domenica 4 maggio 2025

“LUCI D’ARTE E SAPIENZA NELLA CALABRIA BIZANTINA E NORMANNA” ( di Maria Rosa Surace)

      Un titolo niente affatto casuale per un libro tutt’altro che ripetitivo, pubblicato in queste settimane da Maria Rosa Surace per i tipi di Città del sole Editore con l’ intento , come chiarisce l’Autrice, di “offrire un’alternativa agli studi specialistici sull’argomento in questione che non sempre sono di facile accesso ai più.” La grande modestia del proposito è però direttamente proporzionale al rigore della ricerca, che esula da ogni approssimazione pur raggiungendo in pieno l’obiettivo proposto : una mediazione forte tra le conquiste storiografiche in questa materia e la necessità di condividerle a strati sempre più ampi di lettori desiderosi di conoscere questi segmenti importantissimi del passato della Calabria. La chiave di tutto è  di sicuro l’esposizione estremamente chiara e scorrevole, quasi pedagogica, in ossequio ai numerosissimi anni d’insegnamento dell’Autrice, che , dopo una parte introduttiva ampia, ma essenziale sulla Calabria bizantina e normanna, va ad esaminare in maniera avvincente le migliori testimonianze  sul periodo che ancora offre con dovizia la nostra terra: dalla Cattolica di Stilo , agli imponenti manufatti custoditi a Santa Severina; dalla chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone ai resti eloquentissimi presenti nel monastero e nella chiesa di San Giovanni Theristis a Bivongi fino al Patirion di Corigliano – Rossano. Sarebbero cinque tappe irrinunciabili di cui far dono specialmente ai nostri giovani studenti sempre più digiuni, loro malgrado, della nostra storia e dell’imponenza della nostra civiltà, che dalla illuminata e illuminante dominazione bizantina, malgrado l’esosità tributaria  della stessa, trasse indiscutibili tesori non solo religiosi, ma anche giuridici, amministrativi ed artistici, anche quando l’impositiva dominazione normanna prese il sopravvento cercando di spegnere insieme al rito greco anche l’eredità culturale orientale nel suo insieme. Ne parla in questa bella  pagina, con dovizia di riferimenti, la stessa Autrice, cui va sicuramente un corale ringraziamento per questa necessaria e significativa rivisitazione critica di una  fondamentale tappa della nostra incredibile  civiltà. ( Bruno Demasi )
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  Il dominio bizantino in Calabria è durato dal VI al IX secolo. In questo periodo la regione è stata a lungo territorio di contesa per l’importanza strategica della sua posizione; per i Bizantini era essenziale mantenerne il possesso in quanto baluardo sia contro le mire espansionistiche dei Longobardi sia contro gli assalti pirateschi degli Arabi.

    I continui scontri fra Bizantin i e Longobardi e la pressione dei Saraceni,non offrivano certo tranquillità alla popolazione calabrese su cui gravava un peso fiscale molto pesante ai limiti dell’insostenibilità. Giustiniano infatti aveva imposto a tutti i territori dell’Impero le stesse leggi e le stesse imposte senza considerazione per la diversità di ogni regione; sia lui che i suoi successori, per sostenere le notevoli spese militari causate da continue guerre, imposero pesanti tasse a tutti i sudditi. I Calabresi mal sopportavano l’onere di tribuiti versati continuamente per cause che non li riguardavano pertanto riuscivano a stento ad accettare il governo bizantino, la sua amministrazione e la sua politica.

  
  Tuttavia negli anni in cui la Calabria fu sottoposta a Bisanzio per quanto riguarda la cultura e l’arte le cose andarono ben diversamente. A proposito i Bizantini lasciarono tracce ancora oggi visibili ed apprezzabili – come illustrato in questo volume – nell’architettura, nell’arte musiva, nella pittura; promossero attività culturali di alto livello tramite soprattutto il paziente e competente lavoro dei monaci provenienti dall’Oriente i quali fondarono numerosi monasteri nel territorio calabrese. Già nel IV secolo era giunto in Calabria, proveniente dall’Anatolia, San Basilio che aveva dato vita a molte comunità monastiche che seguivano la sua regola.

    Lauree eremitiche, cenobi, monasteri diventarono nel tempo sempre più numerosi, moltiplicandosi a dismisura dall’VIII secolo in poi quando,in seguito alle persecuzioni iconoclaste scatenate da Leone III Isaurico, molti monaci approdarono in Calabria. Essi, come già detto, giungevano in questa regione perché territorio ricco di luoghi naturali confacenti ad una tranquilla vita eremitica ed anche perché l’eco dell’antica colonizzazione greca non si era ancora spenta.

 
   Sorretti da grande fervore mistico ed amore per il sapere, monaci amanuensi, calligrafi, miniatori conservavano e tramandavanoi inestimabili tesori d’arte e di sapere. Possedevano una vastissima cultura,soprattutto teologica e filosofica, e dedicavano tutta la loro vita allo studio oltre che alla preghiera e alla meditazione. Nella quiete dei loro monasteri copiavano e miniavano codici antichi; senza il loro paziente lavoro noi non avremmo mai potuto conoscere le opere degli autori greci e latini, i testi fondamentali della religione cristiana.

    La Calabria divenne luogo di produzione e diffusione di cultura a tal punto che Barlaam da Seminara, maestro di greco del Petrarca, consigliava a chi voleva apprendere la lingua greca di non andare nella lontana Costantinopoli, ma di recarsi nella più vicina e colta Calabria.

    Quasi sempre nella vita dei monaci il lavoro intellettuale veniva associato a quello manuale; i monasteri infatti erano centri fecondi di attività agricole ed artigiane, in essi si produceva di tutto; erano importanti motori di un’economia attiva e fiorente. In Calabria in particolare i monaci ebbero il merito, tra l’altro, di aver introdotto la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco rendendo prospera una delle più rinomate attività artigiane della tradizione calabrese: la produzione e la lavorazione della seta.

     Certamente i secoli in cui la Calabria fu sotto la dominazione bizantina hanno lasciato segni indelebili nella storia della regione. Fu a quel tempo che questa terra assunse il nome di Calabria, termine con cui fino ad allora veniva indicato il Salento; fu in quegli anni che la regione, attraverso il grande movimento del monachesimo greco, sviluppò arte e cultura di notevole livello.

    Legata al filo delle sue antiche radici magnogreche, la Calabria continuò a guardare a Oriente nei secoli della dominazione bizantina sia nelle sue espressioni linguistiche – a quel tempo la lingua più diffusa era il greco – sia nella religione. La Calabria, infatti, allorquando i contrasti tra la Chiesa di Roma e quella di Bisanzio si fecero dopo l’Iconoclastica più aspri del solito, scelse di stare con la chiesa di Oriente riconoscendo sua autorità suprema non il Papa, ma il Patriarca di Bisanzio.

    E così nella Regione venne adottata una liturgiua diversa da quella romana e si usò il greco come lingua ufficiale mentre il resto della cristianità occidentale usava il latino. La Chiesa di Roma fu costretta a rinunciare ai suoi diritti sul territorio calabro dove tornò ad esercitare la sua influenza solo molti secoli dopo quando, per l’instaurarsi della signoria noprmanna, il dominio bizantino ebbe fine.

    Ma le tracce del passato bizantino non si cancellarono, come la ragione di questo volumetto vuole dimostrare. Lo testimoniano molti elementi: in primis l’inconfondibile stile orientale di alcune chiese che hanno retto alle ingiurie del tempo, l’architettura di alcuni edifici di città calabresi, la sopravvivenza in alcune aree della regione della lingua greca e di culti e riti greco- ortodossi.

      Possiamo dire che in un lontano passato la Calabria si illuminò delle luci d’Oriente e, dopo tanti secoli, qualche raggio di queste luci brilla ancora.

                                                                                                                   Maria Rosa Surace