di Bruno Demasi
Quella che dovrebbe essere la città simbolo della Piana a cui dà anche il nome, la città sintesi nel bene e nel male della storia di questo grande lembo di Calabria, sta affogando sotto una coltre impenetrabile di veleni di ogni genere ed a nulla valgono le grida di allarme lanciate dalle associazioni spontanee di malati o di parenti di malati, di cittadini che hanno a cuore la vivibilità di questo territorio benedetto da Dio e maledetto ogni giorno dagli uomini.
Il servizio giornalistico sfuggito ai più, che è doveroso qui riprendere, ne dà ampia e terrificante ragione:
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" INCENERITORE,
RIFIUTI TOSSICI, MAFIA, COCAINA E IL SILENZIO DEI POLITICI.

ED È QUI
L’ERRORE tragico del governo e dei suoi incauti ministri. La gestione della
“Ark Futura” e dei 60 container con le armi chimiche di Assad è finora un
disastro. Un festival dell’arroganza. Parla il milanese Mauro Lupi e “bacchetta”
i sindaci. “In due anni a Gioia Tauro sono stati trattati prodotti analoghi, e
ora fate tanto clamore”...
Nessuno ha mai avuto notizie. Che il porto di Gioia Tauro fosse un approdo dei
misteri si sapeva da anni. Qui passano armi, rifiuti speciali, droga. L’ultimo
grande sequestro a giugno: 625,48 chili di cocaina.
Che il porto
sia anche il crocevia di affari oscuri, lo dimostra la presenza della
‘ndrangheta. Piromalli, Molé, Alvaro, casati con gli artigli ben piantati sulle
banchine. Un dollaro e mezzo a container sbarcato fino agli anni ‘90,
raccontano le inchieste della magistratura. Tanto pagavano le grandi compagnie
ai boss. La chiamavano la “tassa calabrese”. Una montagna di soldi, se si
calcola che i “contenitori” che sbarcavano ogni giorno erano 7.500. “Noi
non sappiamo sempre cosa c’è nei container”, confessa un operaio. “Ci sono le
bollette, i controlli doganali, ma qui passa di tutto”.
Di certo
nessuno al porto aveva i dati ...“La verità è che ci pisciano in testa, come sempre”. Mimmo Macrì,
segretario dei portuali del sindacato Sul, non usa mezzi termini. “Certo che
movimentiamo anche materiale come prodotti chimici ed esplosivi, ma non
pericolosi come la roba dalla Siria”. Perché Gioia? Perché non un porto
militare? Il porto militare più vicino è quello di Augusta, ma sta in Sicilia,
sottolineano i maligni, ricordando che la Trinacria è la terra di Alfano.
Abbiamo scelto Gioia, ripetono all’unisono i ministri, perché è un “porto di
eccellenza”. “Minchiate – dice Macrì. La nostra professionalità è fuori
discussione, ma allora spiegateci perché su 1.300 lavoratori portuali, 430 sono
in cassa integrazione. La movimentazione è aumentata del 13% e quest’anno
siamo arrivati a 2 milioni e 200 mila container. Insomma se questa eccellenza,
come la chiamano, funzionasse a pieno regime, potrebbe dare lavoro a 6-7 mila
persone”.
ILLUSIONI. I
sindacati aspettano. Anche loro, come i sindaci, non sono ancora riusciti ad
avere una parola di chiarezza. Spacca i lavoratori l’arsenale di Assad. “Non possiamo sempre
urlare dei no – dice Nino Costantino, Cgil. L’abbiamo fatto contro la centrale
a carbone, ma qui parliamo di pace. Ora però il governo dica parole nette sulla
sicurezza”.
Sulle
banchine del porto di Gioia Tauro, la politica gioca un’altra delle sue confuse
partite ...
Povera Gioia
Tauro e poveri calabresi. Porto e aree industriali dovevano essere il futuro.
La catena del freddo, le piattaforme logistiche. Quante balle. La verità è la
solita. Sprechi di soldi pubblici e incapacità di avviare progetti. I 480
milioni dell’accordo di programma sono fermi, un bando di 25 milioni di euro
emanato dalla Regione per le attività dei piccoli imprenditori è andato
deserto. I treni non circolano più, nonostante i 260 milioni stanziati per le
Ferrovie. A Gioia Tauro cresce solo la puzza degli inceneritori e la paura." (E. Fierro, "Il Fatto Q.,18.1.'14)