martedì 24 giugno 2014

C’ERA UNA VOLTA L’OLIVICOLTURA NELLA PIANA

di Bruno Demasi
    Con  la sua orografia armoniosa, caratterizzata dalla presenza  di aree collinari , pedemontane, montane e pianeggianti, con i suoi cultivar di antica e nobile stirpe ( ottobrarica, scialoria/sinopolese), la Piana di Gioia Tauro ha espresso per secoli attività di eccellenza e di guida nell’olivicoltura, e non solo per noi, ma per tutto il bacino del Mediterraneo.
  Le casuali e dissennate politiche UE degli ultimi 30 anni, favorite dall’insipienza dei nostri rappresentanti a Bruxelles (Vd, ad esempio l’onorevole Pittella ancora una volta plurivotato nella recente tornata elettorale più per il suo impressionante  cosmopolitismo espressivo che per la sua effettiva conoscenza degli immani problemi in cui si dibattono i contadini del Sud), le strambe o inesistenti politiche dei governi italici, che hanno letteralmente  mandato in rovina  tutte le aziende agricole del Mezzogiorno, il nulla elevato a sistema nei governi regionali, hanno fatto si che anche l’olivicoltura nella Piana diventasse solo un’espressione nostalgica e null’altro.
   Al problema strettamente politico  si  è combinata in quest’opera di distruzione tutta una serie di concause
che varrebbe la pena studiare anche per gli effetti dirompenti sulla situazione idrogeologica del Territorio.  In effetti  l’abbandono, ormai diffusissimo,  della pratica olivicolturale, non più remunerativa, da parte degli abitanti della Piana  con la conseguente distruzione di moltissimi ettari  di ulivi rasi al suolo per ricavarne appena appena legna da ardere  e l’aggressione perenne del fuoco hanno inciso in modo determinante sulla stabilità del territorio, al punto che esso oggi è interessato per oltre il 60% da livelli gravissimik di attenzione per rischio idrogeologico.
    In ogni caso  è possibile evidenziare come l’intera Piana versi ormai  in condizioni di  marginalità socioeconomica rispetto al territorio  regionale e nazionale, collocandosi da  tempo agli ultimi posti della
graduatoria stilata in base agli indicatori economici e strutturali anche pet quanto concerne appunto l’olivicoltura che  rappresentava non solo il principale comparto produttivo nel contesto dell’economia agricola locale, ma svolgeva anche un ruolo di primo piano nella valorizzazione paesaggistica e nella difesa idrogeologica del territorio.
     Appena appena quattordici anni fa  (dati del V censimento generale dell’agricoltura del 2000, in Calabria) l’olivo risultava diffuso praticamente in tutti i comuni della Piana, ad eccezione di  qualche lembo di territorio comunale ubicato tutto oltre gli 800 m s.l.m., e in alcuni l’incidenza dell’olivicoltura  raggiungeva il 90%, malgrado  molto  del territorio olivetato fosse ubicato in aree interne caratterizzate da condizioni climatiche e morfologiche  difficili e problematiche. In effetti ben  il 20-25 % degli oliveti  era coltivato su terreni con pendenze da 0 al 5%, il 29% su terreni con pendenze variabili dal 5 al 15%, infine il 18% dei terreni olivetati  erano caratterizzati da pendenze superiori al 30%.
      Oggi invece gran parte degli oliveti, specialmente nelle zone non pianeggianti non esiste quasi più.
      A scoraggiare  i proprietari dei piccoli o grandi appezzamenti di terreno  un tempo benedetti dall’ombra di questi alberi secolari intanto il crollo del prezzo dell’olio di oliva voluto dalle politiche puerili e delinquenziali di cui ho detto sopra, poi la difficoltà  per il piccolo coltivatore di investire denaro in acquisti, sempre più onerosi, di reti per la raccolta, concimi, mezzi per la lavorazione, materiali per la difesa fitosanitaria, oneri per il trasporto e la molitura delle olive e per lo stoccaggio e la  commercializzazione dell’olio.
      E’ pur vero che sulla Piana più interna circa il 50% degli oliveti  si stima fossero  ultrasecolari, con piante spesso di dimensioni notevoli, a volte obsolete, con tronchi cariati, forme di allevamento e sesti irregolari, ma è pur vero che gli aiuti comunitari e regionali per la modernizzazione o il rinnovo degli impianti sono stati disseminati negli ultimi 30-40 anni con criteri assolutamente clientelari, che hanno penalizzato solo i piccoli proprietari,ma non i grandi speculatori che hanno fagocitato risorse e miliardi…!
  In ogni caso ormai il problema  non esiste più: la malattia è stata eliminata uccidendo il paziente!