di Bruno Demasi
Perché dunque una diffusione tanto abbondante di tale pseudotoponimo, che a lungo e con molta approssimazione è stato attribuito all’antica quanto improbabile presenza in queste zone dell’ippocastano e del relativo nome greco (malos)?
Per un motivo che, tutto sommato, è semplicissimo: più che di un toponimo in senso stretto, mutuato dalle caratteristiche orografiche del territorio o da altre ragioni, ivi compresa la vegetazione dominante, si tratta di un’indicazione di località vicina all’abitato risalente al periodo di influenza arabo-ebraica nella zona meridionale della Penisola e in quella insulare.
L'attuale Mellah di Marrakesh |
“Mella” , anzi “Mellah”, poi – a seconda delle varie parlate locali – “Meja”, ”Meda”, ”Melia”, ”Malia” era ed è termine arabo che indicava il quartiere ebraico ai margini della città, generalmente fuori dall’eventuale cinta muraria in zona orograficamente infelice rispetto all’abitato nobile, generalmente in pendio, ma di facile accessibilità e, al contempo, di facile pulizia in quanto il declivio consentiva il deflusso delle acque o comunque la non stagnazione di esse.
Era – ed è ancora nelle città islamiche – (Si pensi al Mellah di Fes e di tutte le altre città del Marocco ; al Mellah di Tripoli e , in genere, ai mellah un tempo satelliti di quasi tutte le città islamiche, oggi ridotti a quartieri o semplici rioni etnici) il luogo spregiativamente (“ mellah” in arabo indica una zona escrementizia) indicato come dimora di mercanti che non vanno tanto per il sottile, il luogo principe per traffici e commerci , in particolare del bestiame, nel quale gli Ebrei,e non solo loro, per sopravvivere si davano alla mercatura, disprezzata, se non condannata, dalla cultura cristiana e, sotto vari aspetti, anche da quella islamica. Quegli Ebrei che , come ci ricorda J.J. Benjiamin,"…sono obbligati a vivere in una parte separata della città…; perché sono considerati creature impure… Con il pretesto della loro impurità, sono trattati con la massima severità e se dovessero entrare in una strada, abitata da musulmani, ne sarebbero cacciati dai ragazzi e dalla folla con pietre e sporcizia… Per la stessa ragione, si proibisce loro di uscire quando piove; perché si dice che la pioggia che li laverebbe potrebbe insudiciare i piedi dei musulmani… Se un ebreo viene riconosciuto come tale in strada, è soggetto ai peggiori insulti. I passanti gli sputano in faccia, e a volte lo percuotono… senza pietà…."
Nelle città arabe la mellah era circondata da mura e da porte. Invece, le mellah rurali, come quelle i cui nomi restano nelle Calabrie e, in particolare a Oppido, erano solo villaggi separati e abitati prevalentemente da ebrei.
Reperti archeologici affioranti a "Mella" |
Una quisquilia storica dimenticata, tanto che da quando nell’ormai lontano 1972 (ma già dagli anni ’30 del secolo scorso si segnalavano rinvenimenti di indubbia importanza) sono affiorate in contrada Mella , a breve distanza dai ruderi del castello della vecchia Oppido (RC), in direzione N-W, le vestigia di un’antica civiltà e di un insediamento civile di grande spessore urbanistico e culturale ( Senza ombra di dubbio ormai,la Mamerto di straboniana memoria), risalente sicuramente ad età pre-romana, il mondo degli studiosi ufficiali nell’incertezza di attribuire un nome all’insediamento rinvenuto – e col passare degli anni via via sempre più documentato dagli addetti ai lavori – insiste nella sciatta abitudine di indicarlo col nome di “Mella”. Cosicché quello che in origine era soltanto un apparente e banalissimo toponimo,la denominazione di una contrada coperta non da frassini e ippocastani, ma da secolari uliveti, è divenuto col tempo , anche in ambito storiografico e pubblicistico, il nome ,o quasi, dell’antica città sepolta e delle sue pertinenze.
Una denominazione sbrigativa e superficiale!
E’ infatti facile, ma aberrante indicare un sito archeologico prendendo in prestito (provvisoriamente – si dice – vale a dire definitivamente) il toponimo del luogo del rinvenimento, come se anziché chiamare Sibari il sito della nobile città magnogreca, le si fosse affibbiato il nome di “Parco del Cavallo” o a Medma, l’altrettanto nobile città sulla costa tirrenica, quello di “Pian delle vigne”.
L’affascinante peculiarità del luogo , anzi dei luoghi di cui sono disseminate le colline circostanti gli abitati di tante città calabre che recano ancora tale denominazione, ci rimanda ad un contesto culturale che da bizantino diventa dalle nostre parti tardivamente arabo in molti settori della vita quotidiana e nel quale gli Ebrei e la cultura araba, tenacemente attecchita, svolgono un importante ruolo economico e culturale.
E che gli Arabi, specialmente sul versante tirrenico meridionale della Calabria, abbiano giocato un influsso culturale e sociale estremamente importante in sinergia con una cultura ebraica tutt’altro che marginale lo testimoniano i reperti linguistici misti ancora oggi vivissimi nella nostra onomastica (Modafferi, Morabito, Gangemi, Bosurgi, Macaluso o Molluso) o comunque nel nostro dialetto. A partire dal IX secolo gli Arabi avevano sottratto le campagne alla sterilità del latifondo ,impiantando nuove colture, sperimentando nuove tecnologie ,dando ai lavoratori della terra una dignità che mai essi avevano avuto ed insieme ad essa una nuova lingua che si sovrapponeva nella ricchezza lessicale al tessuto morfosintattico greco e latino.
Furono poi gli Ebrei che anche dopo la cacciata definitiva degli Arabi da parte di Federico II, continuarono ad adoperare e disseminare un po’ dovunque la lingua araba almeno fino a buona parte del XV secolo.
La strada di epoca tardo imperiale rinvenuta a monte di "Mella" |
Tanti gli esempi ancora vivissimi nella zona oppidese e , in genere, in molte parti del territorio calabro: Catusu (Kadus - condotto); zuccu (sukkar –ceppo); gebbia (gebya – cisterna); margiu (marg’ – campo incolto); tuminu (tumjnu – misura agraria); balata (balat – lastra); frastanaca (bistinaka – carota selvatica); gambittu (gammit – canale); rotulu, tuminu, cafisu ( ratl, kafiz, tumn – unità di misura); tafareja (tafarija - cesto); zirra, giarra (zir- orcio); saladda (saladdah – coperta grezza di lana); fannacca (hannaka - collana di ortaggi); farrubbu (harrub – carrubo); gazzana (hazana – nicchia); musulucu ( musluq – formaggio fresco ); tamarru (tammar – uomo grossolano);varda (barda’a – soma-sella); afra (hafr – alloro); cuscussu (kuskus – semolino).
Il/la Mellah di Oppidum, a differenza di tante altre sorte nelle vicinanze di altri luoghi, ebbe la singolare ventura di crescere sul sito nobilissimo, ma ormai quasi illeggibile, dell’antica città pre-romana , quella città che da alcuni anni sta venendo alla luce a poche decine di metri dall’antica cinta muraria medievale di Oppidum ed alla quale ancora ci si rifiuta pavidamente di dare un nome, il suo vero nome , Mamertum, anche dopo che Rubbettino, con il suo indubbio acume che dà lustro all’editoria e alla cultura calabrese, già da dodici anni ha ripubblicato, dopo quasi cinque secoli dalla prima e unica edizione del 1516 (Benedetto Clausi “Ridar voce all’antico padre”, Rubettino, 2000 ) l’edizione erasmiana delle lettere di Gerolamo, nella quale, a pag.273 si legge con estrema chiarezza: “Spartiatae et Messeni “Mamertiam” appellant regionem omnem ad Mamertum Oppidum pertinentem”, dove l’indicazione di Oppidum è chiaramente riferibile a una città specifica e non a un qualsiasi luogo fortificato.
Ma erano proprio necessari i riferimenti bibliografici, che per secoli sono stati discordi ed hanno oscillato su Oppido e Martirano , per dare un sito a quell’antica Mamertum, accuratamente descitta da Strabone, che gli archeologi hanno già documentato da almeno venti anni in zona Mella di Oppido e che si ostinano ancora a chiamare sbrigativamente solo “Mella”?