Taurianova deve molto ai suoi Padri Cappuccini. Certamente non soltanto la vita di un convento, e della chiesa annessa, impregnati della fede e del commovente attaccamento di tutta la gente , ma anche un' imponente e struggente opera artistica poco conosciuta che all’ epoca della sua realizzazione suscitò il mecenatismo di tanti: l’affresco dell’intera parete di fondo dell’abside ad opera di Nick Spatari, uno dei più significativi artisti calabresi e internazionali del Novecento e dei primi due decenni di questo secolo, formatosi, tra l’altro, nella Parigi dei Cocteau, dei Picasso, di Max Ernst.
« A Parigi Il primo che incontrai fu Cocteau, andava in giro con un lunghissimo mantello grigio. Alla mia prima mostra rubò un quadro, una testa di Cristo tutta rossa, se lo mise sotto la palandrana e lasciò al suo posto un biglietto “Ho dovuto prenderlo, era troppo bello”». Era destino che il pennello di questo artista giocasse coi volti pieni di pathos della fede popolare o anche della fede colta… Ed è forse l’unica volta in cui Nick Spatari ( 1929 - 2020 ) elogia indirettamente la propria arte, che è pittorica e scultorea, che è soprattutto simbiosi con la luce e le atmosfere plastiche della sua terra di Calabria, dove nella piena maturità fa ritorno insieme alla moglie, l’olandese Hiske Maas, tuttora vivente, per realizzarvi un sogno “ Il sogno di Giacobbe” sul cocuzzolo di una collina brulla di Mammola, intorno alla quale, grazie a loro due, esplode un’ incredibile creazione artistica, il “Musaba” che il mondo intero ci invidia mandando e rimandando migliaia di persone a pardersi nelle suggestioni di un luogo irreale eppure profondamente “nostro”, profondamente radicato nel vecchio conventino abbandonato sui cui ruderi sorge.
Quando nel 1984 i Cappuccini di Taurianova chiamarono Nick Spatari a realizzare questo affresco, quasi un ponte ideale con un’altra casa cappuccina calabra, quella di Chiaravalle, dove egli stesso aveva realizzato pochi anni prima un imponente ciclo pittorico mutuato dalla Bibbia, egli aveva già al proprio attivo un’imponente e profonda esperienza artistica anche in quella che sarebbe riduttivo definire solo “decorazione” dei luoghi di culto: basti pensare al poderoso ciclo pittorico realizzato appunto nell’ antico convento di Chiaravalle, agli affreschi, ai mosaici o alle vetrate nel monastero di San Domenico a Reggio Calabria, ai numerosissimi dipinti realizzati nel santuario di San Nicodemo a Mammola, fino ai due grandi capolavori recanti significativamente i titoli di “Ultima cena” e “Golgota”, oggi mete di migliaia di visitatori nella Galleria di Arte Contemporanea di Assisi.
« A Parigi Il primo che incontrai fu Cocteau, andava in giro con un lunghissimo mantello grigio. Alla mia prima mostra rubò un quadro, una testa di Cristo tutta rossa, se lo mise sotto la palandrana e lasciò al suo posto un biglietto “Ho dovuto prenderlo, era troppo bello”». Era destino che il pennello di questo artista giocasse coi volti pieni di pathos della fede popolare o anche della fede colta… Ed è forse l’unica volta in cui Nick Spatari ( 1929 - 2020 ) elogia indirettamente la propria arte, che è pittorica e scultorea, che è soprattutto simbiosi con la luce e le atmosfere plastiche della sua terra di Calabria, dove nella piena maturità fa ritorno insieme alla moglie, l’olandese Hiske Maas, tuttora vivente, per realizzarvi un sogno “ Il sogno di Giacobbe” sul cocuzzolo di una collina brulla di Mammola, intorno alla quale, grazie a loro due, esplode un’ incredibile creazione artistica, il “Musaba” che il mondo intero ci invidia mandando e rimandando migliaia di persone a pardersi nelle suggestioni di un luogo irreale eppure profondamente “nostro”, profondamente radicato nel vecchio conventino abbandonato sui cui ruderi sorge.
Quando nel 1984 i Cappuccini di Taurianova chiamarono Nick Spatari a realizzare questo affresco, quasi un ponte ideale con un’altra casa cappuccina calabra, quella di Chiaravalle, dove egli stesso aveva realizzato pochi anni prima un imponente ciclo pittorico mutuato dalla Bibbia, egli aveva già al proprio attivo un’imponente e profonda esperienza artistica anche in quella che sarebbe riduttivo definire solo “decorazione” dei luoghi di culto: basti pensare al poderoso ciclo pittorico realizzato appunto nell’ antico convento di Chiaravalle, agli affreschi, ai mosaici o alle vetrate nel monastero di San Domenico a Reggio Calabria, ai numerosissimi dipinti realizzati nel santuario di San Nicodemo a Mammola, fino ai due grandi capolavori recanti significativamente i titoli di “Ultima cena” e “Golgota”, oggi mete di migliaia di visitatori nella Galleria di Arte Contemporanea di Assisi.
Opere tutte riconducibili a una smagliante bibbia dei poveri, esaltata dall’impeto pittorico di un artista che già a nove anni di età aveva vinto forse il più prestigioso premio pittorico internazionale dell’epoca e che negli anni Cinquanta e Sessanta , continuando nella sua formazione di autodidatta, si imponeva solidamente sulla scena artistica internazionale, prima di tornare a vivere nella sua amata Calabria, in quella Mammola che lo aveva visto nascere e gli aveva regalato l’amore per i sospiri di una terra stupenda e sempre fiorita nelle sue lunghissime estati annuali.
L’affresco di Taurianova , che in questo 2024 compie il suo quarantesimo anno di età, mantiene intatte le suggestioni intense della visione biblica che l’Autore ha voluto imprimergli con il suo pennello come fotografia realistica della visione descritta in Apocalisse 12: la donna e il drago. Una delle scene più maestose di questo libro conclusivo della Bibbia. La donna incinta che ha appena partorito un figlio ancora quasi avvolto nella placenta, mentre un drago rosso sangue infuria contro di lei e il suo bambino, è Maria, la madre di Cristo, secondo una tradizione artistica che in vario modo ha confermato questa interpretazione. Ma la donna può personificare anche il popolo di Dio, la Chiesa, all’interno della quale è generato il Messia. Il drago incarna invece Satana e il male, con particolare rimando forse a quelle “strutture di peccato” di cui spesso era ed è ancora impregnata la sofferente terra di Calabria.
Le atmosfere rarefatte di cielo, acque e terre mirabilmente colte dall ‘ Artista fanno il resto, completano la scena composita di quest’affresco incredibile che nelle sue volumetrie , anche prospettiche, vorrebbe quasi riunire in un solo flash sintetico tutta la complessità della visione dell’interà Apocalisse e del suo messaggio lanciato ai semplici, agli umili, ai puri di cuore e forse anche al visitatore distratto e smaliziato che, entrando in questa chiesetta quasi di campagna, resta senza fiato dinanzi a tanta bellezza inattesa.
Bruno Demasi