
Proprio la devozione al Santo in quest'ultimo paesino della Piana nordorientale, ci viene mirabilmente descritta e ricordata in questa stupenda pagina dalla penna di Umberto Di Stilo, che ringrazio vivamente per questo suo pregevolissimo intervento sul blog.(Bruno Demasi)
di Umberto Di Stilo
Ci sono, specie nel Sud,
diverse località e piccoli centri conosciuti solo ed esclusivamente per una
loro fiera, per il loro santo protettore, per un pellegrinaggio, per un preciso
avvenimento che caratterizza la loro stessa identità geografica. Sicchè, nella Calabria
reggina, Acquaro di Cosoleto è conosciuto per la festa di San Rocco, Terranova
Sappo Minulio per l’annuale pellegrinaggio in onore del “SS. Crocifisso”, Polsi,
in Aspromonte, per la sua Madonna della Montagna, ecc.
Lo stesso discorso vale
per Plaesano che da sempre si identifica con San Biagio, con il pellegrinaggio
del tre febbraio e con le classiche ed immancabili “tre girate” attorno alla
chiesa che costituiscono una delle più genuine e schiette tradizioni di fede
della gente di Calabria.
Plaesano, un pugno di
case sommerse in un mare di secolari olivi, vanta origini remotissime e da
sempre, ogni anno, il tre febbraio, richiama migliaia di persone di ogni età e
condizione sociale.
Sorto in epoca molto
antica, il primo nucleo abitato si costituì presumibilmente attorno ad un
castello il cui primo proprietario fu un tal Plagitzanos dal quale
successivamente prese il nome di Preizano o, come si legge in diversi
documenti, “Praiezzano”.Dalla fine del 1300 al
1850 Plaesano è stato sempre legato a Galatro, prima perchè facente parte dello
stesso feudo e della stessa baronia, poi - dal 1835 al 1850 - perchè sua
frazione. In atto è frazione di Feroleto della Chiesa e, pur facendo registrare
una costante espansione urbanistica, supera di poco i mille abitanti.
Questi, però, si
centuplicano il tre febbraio, allorchè, da sempre, diventa l’ ”ombelico della
Piana” tant’è che sin dalle prime ore del mattino, le strade che lo collegano
agli altri centri della zona si popolano di pellegrini che vanno a sciogliere i
loro voti ai piedi del Santo. Giungono dalla montagna,
dalla pianura e dalla valle. Il paese, infatti, è
situato in cima ad una collina larga e folta di olivi che si allunga tra due
valli, dai monti verso il mare e finisce in un terrapieno qualche chilometro
oltre l’abitato; da un lato scende rapida, con fratture e burroni, dall’altro
si distende con un pendio dolce e solatìo, in cui i vigneti formano delle chiazze
chiare tra gli olivi. Da questa parte si arriva dalla Piana, dopo che la strada
ha attraversato l’ampia e luminosa valle del Metramo, verde di aranceti.
I pellegrini ora
arrivano in macchina, giacchè solo quelli dei paesi vicini (Galatro, Feroleto,
Laureana) riuniti in allegre e chiassose comitive, seguendo la secolare
tradizione locale, raggiungono a piedi il piccolo centro, ma una volta -fino alla
fine degli anni sessanta- a Plaesano, il tre febbraio, era un continuo affluire
di “massari” sul loro caratteristico carro tirato dai buoi i quali, senza
scendere dal rudimentale mezzo di trasporto e prima di entrare in chiesa a
venerare e ringraziare il Santo, come tutti gli altri pellegrini, si
affrettavano a compiere tre giri con il carro e gli animali attorno alla
modesta chiesetta.
Questa di Plaesano era
considerata anche la festa dei massari e, più precisamente, la festa del mondo
agricolo e contadino. Non erano pochi, infatti, gli agricoltori che a Plaesano
portavano in chiesa (e molti lo portano ancora) un pugno di cereali che,
benedetti, mescolavano a quelli della semina assicurandosi così una buona
germinazione ed un felice raccolto. Inoltre la festa di Plaesano è ancora
conosciuta come la “festa dei tre giri”. E, anche se l’origine di
questo antico rito è piuttosto oscura, ancora oggi, ogni persona che si reca
alla festa deve compierlo; deve girare tre volte intorno alla vecchia chiesa
che ha la facciata rivolta verso la piazzetta ed è circondata da una viuzza
stretta come un corridoio.
Per tutto il giorno è un
continuo girare di persone (e, una volta, anche di bestie; di intere mandrie,
di armenti al gran completo); il giro non si deve mai interrompere. “E’ un
girare uguale e lento come dell’asino legato alla stanga del pozzo, regolare
come di un satellite intorno al suo pianeta”, scrisse Fortunato Seminara.
Secondo una ben radicata
tradizione, infatti, chiunque raggiunge Plaesano nel giorno della festa del
Patrono e trascuri di compiere i tre giri, è da considerare come uno che manchi
di rispetto al Santo.
La cerimonia dei “tre
giri”, infatti, non sembra doversi intendere come “deposizione attorno alla
chiesa dei mali e delle cattive influenze” ma ha solo il significato di omaggio
doveroso al Santo il quale, però, -secondo un’antica credenza popolare- si vendicherebbe
con coloro che non si curassero di compiere l’atto di omaggio. I giri devono
essere tre perchè nella simbologia cristiana il numero tre rappresenta la
Trinità. Secondo alcuni studiosi, invece, i tre giri attorno alla chiesa sono
da collegare alle tre apparizioni di Cristo a San Biagio, la notte precedente
il suo arresto ed il suo martirio.

Perchè proprio un
frammento di tegola? Pare che fino al 1783 i pellegrini portassero un intero
mattone. Il terremoto di quell’anno, però, (era il 5 febbraio, ed il
pellegrinaggio in onore del Santo aveva avuto luogo esattamente 48 ore prima dl
“flagello”) ridusse tutte le abitazioni della zona in un ammasso di macerie,
sicchè l’anno successivo i fedeli, anche in segno della loro precaria
condizione di vita, portarono a Plaesano per la consueta benedizione, un
piccolo frammento di tegola, ‘u straku, appunto. Straku che,
nonostante i progressi fatti registrare nel campo medico e scientifico, ancora
oggi, il tre febbraio, molti dei pellegrini che giungono a Plaesano non
rinunciano a portare con loro, magari ben celato in moderne e capienti borse
femminili. Nessuno, infatti vuole trovarsi sprovvisto nel malaugurato caso che
fosse necessario applicarlo sul ventre dolente dei bambini, a mo’ di
analgesico, per far sparire il dolore.
Oggi, era avanzata della
tecnologia, a Plaesano il 3 febbraio c’è chi rimpiange il genuino, semplice
mondo contadino di un tempo; c’è chi rimpiange la sfilata dei carri agricoli,
dei calessi, dei mezzi di ogni sorta che, carichi di persone, intervallati e
seguiti da lunghe file di gente a piedi, giungevano al santuario. I carri
cominciavano a giungere all’alba ed il loro arrivo continuava ininterrotto fino
a mezzogiorno, fino all’ora della messa solenne e della processione della
Statua del Santo per le vie del piccolo centro.
La processione è sempre
la stessa, così come è lo
stesso lo spirito che anima i fedeli che,
numerosissimi, seguono la Statua lungo il suo girovagare per le viuzze del
paese. Non c’è strada che non sia percorsa dal sacro corteo. Non c’è abitante
di Plaesano a cui non sia data la possibilità di vedere sotto il suo balcone la
statua del Santo di Sebaste. Poi, nelle prime ore del
pomeriggio, tra canti, scoppi di fuochi pirotecnici e sonori rintocchi di
campane, accompagnato da una marea di pellegrini, San Biagio fa ritorno in
chiesa.
Nei pressi del sacro
tempio i giovani e volenterosi portatori, osservano qualche minuto di riposo
per sistemarsi bene sotto la vara. Quindi ripartono e quando la processione
giunge nella piazzetta prospiciente la stessa chiesa, ad un segnale convenuto,
i portatori, di corsa, fanno compiere alla statua del Santo i “tre giri” sullo
stesso percorso e lungo la stessa viuzza dei pellegrini. Sono pochi minuti
di confusione e di fervore indescrivibile. I fedeli, tenendo ben stretti i loro
bambini si radunano nella piazza o si addossano ai muri delle case, mentre un
complesso bandistico esegue una allegra marcia sinfonica. Tutti gli occhi sono
rivolti allo sbocco della viuzza; nell’uscire da quella curva la statua sembra
sbandare sulla destra, ondeggia, sembra che da un momento all’altro possa
cadere.
Ogni qualvolta la statua
arriva davanti alla chiesa,
i portatori, dimostrando grande abilità, tutti
insieme accennano ad una genuflessione. E’ un attimo. San Biagio si piega in
avanti verso il sacerdote e gli altri celebranti che, insieme ai fedeli,
aspettano la conclusione dei tre giri. Poi riprende la corsa sulle spalle degli
abili portatori. E i fedeli, sempre più
pigiati tra di loro, trattengono il respiro e pregano. C’è chi si batte il
petto coi pugni, chi stringe più forte a sè la propria creaturina, chi si
limita a segnarsi devotamente. Sui volti di tutti si
legge l’intima partecipazione al particolare momento di fede.
Ultimati i tre giri, sia
pur sfiniti, i giovani portatori riescono a trovare ancora le necessarie
energie per gridare “Viva San Biagio” e per far scomparire la statua
all’interno della chiesetta, passando tra la folla di fedeli con un rapido
sobbalzo.
* * *
Verso l’imbrunire,
a poco a poco, i pellegrini riprendono la via del ritorno. Un tempo, quando si
spostavano a piedi, ogni tanto una comitiva si fermava lungo la strada, si
improvvisava un circolo e si trovava sempre chi era disposto a gonfiare una
cornamusa o a mettere mano ad una chitarra. E il pellegrinaggio,
improvvisamente, si trasformava in una festa popolare.
Adesso non più. Adesso
il tre febbraio Plaesano è presa d’assalto dalle macchine, dalle motorette e
dagli immancabili - come sempre - caratteristici venditori di mostaccioli, ceci
(calia) e noccioline.Adesso il rientro a casa
delle migliaia di pellegrini è più rumoroso, più scoppiettante ma sicuramente
meno allegro e festoso. Lungo le strade,
comunque, oggi come un tempo, si respira a pieni polmoni.
La festa di Plaesano,
tutto sommato, è come un presagio di primavera, cioè di vita rinnovata. Talvolta infatti, ma non quest'anno, anche se si è
ancora ai primi di febbraio, la stagione è di una clemenza inverosimile, il
sole splende tiepido in un’aria ferma e tersa come cristallo. E nelle siepi che
costeggiano la strada, qua e là, occhieggia già il biancospino, rendendo più
completa e perfetta l’illusione della primavera.