Salemi e la condivisa gioia delle Sorelle, generano nel cuore di Rosella, già aperto alla Voce dello Sposo, il desiderio di speciale  Consacrazione al Signore e, dopo lunga e sofferta ricerca interiore, il 2 luglio 1973 con la Professione religiosa insieme ad altre compagne di cammino, Rosella si consacra per sempre al Signore. 

 

    La vita di Rosella, dopo la sua definitiva consacrazione, si apre alla luce solare della ricerca incessante della bellezza del Signore e dell’umile ed appassionato amore servizievole ai fratelli soprattutto i più bisognosi di cure e di sollievo: ed è di parola fino alla fine dei suoi giorni.

    Pagine del suo Diario, commuovono per il carattere elevatissimo della sua esperienza alla scuola del Signore: sono pagine mistiche, di altissimo lirismo estetico,  che parlano della interiore nostalgia di Cielo dello spirito di Rosella a nessuno rivelato pienamente.

    Ne è prova l’epilogo della sua esistenza dopo il trasferimento a Palermo per motivi obbedienziali. Palermo è la tappa decisiva e matura della scelta di Rosella: non solo viene e nominata educatrice di un gruppo di bambine, ma all’interno della sua comunità la sua presenza si pone come testimonianza autentica di radicalismo evangelico. In una pagina dei suoi scritti, Rosella, in un dialogo d’amore con Gesù, così confida: “ Gesù mio, il tuo nome è scritto nel mio cuore ed è Lui che mi riscalda e mi avvampa d’amore. Voglio perdermi, o Gesù, nel tuo mare d’amore: ma il mare per quanto sia profondo, ha il suo fondo e così la sua fine. Ma il tuo amore no, perché non ha nessun fondo e più si entra e più amore c’è ”. ( 30 ottobre 1969).  La sua estasi d’amore si consuma in una mattinata fredda del 4 gennaio 1974 a Palermo reggendo tra le mani una statuina della Madonna, vera Madre dopo la perdita della sua mamma terrena, ed il Crocifisso della sua Professione pendente dal collo: nel viso impressa una struggente bellezza. Così muoiono i Santi! 

    La storia di Rosella si innesta meravigliosamente con la storia della diocesi di Locri-Gerace.  Mons. Bregantini stesso, davanti alla realtà delle virtù e della fama di santità della Serva di Dio, chiese ed ottenne  il parere – giunto favorevole – dell’Arcivescovo di Palermo Card. Salvatore De Giorgi avendo il consenso unanime dagli Organismi Diocesani, della Conferenza Episcopale Calabra ed il Nulla Osta alla Causa da parte della Santa Sede in vista dell’introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Rosella  nella Diocesi che le ha dato il dono della vita fisica. Ed il 24 settembre 2003, nella Chiesa Cattedrale di Locri, davanti al Postulatore Padre Luca de Rosa, al Vescovo di Piazza Armerina, alle Consorelle, ai due Fratelli di Rosella, a rappresentanti del Clero e di Fedeli delle Diocesi di Locri-Gerace e di Reggio Calabria-Bova, Autorità Civili e Militari, ha avuto luogo l’insediamento del Tribunale Ecclesiastico Diocesano per l’inizio dell’inchiesta canonica della Beatificazione della Serva di Dio Rosella Stàltari nel corso della quale il vescovo Bregantini, propose Rosella come testimone della storia contemporanea della Chiesa e come dono di Dio piovuto dal Cielo soprattutto per la sofferta terra di Calabria. 

   “In ogni terreno – afferma Mons. Bregantini - si può fiorire: il segreto sta solo nell’abbracciare la vita non come fatalità e destino, ma come amoroso progetto d’amore del Padre per ognuno di noi perché davvero ogni dolore ( l’esperienza di Rosella in questo è un autentica lezione di vita sempre attuale) è come una ferita d’amore la cui fessura è tutta luce e vita e dalla quale passano le freccie della grazia.   Questo è il messaggio di Rosella Stàltari, nata nel fango dell’alluvione che disperde e rinata nella purezza dell’amore di Cristo che mai potrà separarci da nulla. ( cfr. Rm 8)”. Un messaggio rivolto principalmente ai giovani e a chi cerca significati di alto spessore per la vita e nella vita. 

“Che il Cielo si apra sulla nostra povertà – continua Mons. Bregantini - e ci riempia di luce: quella luce che fa nascere la pace, fa fiorire i nostri deserti trasformandoli in oasi di predilezione, fa crescere tutti nell’ascolto della Voce del Padre perché davvero alla scuola di Gesù impariamo quella lezione che rivela sempre ai piccoli il mistero del suo amore misericordioso.”  

                                                                                                                                                    

 

 



martedì 22 dicembre 2020

CHI SI E’ ACCORTO CHE UN ALTRO AFRICANO E’ MORTO “COME UN CANE” ?

di Bruno Demasi

  
     «Cassama Gora è morto come muoiono i cani, sul ciglio di una strada non illuminata, mentre il resto del mondo vive il rammarico del mancato cenone natalizio». Sono le parole del sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi, che ben sintetizzano quanto è avvenuto la sera del 18 dicembre scorso a un giovane africano del Senegal che dopo una lunga giornata di stenti e di fatica attraverso la strada dell’orrore che attraversa la I zona industriuale, tra il porto di Gioia Tauro e San Ferdinando, al buio stava facendo ritorno sulla sua vecchia bicicletta alla tendopoli dove aveva avuto la fortuna di trovare alloggio a differenza delle migliaia di Africani che dopo la distruzione della vecchia tendopoli voluta due anni fa da Salvini ancora oggi sopravvivono alla fame e al freddo sfollati nelle campagne di Rosarno e di San Ferdinando. E’ stato falciato da un’auto che – secondo quanto è stato detto in un primo momento – non si è neanche fermata per prestare soccorso: un altro granello di un rosario infinito di morti dalla pelle nera di cui non si cura nessuno e, se lo fa per il tempo necessario a parlarne in tono lacrimoso che puzza di paternalismo a un miglio di lontananza, se ne dimentica subito dopo, perchè i riflettori calabresi hanno altro da illuminare...o da nascondere nell’ombra...
    Già dopo qualche giorno dalla sua morte violenta e della sua frettolosa sepoltura in una delle tombe più periferiche di un marginale cimitero della Piana o della partenza della sua salma verso il paese d'origine nessuno di sicorderà di lui, per giunta sotto le feste mirabolanti del Natale laico di sempre che quest’anno contende i riflettori al Coronavirus e alle sempre più becere diatribe di una politica mestierante e vuota come appare nella sua nudità se le si strappano di dosso i lustrini  e le false discussionidi cui si ammanta.