venerdì 14 dicembre 2018

IL PERENNE BIANCO E NERO DI CALABRIA

di Felice Delfino
 Insieme con la Sicilia, la Calabria ha il record di dominazioni che si sono stratificate nel tempo, ma mentre in Sicilia ogni colonizzazione  ha creato sempre nuovi e multiformi  contesti di civiltà, in Calabria, se escludiamo qualche sprazzo di luce, ogni dominazione  ha lasciato ferite profonde. La riflessione di Felice Delfino è illuminante e amara (Bruno Demasi)

     L’innesto sempre doloroso di colonialismi buoni o pessimi sulla nostra terra può essere facilmente tracciato in un percorso di costante metamorfosi della Kalà – Brio, cioè della “terra bella e fertile”, secondo l’etimologia bizantina. Gli eventi antichi e nuovi che caratterizzano questa terra presentano in effetti una pluralità di episodi in un iter crono-storico ricco di situazioni positive e negative che hanno caratterizzato ogni sua singola fase. Molteplici i dominatori: Greci, Romani, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Borboni (antecedenti la genesi della Repubblica Italiana), ognuno dei quali ha dato e lasciato un’impronta certa al ricchissimo e variegato bagaglio culturale calabrese. 

    Sin dalla fondazione della Reghion calcidese, da parte dei Greci provenienti da Calcide, città dell’isola di Eubea sbarcati all’oramai sprofondato negli abissi del mare, promontorio di Punta Calamizzi (e dalla fondazione di altre poleis magno-greche nella parte finale dello stivale italiano di altri uomini ellenici provenienti da altre regioni) ad oggi, assistiamo a questo progressivo fenomeno di trasformazione sociale e culturale che ci contraddistingue e ci impreziosisce.
    Luci ed ombre nel passato, nel presente e nel futuro tormentano e fanno gioire antiteticamente la Calabria che vive attualmente di emozioni contrastanti e di speranze spesso fuorvianti. È il bianco ed il nero calabrese che sussistono persino nel modus vivendi e cogitandi di un popolo falcidiato da problematiche di varia tipologia, nel settore lavorativo e nella piaga sociale del fenomeno ancora purtroppo imperversante della N’drangheta (nell’ultimo anno sono stati confiscati 2,6 miliardi di beni circa) in primis, per poi via via passare a problemi di minor entità ma non per questo meno rilevanti: tutti fattori che spingono giovani ed anziani a mugugni, false speranze che scoppiano come bolle di sapone. 

     Eppure si sa, in Calabria, c’è un opulento potenziale ma anche una cattiva gestione delle risorse in possesso. Basti pensare alle alte valenze qualitative nel campo enogastronomico (peperoncino, bergamotto, vino Cirò, tartufo di Pizzo (a Rende in provincia di Cosenza c’è la pizzeria con la pizza più buona d’Italia o il top delle gelateri,e il chioschetto Cesare a Reggio Calabria). Ancora meglio, per passare ad un campo più rigoroso, riflettiamo attentamente sulla pluralità dei beni archeologici, dei reperti lasciati in eredità in ciascuna delle fasi storiche sopraindicate: dai Bronzi di Riace, simbolo per antonomasia della città di Reggio Calabria (contesi all’Expo di Milano 2015 da Vittorio Sgarbi); alla Sala dei Draghi e dei Delfini inserita nel Parco di Kaulon a Monasterace Marina; alla pavimentazione musiva di San Pasquale di Bova Marina, (mosaico raffigurante un motivo di foglie e frutti, il cedro, lo shofar, la menorah, ed appartenente ad un’antica sinagoga del IV-VI secolo), ubicato all’interno della struttura del Parco Archeoderi e in riferimento all’ebraismo calabrese, così come l’iscrizione epigrafica a caratteri greci del Titulus (custodito anch’esso nel museo della Magna Grecia), la lucerna ad olio di Leucopetra ed i frammenti delle anfore Keay LII col bollo della menorah contenente il pregiatissimo antico vino reggino ( reperti tutti aventi la medesima datazione del mosaico), appartengono alla fase ebraica calabrese durata dal IV sec. d.C., al 1541 ai tempi di Carlo V ; alle altre bellezze custodite nei tanti parchi archeologici della regione, per non parlare di tutto ciò che hanno devastato i terremoti del 1783 e, quello più ricordato del 1908, ed anche e soprattutto i due grandi conflitti bellici mondiali nel primo decennio e negli anni Quaranta del secolo scorso.

    Un vero e proprio tsunami mediatico che rimbomba altisonante sui risvolti negativi legati alla Mafia con le tante cosche fa apparire solo il volto “nero” del double face calabrese, ma ciò, lo dico da Calabrese io stesso, ci toglie agli occhi degli esterni i lustri che la mia tanto amata Calabria meriterebbe.
    Alcuni comuni sono o sono stati commissariati a seguito della cattiva reggenza dei loro rispettivi sindaci, indagati o agli arresti. C’è poi il problema dell’immigrazione: una moltitudine di Africani (tanto che qualche buontempone ha burlescamente definito la regione con l’appellativo scherzoso ma assai eloquente di CalAfrica) giunta da ogni parte del loro continente con zone in piena guerra civile o colpite da malattie di ogni sorta. Giungono alla ricerca di un lavoro che non c’è (e qui entra in gioco la Ndrangheta che li sfrutta per i propri traffici illegali e il lavoro in nero) e le strutture di accoglienza non sempre sono sufficientemente attrezzate e col Governo.

    Domenico Lucano (noto a tutti come Mimmo) si è mosso per la finalità dell’integrazione degli elementi di provenienza africana. Sindaco del piccolo paese di Riace, ha realizzato un modello di accoglienza dei richiedenti asilo, ma è stato, a mio dire ingiustamente, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (e di aver fatto celebrare matrimoni di comodo tra immigrate e cittadini italiano per fare avere l’asilo alle donne) tanto che gli sono stati imposti per questa ragione gli arresti domiciliari il 2 Ottobre scorso . Considero, invece, il “modello Riace” un’ottima iniziativa perché fino a vent’anni fa il paesino calabrese di Riace rischiava di essere abbandonato, a motivo dell’emigrazione dei giovani riacesi verso il nord. Da qui  l’idea di accogliere un certo numero di immigrati che sono stati integrati nella comunità locale, quando ancora Lucano non era sindaco.
  Una situazione emblematica e non priva di risvolti molto inquietanti. 

    Una situazione sicuramente assimilabile  allo scandalo più grande costituito dalle gravi crisi economico-lavorative che spingono moltissimi giovani ad emigrare al nord, in cerca di maggior fortuna: lo testimoniano le lettere e i messaggi di ragazzi e ragazze calabresi costretti ad abbandonare la terra natia; “Sei diventata invivibile scappo anch’io” scrive tra i tanti su Facebook, Alessio Tundis, che così posta:
 ”dicono tutti che sei diventata troppo stretta, troppo sporca, troppo incivile, troppo corrotta: invivibile. Sei invivibile Calabria, riesci a sentire il giudizio dei tuoi figli? Lo so, sarai sempre la loro mamma e le ferie trascorse da te sembreranno sempre troppo poche…".