giovedì 2 luglio 2015

A UN ANNO DALLA PROCESSIONE CHE HA SEGNATO L’INTERRUZIONE DELLE PROCESSIONI

di Bruno Demasi
    E’ più che mai vivo in Diocesi , a un anno di distanza dai fatti di Tresilico del 2 luglio 2014, il dissidio, che sarebbe anche profondo se non fosse strisciante, tra i fautori della Fede maiuscola e i partigiani inconsapevoli della religiosità bollata come idolatria, tra la “Fede adulta” dei pochi addetti ai lavori e la grande devozione popolare, tra i moltissimi fautori del ripristino delle processioni religiose e i pochi, più realisti del re, che sostengono pedantemente la necessità che il divieto faccia intero il suo corso che non sappiamo peraltro quale sia stato e quale debba essere alla luce del finalmente partorito documento “Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare. Orientamenti pastorali per le Chiese di Calabria”, che, approvato due giorni fa dalla Conferenza dei vescovi calabri, ancora non è stato dato in pasto alla plebe…
    Si potrebbe in proposito obiettare che questa prassi del si dice-non si dice; degli embarghi sulle decisioni episcopali regolarmente frustrati 5 minuti dopo la loro enunciazione, dei quarti di verità che diventano scoop da trivio e da piazza pettegola, sarebbero da bandire accuratamente da chi di dovere perché seminano dicerie, congetture, relatarefero di ogni sorta che distorcono, quando non inquinano totalmente, l’unica Verità vera che andrebbe comunque gridata a tutti e dai tetti. Ma questo è un altro discorso…
    Vero è invece che, per i tempi della Chiesa, i sei mesi trascorsi fino a oggi dalla pubblicazione della Nota pastorale della stessa CEC “Testimoniare la Verità del Vangelo” dello scorso mese di gennaio in cui si preannunciava la nomina di un direttorio incaricato di redigere le linee guida pastorali per “le chiese di Calabria” che oggi pare sia finalmente cosa fatta, è appena un battito di palpebre, anche se di fatto sono stati sei mesi lunghissimi in cui , al di là delle vetrine ufficiali, la sofferenza ecclesiale ( nel senzo etimologico del termine) non è stata e non è  poca…
    Vero è anche che gli stessi presuli, stavolta pudicamente riuniti due giorni fa, non in un resort, ma in un più appropriato santuario (quello di Laurignano), in seduta straordinaria, oltre ad “approvare” il documento in parola, partorito direttorialmente dopo laboriosa gestazione sintattica e teologica, proprio a un anno esatto dai fatti di Tresilico, si sono finalmente levati alcuni ingombranti paludamenti che li ingessavano per esprimere alta la loro disapprovazione di fronte ai mali della Calabria, per sdegnarsi vehementemente – ed era il minimo – per la faccenda della rimborsopoli dilagante in questi giorni, ma anche per auspicare “una seria inversione di rotta dei politici per la gestione della cosa pubblica”, per condannare apertamente” tutti gli atti di corruzione e di malaffare” e infine per evitare – così dicono esattamente - “subdole infiltrazioni della mafia nella vita religiosa”.
    Ne prendiamo atto, ci cospargiamo il capo di cenere e ci prostriamo a pregare affinchè queste dichiarazioni di intenti non restino, come spesso capita ai vari livelli e in varie occasioni , nella Calabria dello scirocco e del libeccio, pie enunciazioni di principio poi non suffragate dai fatti e dai comportamenti individuali ( i più emblematici) oltre che collettivi.
    Cosa resta a Oppido e nella Piana dopo un anno di queste intemperie? 
     A parte le tonnellate di foglie secche che stanno ricoprendo tutto, forse anche qualche altra cosa.
   Sicuramente il caos mediatico tutt’altro che lenito dalle presunte apparizioni mariane in quel di Quarantano che a loro volta hanno segnato folkloristicamente questi dodici mesi di passione per un paese sempre più simbolo di una Piana dedita ai pasticci e alle manovre di sempre sia pure con pie visioni di orizzonti lontani…
  Sicuramente il veleno del ribaltamento di responsabilità e accuse reciproche ancora presente su tante bocche e su tanti scritti, per il quale neanche le tanto decantate missioni evangelizzatrici in corso o già concluse, potrebbero mai essere un efficace antidoto.
    Certamente tanto cattivo gusto nello scempio e nella strumentalizzazione della sacra immagine… a tutti i livelli...
   Ma sicuramente anche la nostalgia per quella devozione popolare umile, semplice e povera – così mirabilmente tradotta dalla foto, chiesta in prestito al sapiente obiettivo di Mirko De Maio, la sola con cui ho voluto illustrare questo post - di cui Tresilico era un tempo segno  e nella quale , come in un humus ricchissimo e a buon mercato , crescevano le radici di tanta vera fede nascosta e operosa…