venerdì 6 maggio 2022

MARIA CHINDAMO, EMBLEMA E VITTIMA DELLA BARBARIE CALABRESE

           Di Bruno Demasi


Il 6 maggio 2016 spariva inspiegabilmente a Limbadi, in provincia di Vibo Valentia, Maria Chindamo, imprenditrice agricola quarantaquattrenne di Laureana di Borrello. E, solo dopo tantissime e vane ricerche e molto tempo, cominciava ad affiorare qualche brandello di verità sulla sua fine: forse sequestrata e poi data in pasto prima ai rulli di una trebbiatrice e poi ai maiali, secondo quanto rivelato dal collaboratore di giustizia Antonio Cossidente già membro del clan dei Basilischi che riferiva ai magistrati della procura distrettuale di Catanzaro di aver saputo da Emanuele Mancuso, esponente di spicco dell’omonimo clan di Limbadi, anche lui collaboratore di giustizia con il quale condivideva la cella nel carcere di Melfi, che Maria Chindamo sarebbe stata uccisa per punizione perché non voleva cedere i suoi terreni. 

    Il collaboratore di giustizia forniva anche particolari macabri sulla fine di Maria Chindamo. La donna, dopo essere stata trascinata con forza su un furgone, sarebbe stata portata in un casa colonica, uccisa e poi buttata in un terreno, stritolata con la trebbiatrice e poi data in pasto ai maiali, tenuti a digiuno da parecchi giorni. In questi quattro anni i carabinieri anche con l’aiuto del Ris hanno ispezionato casolari e messo sigilli a decine di macchine agricole e autovetture, con lo scopo di trovare tracce ematiche della donna. Sono stati utilizzati anche i cani molecolari fatti arrivare dalla Questura di Palermo, ma senza risultati. 

   La scomparsa dell’imprenditrice avveniva proprio nella ricorrenza del suicidio del marito Ferdinando Punturiero, impiccatosi pochi giorni dopo che la coppia aveva deciso di separasi. Una circostanza che sul momento aveva fatto pensare gli inquirenti a una ritorsione da parte dei parenti del marito nei confronti della donna. La pista non portò, però, a nessun risultato. Diverse lettere anonime fatte recapitare in questi anni all’avvocato Nicodemo Gentile, legale della famiglia, e a un sacerdote della zona, indicavano circostanze e personaggi che avrebbero potuto avere avuto un ruolo nella sparizione della donna.
    Una storia accaduta 6 anni fa , ma degna del peggiore e più convenzionale Medioevo barbarico. «Ogni anno che passa dalla scomparsa di Maria, diventa sempre più forte la domanda di Verità e Giustizia da parte dell’intera comunità. Scuole, Associazioni, enti, istituzioni, i media e tantissima gente comune della Calabria e dell’Italia intera si domanda dov’è Maria. Maria non è sola. Accanto a lei ed alla sua famiglia la comunità intera instancabilmente chiede che il tribunale clandestino e mafioso che ha accusato processato e condannato a morte Maria e altre donne, deve essere smantellato. Che le terre di Maria non siano nel mirino di sciacalli che rubando nelle sue terre vogliono fare scomparire ancora una volta Maria insieme al futuro delle sue figlie e di suo figlio».      

    Una solidarietà determinata ad ottenere giustizia si legge tra le parole delle associazioni che continuano ad essere vicine alla famiglia Chindamo anche attraverso la lotta alla criminalità nelle piazze. In questa giornata Libera, Agape, il progetto “Mettiamoci una croce sopra. I giovani verso il voto in Calabria”, comitato “Controlliamo noi le terre di Maria” e Penelope Italia Odv annunciano in una nota un sit-in proprio davanti al cancello della sua azienda agricola dove nelle prime ore del mattino del 6 maggio 2016 Maria venne aggredita da una o più persone. «Di lei rimangono solo tracce di sangue sulla sua auto bianca e sul muretto della proprietà – continua la nota – insieme alle ciocche dei suoi bellissimi capelli neri. In questi cinque anni dopo tanto silenzio qualcosa si è smosso ma ancora non basta. Occorre che tutti quelli che sanno parlino. Lo chiedono anche gli studenti e le studentesse della Calabria che in tanti e tante hanno ascoltato le testimonianze di questa famiglia che non si è arresa, che non ha mai perso la fiducia nello Stato, che ha continuato a testimoniare fede nella giustizia e nella legalità, a portare un messaggio d’amore, a chiedere non vendetta ma giustizia». E questo è il messaggio di speranza e di responsabilità che le giovani ed i giovani calabresi, la società civile tutta, vogliono fare proprio e rilanciare. 

    Occorre rivolgere sicuramente un plauso alle pochissime ( e purtroppo non è soltanto un caso) scuole superiori calabresi che nel 2021  hanno aderito al progetto “Mettiamoci una croce. I giovani verso il voto in Calabria” le seguenti scuole: Liceo Scientifico Vinci Rc, Boccioni Fermi Rc, Liceo scientifico Guerrisi Cittannova, Liceo Volta Rc, Istituto Tecnico Rende, Istituto Bova Marina, Magistrale T.Gullì Rc, Piria Rc, Piria Rosarno, Alberghiero Vibo Valentia, I.I.S Mancini-Tommasi Cosenza, Itcg Falcone Acri. Da loro, forse, la nuova Calabria...