Un titolo niente affatto casuale per un libro tutt’altro che ripetitivo, pubblicato in queste settimane da Maria Rosa Surace per i tipi di Città del sole Editore con l’ intento , come chiarisce l’Autrice, di “offrire un’alternativa agli studi specialistici sull’argomento in questione che non sempre sono di facile accesso ai più.” La grande modestia del proposito è però direttamente proporzionale al rigore della ricerca, che esula da ogni approssimazione pur raggiungendo in pieno l’obiettivo proposto : una mediazione forte tra le conquiste storiografiche in questa materia e la necessità di condividerle a strati sempre più ampi di lettori desiderosi di conoscere questi segmenti importantissimi del passato della Calabria. La chiave di tutto è di sicuro l’esposizione estremamente chiara e scorrevole, quasi pedagogica, in ossequio ai numerosissimi anni d’insegnamento dell’Autrice, che , dopo una parte introduttiva ampia, ma essenziale sulla Calabria bizantina e normanna, va ad esaminare in maniera avvincente le migliori testimonianze sul periodo che ancora offre con dovizia la nostra terra: dalla Cattolica di Stilo , agli imponenti manufatti custoditi a Santa Severina; dalla chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone ai resti eloquentissimi presenti nel monastero e nella chiesa di San Giovanni Theristis a Bivongi fino al Patirion di Corigliano – Rossano. Sarebbero cinque tappe irrinunciabili di cui far dono specialmente ai nostri giovani studenti sempre più digiuni, loro malgrado, della nostra storia e dell’imponenza della nostra civiltà, che dalla illuminata e illuminante dominazione bizantina, malgrado l’esosità tributaria della stessa, trasse indiscutibili tesori non solo religiosi, ma anche giuridici, amministrativi ed artistici, anche quando l’impositiva dominazione normanna prese il sopravvento cercando di spegnere insieme al rito greco anche l’eredità culturale orientale nel suo insieme. Ne parla in questa bella pagina, con dovizia di riferimenti, la stessa Autrice, cui va sicuramente un corale ringraziamento per questa necessaria e significativa rivisitazione critica di una fondamentale tappa della nostra incredibile civiltà. ( Bruno Demasi )
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I continui scontri fra Bizantin i e Longobardi e la pressione dei Saraceni,non offrivano certo tranquillità alla popolazione calabrese su cui gravava un peso fiscale molto pesante ai limiti dell’insostenibilità. Giustiniano infatti aveva imposto a tutti i territori dell’Impero le stesse leggi e le stesse imposte senza considerazione per la diversità di ogni regione; sia lui che i suoi successori, per sostenere le notevoli spese militari causate da continue guerre, imposero pesanti tasse a tutti i sudditi. I Calabresi mal sopportavano l’onere di tribuiti versati continuamente per cause che non li riguardavano pertanto riuscivano a stento ad accettare il governo bizantino, la sua amministrazione e la sua politica.
La Calabria divenne luogo di produzione e diffusione di cultura a tal punto che Barlaam da Seminara, maestro di greco del Petrarca, consigliava a chi voleva apprendere la lingua greca di non andare nella lontana Costantinopoli, ma di recarsi nella più vicina e colta Calabria.
Quasi sempre nella vita dei monaci il lavoro intellettuale veniva associato a quello manuale; i monasteri infatti erano centri fecondi di attività agricole ed artigiane, in essi si produceva di tutto; erano importanti motori di un’economia attiva e fiorente. In Calabria in particolare i monaci ebbero il merito, tra l’altro, di aver introdotto la coltivazione del gelso e l’allevamento del baco rendendo prospera una delle più rinomate attività artigiane della tradizione calabrese: la produzione e la lavorazione della seta.
Legata al filo delle sue antiche radici magnogreche, la Calabria continuò a guardare a Oriente nei secoli della dominazione bizantina sia nelle sue espressioni linguistiche – a quel tempo la lingua più diffusa era il greco – sia nella religione. La Calabria, infatti, allorquando i contrasti tra la Chiesa di Roma e quella di Bisanzio si fecero dopo l’Iconoclastica più aspri del solito, scelse di stare con la chiesa di Oriente riconoscendo sua autorità suprema non il Papa, ma il Patriarca di Bisanzio.
Ma le tracce del passato bizantino non si cancellarono, come la ragione di questo volumetto vuole dimostrare. Lo testimoniano molti elementi: in primis l’inconfondibile stile orientale di alcune chiese che hanno retto alle ingiurie del tempo, l’architettura di alcuni edifici di città calabresi, la sopravvivenza in alcune aree della regione della lingua greca e di culti e riti greco- ortodossi.
Possiamo dire che in un lontano passato la Calabria si illuminò delle luci d’Oriente e, dopo tanti secoli, qualche raggio di queste luci brilla ancora.
Maria Rosa Surace