domenica 26 luglio 2015

“COME IN GRECIA, IN CALABRIA SI MUORE PER CARENZE NELLA SANITA’”

di Bruno Demasi
    Lo afferma la parlamentare Dalila Nesci nella sua analisi conclusiva sullo stato comatoso in cui versa la sanità calabrese e lo fa dichiarando senza mezzi termini: "Come in Grecia, in Calabria si muore per carenze nella sanità”
    Nel suo lungo giro tra quasi tutti i maggiori ospedali calabresi ( e non parliamo dei più piccoli) dimenticati dai politici di mestiere, se non per giochi clientelari, la Nesci ha avuto modo di capire senza possibilità di equivoco che “ qui politica e ‘ndrangheta hanno rovinato il sistema, ma è anche colpa del peso dell'euro, che ha ridotto casse e reparti. La sanità della Calabria prima del 2010 aveva un bilancio di 3,6 miliardi all'anno. Nei successivi quattro anni sono stati tagliati 400 milioni. Dei fondi destinati alla sanità regionale il 70% se ne vanno in stipendi, il resto in altri capitoli di spesa. Sapete quanto resta per gli investimenti? Zero. Tutto questo a causa della necessità di raggiungere il pareggio di bilancio. Si tratta di un paradosso suicida, perché senza investimenti non ci sono possibilità di tornare a crescere.” 
  E' endemico ormai che – continua la Nesci – “dal momento che le strutture sanitarie della Calabria troppo spesso non sono in grado di garantire i servizi necessari ai suoi cittadini, la Regione sborsa ogni anno somme ingenti per consentire di andarsi a curare all'estero. Il saldo tra questi fondi e quelli che entrano nelle casse calabresi grazie ai cittadini che vanno a curarsi sul suo territorio è pesantemente negativo: -250 milioni all'anno.”
    Una carrellata sulle situazioni più aberranti registrate dalla parlamentare durante le sue visite ci propone delle situazioni da quarto mondo: “ All'ospedale di Corigliano (Cosenza) – ella scrive - per un ecocardiogramma occorre un anno d'attesa e in Pediatria manca perfino la tachipirina. A Polistena (Reggio Calabria) un caposala mi confessa che addirittura non hanno i soldi per sostituire le maniglie delle porte. All'ospedale di Crotone il laboratorio analisi, la cui ristrutturazione è ferma da anni, sembra uno scantinato. A Serra San Bruno (Vibo Valentia) hanno in dotazione una sola ambulanza, per cui in caso d'incidente stradale che coinvolga più persone il medico deve scegliere chi caricare a bordo e chi lasciare a terra.” 
     E non ha visitato ospedali un tempo gloriosi e ora ridotti al rango di piccoli presidi di lungodegenza in zone montane fortemente isolate e a rischio, come quello di Oppido Mamertina, che da almeno dieci anni si sarebbe dovuto riqualificare come “ospedale di montagna” alla stregua di quelli di San Giovanni in Fiore o di Serra San Bruno, ma che i giochi politici hanno voluto criminalmente affossare. Un ospedale in cui oggi  il personale medico-infermieristico con enormi sacrifici quotidiani fa i salti mortali per garantire un minimo di dignità ai pazienti che addirittura , per mancanza di due- tre climatizzatori nei corridoio ( una spesa irrisoria) languono nelle giornate dell’estate in un microclima asfissiante nelle stanze di degenza le cui pareti esterne sono esposte per molte ore al torrido sole pomeridiano. Quegli stessi pazienti dello stesso ospedale che, per la natura stessa delle loro patologie estreme non hanno nemmeno il conforto, pur invocandola in continuazione, dell’assistenza spirituale di un cappellano dopo il decesso avvenuto oltre un mese fa del sacerdote a cui era affidato questo delicato e importantissimo servizio…
    Sarebbe troppo facile affermare che si tratta di situazioni dimenticate persino da Dio, se la battuta non fosse squallidamente cruda, ma è pur vero – continua Dalila Nesci – che “in questo angolo di Sud è perfino un problema far nascere un figlio. Infatti, le terapie intensive neonatali sono state ridotte drasticamente e per le emergenze mancano posti negli ospedali hub” .
   Negli ultimi venti anni le passerelle dei politici locali e nazionali sulla pelle dei malati hanno dato sempre materia ai titoli roboanti dei giornali e dei servizi televisivi, ma – inutile nasconderlo – a lottare realmente per la giustizia, a denunciare con coraggio e senza interessi, a chiedere che le autorità intervengano per arginare il crollo di un sistema al collasso, schiacciato da tagli, clientele e illegalità non c’è stato quasi nessuno. L’impegno della Nesci in tal senso oggi è veramente singolare e concreto perché scardina la tipologia usuale della passerella elettoralistica per dar voce e dignità alla cittadinanza attiva, quella che da secoli manca in Calabria.
 Così continua nella sua  attentissima analisi:
  “Per cercare di tamponare l’emorragia in questi anni in Calabria si si sono succeduti diversi commissari, che hanno solo tagliato posti letto e risorse, dimostrando che la politica dell’emergenza non risolve i problemi alla radice né gli sprechi. Passano gli anni, cambiano i commissari e continuano i tagli. Il sistema clientelare della politica resta lì, immutabile, come nulla fosse… Qui i conti, oltre a essere in rosso, sono anche pazzi e fuori di ogni controllo. Lo scorso anno dall'Asp di Reggio Calabria sono usciti 393 milioni di euro senza che vi siano le relative tracce. Non bastasse, manca anche la certificazione ufficiale dell'andamento del debito, che spetterebbe al revisore Kpmg, pagato 3 profumati milioni all'anno. Quasi quattrocento milioni scomparsi nel nulla e nessuno che abbia alzato un dito contro procedure che di legale non hanno nulla.”
    Un quadro di per sè significativo della precarietà del quotidiano in una regione in cui non solo la sanità, ma persino la dignità elementare del malato è diventata un ridicolo optional , e non parliamo certo della sanità specialistica che registra – come afferma la parlamentare – “ a Reggio Calabria… lo scandalo “d’eccellenza” della sanità calabrese: il Centro Cuore con la Cardiochirurgia. Una struttura nuova di zecca, pronta per da tre anni ma non ancora aperta; anche, forse, per una storia di conflitto d'interessi nella vecchia direzione generale, dove c'era l'amministratore di una società privata di diagnostica. Il danno erariale, stimato dalla Guardia di Finanza, è di 40 milioni, il danno umano invece è incalcolabile. Oggi in tutta la Calabria esistono due soli altri reparti di cardiochirurgia e si trovano entrambi a Catanzaro”.
    In questo marasma istituzionalizzato in cui i missi dominici mandati da Roma o nominati dalla politica variopinta del potere locale con una mano pensano solo a tagliare posti letto e con un’altra a investire miliardi in improbabili cattedrali nel deserto spacciate per nascenti ospedali d’eccellenza studiati non si capisce da quale mente contorta ( quello cosiddetto “della Piana” di Gioia Tauro per la sua ambigua localizzazione ne è l’emblema) – conclude la Nesci – “...il tempo delle vacche da mungere è finito, insieme ai soldi. Per il crollo definitivo della sanità è solo questione di tempo in Calabria e la Grecia non è mai stata così vicina."