domenica 16 agosto 2015

LA STRUGGENTE SPOON RIVER ASPROMONTANA DI DOMENICO MAZZULLO

di Bruno Demasi

    Ci trovi , raccontate e nutrite col pennello, fissate per l’eternità, le storie minime o importanti, quasi sempre dolorose, di centinaia di persone vissute in gran parte a Oppido Mamertina o nei paesi della Piana . Sono i ritratti, spesso commissionati da privati, ma a volte tracciati di getto sulla tela, eseguiti da Domenico Mazzullo ( 1897 – 1981), il grande uomo di ingegno di Oppido, che sarebbe riduttivo definire solo pittore o solo scultore o solo poeta vista la versatilità potente della sua ricerca continua e della sua straordinaria espressività artistica.
    Il suo non era infatti solo studio  formale di tecniche espressive plastiche o pittoriche, che peraltro possedeva in pieno fin dall’infanzia e che probabilmente aveva appreso spontaneamente nel momento stesso in cui aveva imparato il miracolo del parlare o del camminare. Era esplorazione profonda della natura e dell’umano. 


  Nel suo splendido isolamento dopo gli studi  romani e le esperienze extra moenia, lontano dai clamori che spesso elevano alle cronache dell’arte tanti imbrattatele e tanti dilettanti del verso zoppicante, il Mazzullo si dedicava  con la forza di un gigante e  lo stupore di un bambino a un esercizio sempre austero  di pittura, scultura, disegno, poesia, astronomia, meteorologia, esoterismo : non un atteggiamento, ma il prodotto di un acume straordinario che lasciava sgomenti per il modo in cui egli entrava di continuo nel prodigio della natura e della bellezza per farle proprie e piegarle alla sua rappresentazione plastica o figurativa o verbale o , non ultima, poetica.
    Si tratta qui di un’ottantina tra tele e disegni , scelti e reperiti tra le varie centinaia esistenti in giro, che resteranno esposti nel Museo Diocesano di Oppido fino alla metà del prossimo ottobre . Un’antologia eloquente della grande forza di ritrattista del Mazzullo, che si direbbe – ed è stato detto - quasi uno spaccato della civiltà e della società aspromontana del secolo scorso se non fosse qualcosa di più e di più grande. 
   A parte i ritratti d’occasione affidati da una  committenza molto eterogenea ( come quelli di vari vescovi o di persone che vollero delegare al pennello del Mazzullo la propria immortalità) vi è infatti una lettura preziosa di tantissime storie di vita ormai dimenticate, ma riportate prepotentemente alla memoria dalle espressioni dei visi, dal gioco delle rughe, delle luci, persino dal movimento  di capelli e di ciglia fissati dall’obiettivo non freddo e imparziale , ma empatico e vivo dell’artista.
    Ci scopri l’uomo politico, i prelati della chiesa locale, i personaggi di primo piano, la bellezza  di un'attrice o di una Miss Calabria di qualche decennio fa, gli affetti familiari inseguiti nelle loro espressioni quotidiane e ricolme d’affetto e di sorpresa, ma ci trovi soprattutto i visi di tantissime persone defunte, ritratti sull’onda del ricordo della loro fisionomia ricostruita meticolosamente dallo stesso artista, talvolta rubati a un abbozzo di foto ingiallita e consunta, spesso tracciati col carboncino post mortem, quasi a spremere dalle espressioni rilassate dopo la sofferenza del trapasso l’ultimo guizzo di un’esistenza unica e irripetibile. Una bibbia dei poveri che tutti, nessuno escluso, riuscivano a leggere e ad apprezzare rapiti di tanto ingegno e di tanta bellezza, di cui " Il professore", come lo chiamavano, faceva dono al mondo.
    E ogni viso, ogni ritratto è il riassunto di una storia faticosa e dura: dal sacerdote, al magistrato, al medico, al falegname, al contadino, al mercante. 
  Rivedi soprattutto nei volti del bambini morti prematuramente non solo la scena della precaria situazione sociale di questi paesi nella prima metà del Novecento in cui la mortalità infantile era vista come qualcosa di ineluttabile e normale, ma la storia di un universo di affetti viscerali e fortissimi che si concludeva nel momento in cui , prima della sepoltura, spesso anonima e frettolosa, la madre, in un supremo atto d'amore,  chiamava il pittore affinchè fermasse sulla carta e poi sulla tela quelle piccole sembianze sulle quali lei più di tutti aveva investito un patrimonio di sogni, affetti e speranze.
    Ciascuno comunque, piccolo o adulto o vecchio che fosse, racconta ancora oggi dalla tela la propria  vicenda e le convenzioni della propria famiglia e del proprio destino fissate in pochi tratti , in pochi dettagli eloquenti  sui quali si ferma l'occhio attento e vivisezionatore dell'artista.  E a ciascuno di questi volti Mazzullo regala qualcosa: un dettaglio di luce, la piega di un ciglio o di un labbro: tutto ciò che serve ad esprimere l’unicità di quella persona, forse il significato stesso di quell'esistenza.
    Proprio per questo è sbrigativo definire verista il realismo espressivo di  Domenico Mazzullo, di questi quadri singolari che sono come le schegge doloranti di un’umanità silenziosa. Il verista fotografa o si sforza di fotografare dall’alto. Mazzullo , malgrado la rigida educazione figurativista ricevuta a bottega, non  rinuncia mai al proprio animus dirompente e quando rappresenta e crea non si limita alla superficie, ma entra, seziona, partecipa, accarezza!
    Lo fa portando a compimento pieno   la tecnica dei ritratti solo accennata da  Tranquillo Cremona, di lui più vecchio di sessanta anni,  di cui esaltava spesso e con entusiasmo la dote di immediatezza di ritrattist, e  conducendo ad assoluta perfezione  quella poetica istintiva che si esprimeva nella capacità eccezionale di fissare nell’espressione di un viso, in uno sguardo rubato alla tela e ai colori la storia intera di una vita  umana. 
    Un lavoro, questo, che diventava sofferenza quando i committenti dei ritratti spingevano per avere una piatta e pomposa rappresentazione, precludendo all'artista  la possibilità di esprimersi come avrebbe voluto. Non a caso le prove migliori e più spontanee in questo senso sono nei ritratti della povera gente, quelli magari compensati con le uova e con i prodotti della terra, quelli ai quali lo spirito dell’artista e dell’uomo si sentiva indissolubilmente e più fraternamente legato.