giovedì 10 luglio 2025

VALENTINO GENTILE: L’ ERETICO CALABRESE RISCOPERTO DA VINCENZO VILLELLA ( di Bruno Demasi)

“Le vittime di Giovanni Calvino”, Reggio Calabria, Città del Sole, Ristampa 2025  

     Ritorna in libreria dopo quattro anni dal suo fortunato esordio, in una ristampa evidentemente molto attesa da tanti studiosi, e non solo da loro, il corposo dossier, che definire soltanto saggio di indagine storica è riduttivo, in cui Vincenzo Villella condensa con l’abituale rigore documentario, alimentato da una forza narrativa non comune, l’incredibile parabola umana e religiosa di un eretico calabrese del XVI secolo che la storia, grazie a questo lavoro miliare, può ormai collocare ben a ragione accanto alle figure di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Michele Serveto e persino di Galileo Galilei.

   Una vicenda umana e religiosa , quella di Giovanni Vincenzo Gentile, decapitato in Svizzera nel 1566, di cui l’Autore segue meticolosamente tutte le tracce conosciute e meno conosciute, soprattutto quelle inedite, proprio da lui attentamente riportate alla luce e studiate insieme a un contesto culturale e religioso calabro e di tutto il Mezzogiorno poco esplorato, ma proiettato con incredibile modernità nel quadro contraddittorio dell’Italia e dell’Europa del Cinquecento e del Seicento. 

    Le tappe di questa storia umana, fortemente emblematica di un momento storico cruciale per la vita religiosa, indagate e ricostruite con estrema precisione da Vincenzo Villella lasciano sgomenti non solo per la loro drammaticità, ma per la chiarezza con cui fanno tornare in vita situazioni insospettabili di un’epoca tanto esaltante quanto contraddittoria, come l’Umanesimo, con tutte le sue conquiste, ma anche con i suoi risvolti controversi che danno vita alla Riforma e alla Controrifornma.

  Viene ricostruita inizialmente la formazione di Valentino Gentile nel substrato delle “ posizioni ereticali” che ne connotano i primi studi sui testi di Lorenzo Valla e di Erasmo da Rotterdam per arrivare ben presto agli approfondimenti napoletani nel circolo di Juan de Valdés, fino alla piena condivisione delle dottrine antitrinitarie e all’approdo a un atteggiamento di fede fondato in maniera assoluta ed esclusiva sulla conoscenza e la ponderazione della Parola di Dio. E’ una parte di questo lavoro davvero illuminante per chi voglia rivivere il clima di forti contraddizioni che caratterizza in termini di dibattito di fede la prima metà del Cinquecento, specialmente nel Meridione della Penisola. Ad essa fa seguito con irruenza la narrazione della fuga di Gentile in Svizzera e la sua frequentazione passionale della chiesa ginevrina impreganata e dominata dall’ ipse dixit calvinista . Si apre quindi uno spaccato davvero illuminante sull’esperienza straordinaria di Michele Serveto culminante nella sua condanna al rogo, che consente di collocare nella loro giusta dimensione sia il rapporto intercorrente tra l’esperienza di Gentile e la vicenda drammatica di Serveto stesso sia la figura intollerante di Giovanni Calvino che poi tanta parte avrà negli eventi successivi della vita dell’eretico calabrese. L’articolata parte successiva di questo studio presenta infatti Valentino Gentile coraggiosamente proteso contro l’autoritarismo dottrinario di Calvino in una polemica accesa fondata su solide convinzioni, che prendendo le mosse dall’arianesimo, lo conducevano su posizioni nettamente antitrinitarie e triteistiche. La reazione di Calvino fu durissima, tanto da costringere nella maniera peggiore il Gentile alla simulazione dell’abiura delle proprie convinzioni pur di poter sfuggire a un’incombente condanna a morte.
 
   Ma qual era esattamente il nodo del dissidio sanguinoso tra la tirannide dottrinaria di Calvino e le tesi di Valentino Gentile? L’Autore dedica anche a quest’analisi uno spazio ricchissimo di approfondimenti analizzando in maniera esaustiva, tutta la dottrina di Gentile e i suoi punti di maggiore attrito col Calvinismo, condensati nelle quaranta “Protheses” in cui il Calabrese esponeva coraggiosamente tutte le proprie convinzioni dottrinarie. E’ un’analisi serrata e avvincente che ci restituisce con immediatezza questo contrasto accesissimo, a causa del quale, sfuggito alla morte con l’abiura simulata, Gentile , dopo aver fortunosamente lasciato Ginevra, scappa in Polonia, da dove quasi subito viene espulso per le proprie idee, e si rifugia fortunosamente in Moravia e in Transilvania. La narrazione di questa odissea raggiunge in queste pagine accenti fortemente vivi, che diventano ancora più avvincenti nella documentatissima narrazione del rientro in Svizzera del Gentile presto arrestato e condotto a un umiliante processo durante il quale la sua stessa commovente autodifesa viene abilmente sfruttata dagli accusatori designati da Calvino come serbatoio per sempre nuovi capi di accusa che lo conducono irrimediabilmente nel 1566 alla decapitazione.

   Il resoconto vivido delle ultime drammatiche vicende di questo calabrese indomito, fatto attraverso l’analisi di probanti dossiers, propone in nuce la forza evocatrice dell’ Autore nel racconto di eventi rigorosamente accaduti che abbiamo avuto modo di sperimentare nell'originalissimo affresco storico-narrativo  “I demoni della Santa Fede”.

    Che questo lavoro sia fondamentale per chi davvero voglia comprendere in tutti i suoi risvolti un’epoca storica che ha fortemente inciso sui destini della Chiesa Cattolica e su quelli delle Chiese Riformate, tanto che si è ancora alla ricerca affannosa di fili identitari comuni, è davvero evidente . Esso è però  imprescindibile anche per un’altra ragione non da poco: è emblema di un metodo nuovo e acuto di ricerca soriografica, affinato da Vincenzo Villella in anni di durissimo lavoro mai dispersivo e marginale, anzi ordinato in obiettivi di ricerca sempre molto chiari e condivisi con il lettore: in questo caso ne sono ulteriore testimonianza, non solo la ricchissima, inedita ( e non scontata) bibliografia, ma anche le numerose appendici documentarie, che da sole potrebbero rendere ragione di una fatica immane di indagine, incredibilmente tradotta in narrazioni semplicissime e avvincenti per tutti.

                                                                                                                         Bruno Demasi

venerdì 27 giugno 2025

LA FERTILE E PACIFICA CONVIVENZA DI EBREI ED ARABI NELL’ASPROMONTE BIZANTINO (di Bruno Demasi)

     Dal IX all’ XI secolo si realizza sulle pendici dell’ odierno Aspromonte, là dove esisteva, verso Nord, uno dei maggiori avamposti del potere bizantino nelle Calabrie, un unicum sociale e politico: non solo l’esercizio del potere amministrativo concentrato nelle mani del vescovo, ma una convivenza pacifica e sinergica di tre ceppi di popolazione profondamente diversi tra loro eppure accomunati da una grande operosità pioneristica : Greci, Ebrei ed Arabi. Queste presenze, non sporadiche e non slegate fra loro, sono documentate dagli studi condotti specificamente da Gioacchino Strano ( Ebrei e Arabi nella Calabria bizantina fra realtà e schemi letterari, in "Sefer Yuhasin"); Vincenzo Villella( Ebrei di Calabria) e   da Andrè Gouillou (La theotokos de Hagia Agathè - Oppido) che documenta in modo inequivocabile l’esistenza già consolidata nel 1044 sui contrafforti aspromontani di una diocesi bizantina che coincide con il kastron di Oppidum ed ha il nome di Hagia Agathè. Essa sovrintende amministrativamente, politicamente e religiosamente sull’intero territorio della “Tourma” (regione) delle Saline, coincidente lato modo con gran parte dell’odierna piana di Gioia Tauro.

    Sulla convivenza di questi tre ceppi di popolazione nello stesso luogo è però lo scavo linguistico a fornire i migliori e i maggiori riscontri, a partire da G. Rohlfs , che però nel suo monumentale lavoro di ricerca sui dialetti calabri ( Nuovo dizionario dialettale della Calabria ) afferma, a proposito della presenza degli Arabi nello stesso periodo storico, che la loro influenza è stata soprattutto di predominio non solo nella Sicilia, ma di rapina e di imposizione mercantile anche sulle coste meridionali della Calabria. Per documentare linguisticamente tale sua tesi egli utilizza una ventina appena di parole di origine araba afferenti , appunto, all’ambito commerciale o agrario-commerciale da lui riscontrate nell’uso vivo ancora presente nella Calabria Meridionale. L’ assunto del grande glottologo tedesco invece, almeno per quanto concerne la presenza diffusa  e l’influenza araba nelle contrade calabre e specificamente aspromontane, è fortemente parziale e riduttivo sebbene poi  ripreso e ripetuto variamente da molti glottologi a lui posteriori o che da lui hanno preso le mosse per le loro varigate ricerche. 

  Ho voluto procedere ad un’analisi realistica e concreta di un campione più congruo di termini di origine indiscutibilmente araba presenti ancora oggi (!) nel dialetto di Oppido Mamertina e, per estensione, nelle parlate di tutto il comprensorio pedeaspromontano. Queste le risultanze: sul campione preso in esame ( 84 termini essenziali), le parole censite da Rohlfs incidono appena per il 24%, mentre il rimanente 76 % è costituito da lessèmi da lui trascurati, ma ancora oltremodo presenti nei dialetti locali. Inoltre la terminologia di riferimento non afferisce soltanto ai traffici mercantili, ma ai più svariati settori della convivenza sociale, culturale e civile.

    Un termine strettamente arabo, in particolare, “Meja”, che trova la propria ragione nell’arabo “Mellah”, indica esattamente il quartiere ebraico presente in Oppidum , al di fuori della cinta della città bizantina, dislocato, per evidenti ragioni di comodità e di sfruttamento dell'esistente, sulle vestigia di una preesistente città bruzio-ellenistica abbandonata (Mamerto). Da qui l’equivoco a causa del quale ancora oggi molti studiosi chiamano erroneamente con il termine “ Mella” l’antichissima Mamerto di straboniana memoria. Se si vuole approfondire si legga su questo stesso blog il mio studio del 2012, cliccando qui: IL GIALLO DI “MELLA” e “MAMERTO” : da uno pseudotoponimo alle ragioni storiche

    Concludo rispondendo a una domanda che sarebbe fin troppo facile porre: come mai , mentre Greci bizantini e Arabi hanno intriso profondamente i dialetti locali con le loro parlate anche settoriali, gli Ebrei hanno lasciato pochi o pochissimi termini? E’ presto detto: gli enclavi ebraici che in evo bizantino esistevano dovunque vi fosse un insediamento bizantino o bizantino – arabo, erano per loro natura, e purtroppo anche per costrizione, enclavi assai chiusi ( anche se in continua relazione con il resto della popolazione)  e il divieto di mutuarne le consuetudini si estendeva anche all’uso della loro lingua. Esattamente il contrario di quanto invece avveniva per l’elemento arabo che non solo conviveva pacificamente con il mondo civile e politico bizantino, ma ne permeava e arricchiva in modo completo e libero la vita cittadina, amministrativa, artistica, culturale e sociale.

    Di seguito l’analisi del campione di parole arabe ancora oggi vivissime nei nostri dialetti:
 

  DIALETTO LOCALE

 ARABO

SIGNIFICATO

  SIGNIFICATO ESTENSIVO NOTE

Allattariari/arsi

Al-attàr

Allarmarsi

 

Arrassari

à-rada

Allontanare/arsi

 

Anzàru

Angàr

Terrazza

In genere vicina a dirupo

Arbasu

Al-baz

Stoffa grossolana

 

Azzizzari

(vd zizzu)

agghindarsi

 

Babbaluci

Babù-s

Lumaca

 

Balàta

Balàt

Lastra di pietra

 

Banàca

Bunàqa

Pozza d’acqua

Grossa tasca, bisaccia

Cabbeja

Qabala

Gabella

Contratto di coltivazione 

Càfaru

Hafr

Vuoto dentro

Croccante

Càlia

Kalya

Ceci abbrustoliti

 

Caliàre

Qàla

Abbrustolire

 

Càmula

Qaml-a

Tarma

Seccatura, lamento

Cannàta

Khannaq

brocca

 

Cafìsu

Kafiz

Misura di olio

Sull’Aspromonte, 12 kg

Cancioffulu

Harc-suf

Carciofo/fiocco

 

Cajipu

Qalib

Destrezza

Destrezza nella pulizia del forno

Cassàra

Hasàra

Sperpero

 

Cantàru

Kintar

Quintale

 

Catùsu

Qadùs

Condotta d’acqua

 

Carrubbu/farrubbu

Harrub

Carrubbo

 

Cifèca

Safaq

Scarto di vino

Imbevibile

Cimbulu

‘Giummh

Pennacchio

 

Ciranna

‘garan

Ranocchio

 

Cuscussu

Kuskus

Pasta di semola

 

Fannàcca

Hannaka

Collana

 

Frastanàca/pastinaca

Bistinaqa

Carota selvatica

 

Fundacu

Funduk

Bottega

 

Gambittu

Gammìt

Solco nella terra

Per prosciugamento acque

Gazzàna/ hazzana

Hazàna

Nicchia nel muro

Deposito

Gebbia

‘Gabiya

Vasca

Bacino raccolta acque

Giarra

‘Garra

Grande orcio

 

Gileppu

Gùlab

Sciroppo  dolce

 

Giuggiulena

Gulgulan

Sesamo

 

Guajara

A -dara

Ernia

 

Harèri

Harrar

Tessitore

 

Jufà

Gùhà

Sempliciotto

 

Lìmbicu

L - ambiq

Moccio

 

Maccu

Maq-la

Purea di  fave

 

Majìja

Mai-d

Mensa

Recipiente di legno per impastare

Malangiana

Badhin-gan

Melanzana

 

Margiu

Marg

Terreno incolto

Terreno paludoso

Matàfaru

Middaq

Mazza

Comprimere / aggirare la legge

Mazzarari

Ma’sara

Macerare

 

‘Mbatula

l-batil

Invano

 

‘Mmazzaraturi

Ma’sara

Pietra

Per pressare alimenti sotto sale

Meja

Mellah

Quartiere ebraico

 

Murra

Muqara’à

Morra (gioco)

Affollamento

Naca

Naq’a

Bacino/fossa

Culla di vimini o  di corteccia

Musulùcu

Maslùk

Cotto

Piccolo pezzo di cagliata casearia

Ncatusàri

(vd catùsu)

 

Costringere in poco spazio

Pajècu

Fallah

Villano

 

Recamari

Ramaqa

ricamare

 

Raissi

Ra - is

Capo

 

Ròtulu

Ratl

Unità di peso

Circa 600 grammi

Saja

Saquya

Canale del mulino

Canale dei frantoi ad acqua

Saladda

Sahlad

Coperta grezza

 

Satùri

Sàtùr

coltello pesante

 

Sassula

Satl

Pala di legno

Per  granaglie o acqua

Scapìci

Sikbag

Marinatura

Per conservare  il pesce

Sciabbacheju

Sabàka

Rete di strascino

Persona poco posata 

Sgalipàtu/a

Vd. cajipu

Senza garbo

 

Sciara

Hàra

Riverbero

Calore che esce dal forno

Sciarra

Sarra

Rissa

 

Surra

Sùr

Ventresca

Di tonno o di maiale

Tafareja

Taifurija

Piccolo cesto

 

Tajjhiarita

Tayr al-layl

Pipistrello

 

Taliàri

Talaya

Spiare

 

Tamàrru

Tàmmar

Grossolano

( venditore di datteri)

Tambùtu

Tàbut

Cassa di legno

 

Tavàrca

Tabaqa

Copertura

Testiera del letto

Tùminu

Tumn

Tomolo

Unità di peso per granaglie

Vagghiu

Bahah

Cortile

 

Varda

Bard-a

Basto

 

Zàccanu

Sàkan

Stalla

Recinto di pietre per  animali

Zagara /zahara

Zahr (a)

Fiore d’arancio

 

Zaghareja

Zahar

Nastro

 

Zibibbu

Zabib

Uva grossa

 

Zambàra

Sabbara

Fibra di agave

Zàmbaru = persona grossolana

Zirru

Zir

Grande giara

Generalmente di terracotta

Zizzu

Azi-z

Elegante

 

Zotta

Sawt

Fossa di semina

Frusta/ strumento per  zotta

Zuccu

Suq

Tronco d’albero

 

                                                                            Bruno Demasi