lunedì 27 gennaio 2020

COSA RESTA DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA NELLA CALABRIA DEL 27 GENNAIO 2020?

di Bruno Demasi


    27 gennaio 2020, a 75 anni di distanza dalla fine della Shoah , una giornata controversa in Calabria. Da un lato gli animi incattiviti dalla gente dopo i risultati delle elezioni regionali con l’ubriacatura dei perdenti occupati a dissimulare, minimizzare e colpevolizzare gli altri e l’ubriacatura, ben più malsana, dei vincitori troppo occupati ad appropriarsi di meriti mai avuti e a fregiarsi di allori inesistenti se non nell’alternanza quinquennale  puntualissima di fautori del nulla diversificati soltanto dalle etichette.

   Una bailamme di tripudi,sorrisi, livori nella quale la Giornata della Memoria quasi scompare in questa terra dove – diciamocelo francamente .- neanche in conduizioni più normali il raccapriccio per la Shoah si è mai fatto sentire alto al di là delle becere manifestazioni ripetitive fini a se stesse.


    Oggi però in Calabria , qualora la si celebrasse sul serio -  la Giornata della Memoria avrebbe un contenuto e una portata maggiori col suo carico enorme di ricordi e di pianto, ma anche di sangue e di rabbia per un passato che riaffiora sempre in modo virulento senza che ci se ne renda conto.
    I recenti attacchi a Liliana Segre e non solo a lei, i fatti di Berlino, i nuovi ghetti senza nome nei quali sopravvivono a centinaia di migliaia gli immigrati tra il disprezzo comune ne sono le testimonianze più chiare, ma in Calabria accade ancora di peggio nel momento in cui l’odio razzale , seminato ad arte da certi venditori di fumo, si coniuga perfettamente con il ritorno voluto e preteso a un passato deleterio per tutti: la delega della pace, della convivenza  sociale e civile e di ogni modello di sviluppo possibile a chi continua a spargere paure e noncuranza per gli ultimi, per la legalità vera, per il lavoro libero, per ogni contrasto agli atteggiamenti mafiosi, anche quelli più banali e insiti purtroppo  nel cuore della gente comune.

   Ricordare, imprimersi nella memoria l’orrore per un  passato doloroso , significa soprattutto aver preso coscienza delle manchevolezze di oggi, rifiutare categoricamente e con i fatti ogni ritorno a certi modi di pensare e di agire, in primis a  ogni atteggiamento mafioso e tracotante, ogni azione volta solo ed esclusivamente al proprio tornaconto.
   Ricordare e rifiutare certo passato in Calabria non significa soltanto organizzare pellegrinaggi a Ferramonti di Tarsia o passerelle di esibizione, riservate a pochi , che svaniscono nell’arco di poche ore, significa investire nel lavoro delle scuole (che duri un anno e non un giorno ) e soprattutto in atti concreti di rifiuto e di disprezzo di quelle forme gravi di mafiosità che per la Calabria costituiscono i veri lager di oggi.
  Quei lager dai quali VOGLIAMO USCIRE, cantando col salmo 133  "Hinei ma tov".


sabato 4 gennaio 2020

CINQUE REGGINI SUL TRONO DI PIETRO?

di Felice Delfino
    Felice Delfino è studioso molto attento del grande e multiforme processo religioso che permeò la provincia di Reggio Calabria dall’età magnogreca fino all’età moderna, portando con sé elementi grandiosi e nobilissimi di civiltà e di sviluppo. Celebre ormai il suo corposo e attentissimo studio sugli Ebrei e la loro fattiva e operosa presenza in questo territorio (“La presenza ebraica nella storia reggina”, Disoblio, 2013)seguito da numerosi altri studi in parte già pubblicati, in parte pronti per ulteriori e sempre interessanti pubblicazioni.
    Questa è una pagina, non certo minore per intensità e rigore, ma sicuramente intrisa di molta curiosità di indagine che la storiografia ufficiale spesso trascura nel timore di azzardare ipotesi che comunque appaiono più che attendibili.
    Un fatto è certo: la provincia di Reggio Calabria, malgrado il baratro in cui sembra essersi assopita, non è stata seconda a nessun altro territorio per profondità e ampiezza di impegno culturale, civile e religioso. E Felice Delfino ne dà una puntuale e interessante chiave di lettura ( Bruno Demasi) 

    Calabria, terra controversa, terra di luci ed ombre: ricca dal punto di vista ambientale ed ingente nelle risorse, ma povera in ottica socio-economica. Ambivalente e multi sfaccettata è ricchissima culturalmente: tutto ciò è la Calabria, una miniera inesauribile in quanto è stata culla di cultura, qui convivono in un unico patrimonio elementi svariati ed eterogenei amalgamatisi sapientemente nei secoli in un unicum eccellente che ancora oggi non ha nulla da invidiare a nessun altro territorio sia nazionale sia nel panorama internazionale per il ventaglio dei prestigiosi beni che essa vanta e custodisce, ma purtroppo non sempre sono ben tutelati. È vero che la Calabria è macchiata dal fenomeno criminale della ndrangheta ma ci terrei a precisare che seppur dal peso grande e consistente per l’organizzazione e la gestione regionale non manca la folta schiera dei professionisti e di uomini di grande e irreprensibile senso morale e civile che si distinguono per il valore e l’operato.
    Calabria, terra di tutti i Calabresi sia di quelli che restano sia di quelli che decidono di andare via con profonda amarezza nel cuore, ma sei anche terra di Fede e di Santi (la Calabria è la regione col maggior numero di santi, in totale 33) come l’ha definita Papa Giovanni Paolo II nel 1984 e il 7 Ottobre di quell’anno a Reggio Calabria in una sua visita pastorale, a tal proposito disse: “Nel toccare il suolo di questa città, provo una viva emozione al considerare che qui approdò, quasi duemila anni fa, Paolo di Tarso, …e che qui accese la fiaccola della fede cristiana; da qui il Cristianesimo ha iniziato il suo cammino in terra calabra, espandendosi in ogni direzione, sia verso la costa ionica sia verso la fascia tirrenica” . Consideriamo inoltre che nel territorio calabrese ci sono ancora oggi luoghi di culto cristiano cattolici riconosciuti ufficialmente e meta di numerosi pellegrini. 


   Si riconrdi  anche che, nel corso della storia della Chiesa, dieci sono stati I Pontefici Calabresi saliti maestosamente sul trono di Pietro con storie ovviamente dagli esiti diversi e in età differenti della struttura Ecclesiae, in costante evoluzione e che muta costantemente pelle in virtù dei Concili che ne sanciscono I dogmi.
     Ecco l’elenco in processione cronologica di questi dieci Papi Calabresi e le località di provenienza: Telesforo (Terranova(RC) secondo altre fonti Terranova di Sibari (CS), Anterio (Petelia attuale Strongoli (KR), Dionisio(Terranova da Sibari(CS), Eusebio (Casegghiano vicino San Giorgio Morgeto (RC), Zosimo (Mesoraca (KR), Agatone (Reggio Calabria secondo altre fonti Palermo), Leone II (Piana di S. Martino (RC) secondo altre fonti (ME), Giovanni II, Zaccaria (Santa Severina (KR), Stefano III,(Santo Stefano D’Aspromonte (RC) secondo altre fonti Siracusa) Giovanni XVI (quest’ultimo Antipapa)(Rossano (CS). Otto di questi sono stati santificati. Ma nella narrazione per ragioni logistiche e d’opportunità mi soffermerò solo sui reggini (furono in cinque a nascere nella provincia reggina anche se le fonti storiche sono discordi e alcuni di questi li dà di provenienza siciliana) . Il punto di partenza come località che diede i natali al primo Papa Calabrese è Terranova Sappo Minulio nella provincia della città del miracolo della colonna ardente incipit proprio della predicazione paolina e del processo di conversione dei gentili al cristianesimo, Reggio Calabria.

     Telesforo, che come novità del suo tempo introdusse il digiuno Quaresimale e l’inno angelico Gloria in exelcisis Deo alla liturgia natalizia, ricordato come santo fu il primo Pontefice martire secondo il Liber Pontificalis (un elenco dei Papi), nacque intorno al 95 d.C. proprio a Terranova nel reggino (per altri studiosi a Terranova di Sibari) e fu il primo calabrese a varcare la soglia del Vaticano con in sè le vesti pontificie che indossò con onore ai tempi dell’Impero di Adriano tra il 125 ed il 136. A quei tempi a Roma e nel resto dell’Impero oltre il culto pagano degli dei, all’epoca quello ufficiale (il Cristianesimo diverrà religio licita in Italia soltanto con Costantino dopo la battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio e la croce ne diverrà simbolo merito della celebre frase “in hoc signo vinces”) era diffusa anche l’eresia dello gnosticismo al quale si oppose fortemente. Padre Giovanni Fiore scrive che “preso dai Ministri dell’infedeltà, gli venne proposto che se avesse abbandonato la Santa Fede, sarebbe diventato Ministro degli Idoli” ma Telesforo rifiutò e pertanto come ricorda il Fiore fu decapitato il 5 gennaio del 136 e il suo corpo, recuperato dai cristiani, fu seppellito accanto alla tomba di San Pietro. 

    Di Casegghiano vicino San Giorgio Morgeto era Papa Eusebio fu trentunesimo Papa della Chiesa di Roma da aprile all’agosto del 309 fu una breve parentesi la sua e anche caratterizzata da momenti tormentati come la lotta contro I lapsi cristiani del III secolo che dopo la persecuzione di Decio erano stati apostati della fede cristiana per paura della stessa persecuzione. I lapsi volevano essere reintegrati nella Chiesa ma fecero tumulti e a seguito di questi tumulti l’Imperatore Massenzio esiliò il Papa in Sicilia e qui Eusebio morì poco dopo l’esilio.
    Il Terzo Papa a nascere nella provincia reggina fu Agatone. Il suo 
 Pontificato durò due anni e mezzo e convocò due Concili a Roma.
Nel Concilio lateranense del 679 restituì il vescovo Wilfred alla diocesi di York, e stabilì che non fosse più dovuto il pagamento dei tributi fino ad allora imposti al momento dell'elezione dell'imperatore bizantino. L’Imperatore Costantino IV inizia a relazionarsi fraternamente con la Chiesa di Roma che lo aveva aiutato a rimpossessarsi del trono e si cercava di risolvere il problema dell’eresia monotelita, dottrina che aveva diviso Roma e Costantinopoli e si cercava di riunificare le due Chiese. Il 7 novembre 680 venne inaugurato a Costantinopoli il sesto concilio ecumenico orientale ed il 16 settembre dell’anno successivo fu emanato un decreto con il quale si condannava il monotelismo, e il Papa lanciò l'anatema contro Papa Onorio I che nei confronti di quella dottrina era stato quasi accondiscendente. Gli atti del Concilio furono inviati al Papa perché ne confermasse le decisioni, ma Agatone morì prima di conoscerne le conclusioni, il 10 gennaio 681. Ad Agatone succedette Leone II due papi nativi della provincia reggina dunque, uno eletto dietro l’altro.
    Leone II, fu ottantesimo vescovo di Roma. Forse siciliano di origine messinese, come il predecessore papa Agatone, secondo alcune fonti era invece calabrese di nascita. figlio di Paolo Manejo, un medico di grande fama. La sua consacrazione avvenne il 17 agosto 682, ben 18 mesi dopo la morte di Agatone, in quanto l'approvazione imperiale fu appositamente ritardata da Costantino IV di Costantinopoli che voleva essere certo che tutta la comunità ecclesiastica occidentale approvasse non solo le conclusioni del sesto Concilio Ecumenico tenuto a Costantinopoli tra il 680 e il 681 in cui veniva condannata l'eresia monotelita , ma soprattutto che fosse accettato l'anatema posto su Papa Onorio che quell'eresia aveva in qualche modo avallato: si trattava evidentemente di un argomento particolarmente delicato, e l'imperatore non aveva alcuna intenzione di provocare una nuova divisione tra le Chiese di Costantinopoli e di Roma che si stavano appena riavvicinando. 

L'unico fatto di interesse storico del breve pontificato di Leone furono pertanto le lettere che scrisse in approvazione della decisione del concilio e in condanna diOnorio, che egli considerava come uno che «profana proditione immaculatem fidem subvertere conatus est». Per il peso che hanno sulla questione dell'infallibilità papale, queste parole hanno provocato considerevole attenzione e dibattito, e si dà importanza al fatto che nel testo in greco della lettera all'imperatore, in cui compare la frase di cui sopra, viene usata la più lieve espressione «subverti permisit» (παρεχωρησε) al posto di «subvertere conatus est».
    Fu durante il suo pontificato che venne stabilita definitivamente, per editto imperiale, la dipendenza della sede vescovile di Ravenna da quella di Roma. Nel 682 eresse inoltre in diocesi autonoma quella di Castro, in Puglia. Introdusse poi nella celebrazione della Messa il "bacio della pace". Si preoccupò anche di restaurare la chiesa di Santa Bibiana e quella di San Giorgio in Velabro, entrambe a Roma. «Stabilì che gli eletti agli Arcivescovadi nulla dovessero pagare per l'uso del pallio; ridusse gli inni ecclesiastici a più sonoro concerto» Morì il 3 luglio 683 (o il 28 giugno) e fu sepolto in San Pietro. 

    Infine Stefano III nativo di Santo Stefano d’Aspromonte giunse a Roma al tempo di Papa Gregorio III nel 741.Stefano III divenne Sommo Pontefice il 7 agosto del 768. Una volta preso l’incarico inviò un messaggero al re dei Franchi Pipino il Breve per avvisarlo della sua ascesa al trono petrino e gli chiese di inviargli vescovi Franchi per il sinodo dell’anno successivo. Quando arrivò il messaggero Pipino il Breve era da poco morto e il rappresentante del Pontefice fu accolto dai figli Carlo e Carlomanno che accettarono la richiesta e inviarono tredici vescovi Franchi. Il 12 aprile 769 si aprì in Laterano un Concilio in cui si svolse un processo all'Antipapa Costantino II. Il concilio terminò con la distruzione di tutti gli atti ufficiali da lui emanati e con la decisione che in futuro il papa avrebbe dovuto essere eletto solo fra i diaconi ed I presbiteri cardinali. Venne inoltre confermata la pratica della devozione delle icone, problema ancora irrisolto con la corte e la Chiesa di Costantinopoli. Stefano III morì il 24 gennaio 772. Fu sepolto in San Pietro.
    Dopo aver proceduto attraverso questo viaggio quasi interminabile nel passato della storia della Chiesa è d’obbligo una personalissima e dovuta considerazione finale: È dal Medioevo che non abbiamo avuto più un Papa calabrese figuriamoci un reggino e se ci fosse in futuro questa tanto remota quanto improbabile possibilità ciò darebbe sicuramente lustro ad una terra falcidiata e tormentata dalla crisi lavorativa ma sempre terra devota, sempre terra di Fede e di santi ai quali rivolgiamo un pò tutti le nostre speranze e preghiere più intime magari nella miracolosa attesa che la Calabria possa un giorno, come l’araba fenice, rinascere dalle proprie ceneri e tornare la terra bella e fertile di un tempo.