giovedì 20 agosto 2015

LA BONIFICA DELLE TERRE DI ROSARNO E SAN FERDINANDO E IL MARCHESE VITO NUNZIANTE

di Maria Lombardo
    Il titolo di questo post sembra quasi ironico, perché di bonifiche da tanti mali, da tante paludi probabilmente avrebbero bisogno  ancora oggi non solo i territori di questi due paesi della Piana, bensì l’intera Calabria, ma una gigantesca opera di bonifica dei malsani acquitrini che invadevano le propaggini della Piana stessa per vastissimi tratti intorno alla foce del Metramo/Mesima è stata realmente effettuata nell'Ottocento  per impulso e impegno diretto del marchese Vito Nunziante, la cui dinastia ha annoverato fino a un mese fa l’ultima delle figure carismatiche della sua famiglia, Luigi Coda Nunziante, deceduto a Firenze il mese scorso. Certo la progenie continua, ma Luigi rimane idealmente il trattino di continuità con Vito, artefice della grande bonifica e di un’epoca grandiosa di sviluppo non solo per la famiglia dei Nunziante, ma per tutta la Calabria, che a loro deve un raro esempio di sollecitudine da parte dei latifondisti verso i lavoratori delle loro terre e verso lo sviluppo dell’intera Piana di Gioia Tauro. (Bruno Demasi)
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    Rosarno, oggi uno dei centri più popolosi della Piana di Gioia Tauro, non è sempre stata terra vivibile e salutare, anzi fino a poco più di due secoli fa vedeva la popolazione fuggire nel tentativo di sottrarsi alla malaria. Addirittura decimata da questa “frevi i friddu” la popolazione sino all'800 scese drasticamente. Tuttavia il centro vide la situazione precipitare all'indomani del sisma del 1783. Tutta la pianura che circonda la cittadina era, infatti, una distesa di malsani acquitrini. Infatti, nelle statistiche pubblicate nel 1786 dal Protomedico del Regno, Vivenzio riporta che ben 20.000 persone morirono, nell'arco di poco tempo, per malaria in tutta la provincia :”le donne erano isterilite e la propagazione della vita umana era rara e corta”(1). La popolazione di questa area di Calabria Ultra diminuiva drasticamente di anno in anno decimata da questi calanchi acquitrinosi che sorsero a seguito del Tremuoto – continuava il Vivenzio - . Vennero usati per arginare il problema la corteccia peruviana di cui si fece:” spaccio di molte libre.
    Vani i tentativi del Comune di Rosarno di salvare la situazione e nemmeno la decisione di concedere terre a piccoli privati sanò l'area, anzi ben presto , consumati i mezzadri dalle febbri malariche, i fondi vennero abbandonati. E vani furono anche i provvedimenti dello Stato di inviare chinino e l’invito a seguire cure empiriche tipo quelle dei semi di lino, purghe e succhi di limone a stomaco vuoto.
    L'archivio Nunziante a Napoli mi dà un quadro completo della saggezza del generale Borbonico, ma soprattutto di tutte le opere che il Marchese intraprese nella zona. Importante il documento 11 del faldone che cita:” il Nunziante si prese l'impegno nel 1835 di inalveare il torrente Mammella nell'agro Nicoterese”. A Napoli intanto le menti più illuminate che premevano per un cambiamento della Calabria decisero che la bonifica del Rosarnese avesse la priorità indiscussa su tutto,ma, come si legge nel documento, “… pur riconoscendola necessaria ed urgente, dichiarò che per le grandi difficoltà finanziarie in cui si trovava, non poteva assumersi direttamente l'onere dell'impresa”. 

    Conoscendo le tristi condizioni di questo lembo di terra attanagliata da problemi legati all’ abbondanza delle acque, si fece sempre più pressante la richiesta del Nunziante, già noto imprenditore quanto sagace nella vita da stratega.
    Secondo gli studi di Afan De Rivera, nel Regno di Napoli tremila miglia di terre andavano bonificate con urgenza e la maggior parte erano nelle Calabrie, circa 4. 448 ettari erano solo nel Reggino. Il risultato di secoli di incuria!
    Tutto infatti aveva avuto inizio nel 1817 quando il Generale Borbonico era stato insignito dal Re, come commissario civile per la Calabria e la Basilicata, aveva ispezionato la zona e presentato un rapporto a Napoli proponendone la bonifica. In mancanza di risorse pubbliche e di un’offerta privata in cambio di un compenso in terreni, si assunse direttamente l’incarico lui stesso. Vito infatti, occupandosi di ogni cosa , ottenne il permesso di vagliare il buon esito dell'impresa con ogni mezzo. Ottenuto il consenso regio, con atto del Notaio Paolo Dattola da Reggio Calabria e vidimato dal perito Paolo Elia, redatto l'11 settembre 1818, egli si impegnava a bonificare una vasta zona litoranea dell'agro di Rosarno situata alla sinistra del fiume Mesima(2). Si trattava di lavori imponenti per quell'epoca ed il marchese Nunziante doveva eseguirli a proprie spese e nel termine di cinque anni; se ciò non fosse avvenuto, il contratto sarebbe stato considerato nullo e le terre sarebbero ritornate al comune insieme ad un risarcimento per le rendite perdute. Il capitolato d'appalto prevedeva: l'arginatura del Mesima per la lunghezza di un chilometro e trecento metri per impedire che le acque allagassero la pianura circostante; il prosciugamento di laghi e paludi mediante l'apertura di canali e riempimenti di terra trasportata da due collinette vicine(3).
    Fiutati i grandi vantaggi che ne avrebbe ottenuto, il Marchese, impugnando la carta demaniale, inizia la sua opera di bonifica, pur sapendo che avrebbe potuto fallire e perdere tutto. Se inve3ce fosse riuscito a ultimare la bonifica, egli come compenso avrebbe ottenuto tre quarti delle terre demaniali prosciugate, mentre un quarto sarebbe rimasto al comune. 

    Difficoltà su difficoltà sembravano rallentare il lavoro del Marchese, ma mai si fermò. I lavori furono ultimati nell’estate del 1822, in anticipo sul termine contrattuale e riguardarono complessivamente 1607 tomolate di terra, pari a oltre 470 ettari. Al Comune andarono le terre più pregiate, vicine all’abitato e più facilmente coltivabili, e a Nunziante il resto, oltre 1300 tomolate che si estendevano nella piana verso il mare fino al confine del Comune di Gioia.
    Serviva però reperire una specializzata manodopera per completare l'impresa che però non fu locale (pochi i rosarnesi). Per ovviare a questa situazione ovviò lanciando bandi pubblici per la prestazione di opera specializzata a condizioni vantaggiosissime(4). Ciò gli permise di reclutare un discreto numero di "vanghieri" nel cosentino, provenienti soprattutto dai comuni di Mangone, Malito ed Orsomarso che furono alloggiati in baracche ed in un'antica torre aragonese che sorgeva nelle vicinanze del fiume Mesima.
    A costoro si unirono i primi coloni provenienti dai Casali di Tropea e dai villaggi del monte Poro, nel momento in cui si crearono le premesse per un ulteriore sviluppo sociale ed economico del territorio; così le terre furono rese adatte alla coltura(5).
    Bisognava, a questo punto, costruire comode abitazioni ed il Nunziante per far ciò scelse una zona salubre sulla riva del mare: venne finanziato un piano per le piccole case e una chiesa. Il neonato San Ferdinando, zona residenziale del Marchese, era sorto anch’esso secondo un preciso disegno di Vito: una via principale delimitata ai due estremi dal palazzo padronale e dalla chiesa, e ai suoi lati le fila di casette destinate agli abitanti, cui si erano aggiunte presto delle più misere ‘pagliare’.
    Come già, in parte, era stato fatto a Vulcano, un sacerdote, un medico e un piccolo numero di artigiani completarono inizialmente i servizi offerti agli abitanti del villaggio. Per l’allestimento delle costruzioni comuni di servizio occorreva manodopera specializzata che, sul posto, era impossibile reclutare per cui egli chiese ed ottenne dal governo borbonico di potersi servire dell'opera dei cosidetti "servi di pena", condannati per delitti comuni o politici, che avessero dimostrato buona condotta e ai quali restassero da espiare meno di quattro anni. Egli si impegnava a corrispondere loro un salario, un alloggio e garantiva al governo di pagare una penale per ogni evaso. 

    Presto interi nuclei familiari si trovarono in queste terre allettati dalle migliori condizioni di vita. Nel corso del 1822 e con notevole anticipo rispetto ai tempi previsti dal contratto di appalto, le opere di bonifica idraulica furono completate ed il 4 luglio dello stesso anno potè eseguirsi la suddivisione delle terre bonificate. Dalle parole del Gasparrini apprendo che il Marchese non solo bonificò la terra dagli acquitrini malsani ma si diede a impiantare nuove colture(6).
    Avvalendosi della consulenza del botanico Guglielmo Gasparrini, introdusse nuove colture come quelle del "sammaco" da cui si ricava il tannino, della "robbia" le cui radici sono utilizzate per le loro qualità coloranti ed erano un tempo assai ricercate. Subito dopo iniziarono i lavori per dissodare e mettere a coltura la nuova proprietà, di cui si sarebbe occupato fino al 1834 lo stesso Gasparrini, un già direttore dell’orto botanico di Palermo e poi professore all’Università di Napoli. E grazie a questa consulenza San Ferdinando crebbe in ogni senso: su vasta scala vennero coltivati i gelsi, con il conseguente allevamento dei bachi da seta ed impiantati vigneti, uliveti ed agrumeti. Una pianta, inoltre, che ebbe notevole successo fu la robinia, dal legno durissimo, molto usato in ebanisteria.
    Il generale aveva molta familiarità con gli agricoltori locali, che erano esperti nella coltivazione della canapa, dei cereali e del lino e nell'allevamento dei bachi da seta e propose lo sviluppo agricolo del paese al fine di impiegare le buone pratiche nel settore agricolo.
    In virtù di queste caratteristiche innovative di cui il Nunziante si fece portavoce la popolazione che nel 1823 contava appena 105 abitanti, nel 1831, quando con decreto reale il villaggio prese il nome ufficiale di "San Ferdinando", ne contava circa 1.000”(7). Mentre la città cresceva in dimensioni e cittadini prosperavano, la città che era localmente nota come "Casette", per via delle tipiche abitazioni piccole e basse, venne ribattezzata San Ferdinando in onore del Re, che ne aveva sponsorizzato lo sviluppo del territorio.
    Con decreto reale nº 597 del 28 ottobre 1831 la borgata di San Ferdinando venne eretta a villaggio del Comune di Rosarno. Tutto però dopo la bonifica apparteneva al Marchese persino le case date agli abitanti quasi in un rapporto di “padre-padrone” nel senso buono del termine(8). E se da un lato la nascita del nuovo paese rappresentò il culmine delle sue attività innovative sul piano economico e sociale, dall’altro gli conferì nei confronti del territorio e della comunità nascente un potere che, più di una volta e seppure impropriamente, sarebbe stato definito feudale. 

    L'attività del Nunziante fu comunque sempre in ascesa in queste zone: non a caso Vito scelse per l'edificazione del villaggio delle”casette”( ancora oggi definito così) i materiali più innovativi per il periodo e per i tempi. Per la costruzione delle abitazioni fece arrivare grossi quantitativi di pietra lavica e di tufo da Lipari, Stromboli e Vulcano avvalendosi di padroni di barche eoliani e molti marinai delle isole decisero di rimanere a San Ferdinando vivendo di agricoltura e di pesca (9). Non a caso il legame con la Calabria e la famiglia del generale divenne proprio San Ferdinando.
    Vito era quasi sempre presente sul campo, partecipava personalmente alla progettazione e alla realizzazione dei lavori, vi coinvolgeva esperti di fama, come Gasparrini o il geologo Leopoldo Pilla, spinto anche da una evidente curiosità culturale. La sua mirabile attività fu interrotta dalla morte il 22 settembre 1836, ma la sua opera a San Ferdinando fu continuata dai figli Ferdinando, Alessandro, Salvatore, Francesco, Antonio, Leopoldo e dal nipote Vito (1836-1905) al quale va il merito di aver portato a compimento la bonifica agraria e di aver notevolmente ingrandito San Ferdinando(10).
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(1). Medici G., Principi P. (1939). Le Bonifiche di San Eufemia e di Rosarno. Ed. Nuova Zanichelli, Bologna. (2). Nunziante F. La Bonifica di Rosarno ed il Villaggio di San Ferdinando. Ed. Vallecchi, Firenze (3). Verzà Borgese U. (1985). La Bonifica del Marchese Vito Nunziante a Rosarno e San Ferdinando. Ed. Centro Studi Medmei, Rosarno (Reggio Calabria) (4). B. Polimeni, San Ferdinando e i Nunziante.: cronistoria, Soveria Mannelli 1988; G. Civile (5). Ivi …....opera citata pag 45;Lacquaniti G. (1980). Storia di Rosarno da Medma ai Giorni Nostri. Ed. Barbaro, Oppido Mamertina (Reggio Calabria) (6). G. Gasparrini, Discorso intorno l’origine del villaggio di San Ferdinando e sopra le principali cose che quivi si coltivano s.d. s.l (7). Palermo F. (Firenze 1839). Vita e fatti di Vito Nunziante. Dai Tipi della Galileiana (8). G.Civile G.Montroni .L'azienda agraria di Nunziante di San Ferdinando nella seconda metà del XIX secolo in Società e storia, II (1979),pp 141-156 (9). B. Polimeni, Rapporti sociali ed economici tra Sanferdinandesi ed Eoliani, in “Messina e Calabria “, atti del I convegno calabro-siculo del novembre 1988, pp. 627 e ss.G. Civile - G. Montroni, L’archivio privato del N. di San Ferdinando e la storia dell’economia del Mezzogiorno in età contemporanea, 604; 10)G. Montroni, Gli uomini del re. La nobiltà napoletana nell’800, Catanzaro 1996, capp. I-III, pp. 3-93. R. Liberatore, Elogio funebre del marchese V. N., Napoli 1836