venerdì 29 novembre 2013

NELLA PIANA ...SI MUORE DI FREDDO

di Bruno Demasi
      E mentre i politici calabresi dei due maggiori partiti sono attanagliati da atroci dilemmi su quale vecchio o nuovo partito riversarsi o su quale vecchio o nuovo personaggio votare per le imminenti primarie, mentre le associazioni di volontariato e le organizzazioni di solidarietà languono, nella Piana  si continua a morire. Stavolta non per faide o per fatti delinquenziali e nemmeno sui barconi in balìa di correnti e di furfanti approfittatori, ma solo per il freddo. O anche per il freddo.
     E’ morto ieri mattina sul presto dopo aver trascorso una notte gelida   a San Ferdinando dentro una vecchia automobile, dove si era rifugiato perchè non aveva trovato posto  nella tendopoli allestita per ospitare gli immigrati che lavorano come stagionali per
la raccolta degli agrumi.  Si chiamava Man Addia, un  trentunenne liberiano, giunto , come tanti, dalle nostre parti carico di speranze, di fame e di voglia di riscatto.
      L’arido comincato ANSA  ha informato quasi subito che la  la Procura della Repubblica  ha disposto l’autopsia per accertare le cause della morte di Man  e per accertare  se ci siano state responsabilità da parte del servizio sanitario,   ma non ci interessa sapere cosa e quando  si accerterà: sicuramente i media dimenticheranno persino di informarci in merito.
   Che  il giovane liberiano sia morto di freddo o a causa di altre patologie pregresse, che l'intervento sanitario sia stato o meno tempestivo sono fatti   accessori.
      Il fatto fondamentale è che un uomo sofferente e inerme , ancora una volta, non abbia trovato posto nemmeno sotto una tenda stracolma di disperati come lui e sia rimasto una notte all’addiaccio. E  se si accerterà che era portatore di qualche patologia, ciò non servirà a scagionare le coscienze di nessuno. Anzi sarà un’aggravante!
     Vorremmo che chi di dovere, e non a posteriori, controllasse come e quanto si spende il denaro pubblico  nei vari  luoghi di accoglienza di questi infelici, come e quanto  ci si spende per evitare ogni discriminazione e  ogni esclusione, come e quanto si garantisca a tutti , fra le mille e mille spese immotivate della sanità pubblica, almeno qualche briciola di prevenzione sanitaria di base  o per il trattamento tempestivo  delle situazioni più gravi.
    Fra qualche giorno, ma già da oggi, di Man Addia non si parlerà più: un altro caso da archiviare in fretta, senza funerali, dentro quattro tavole malamente connesse e a basso
costo, in un cimitero qualsiasi , con un nome  e un cognome malamente e frettolosamente tracciati, che probabilmente nessuno andrà a cercare o a leggere... Una vita vissuta ai margini della storia, trenta anni di sofferenza, il cui prezzo sarà ancora una volta inferiore allo zero, nell’indifferenza di noi tutti.
     Domani i giocatori della squadra di calcio del Koa Bosco di Rosarno, composta da immigrati di colore, giocheranno con la fascia nera al braccio in segno di lutto. La decisione è stata presa per ricordare Man Addia, ma l’idea di giocare col lutto al braccio ha anche lo scopo di denunciare ancora una volta a noi  sordi e a noi  ciechi  le condizioni estreme in cui sono costretti a vivere gli immigrati che giungono nella Piana di Gioia Tauro per lavorare come stagionali o ...per morire di  fame e di freddo.