lunedì 29 gennaio 2024

O’ TEMPU DI’ CANONICI ‘I LIGNU (3^ parte): politici e politicanti nel lungo dopoguerra mamertino ( di Rocco Liberti)

 

     Scoppiettante carrellata di personaggi e di situazioni locali sullo sfondo di una vita politica nazionale che si sforzava decisamente di essere o sembrare seria, ma  che in un paese come Oppido Mamertina , quando non violenta e interessata, diventava goliardica. E’ la politica degli anni Cinquanta/Ottanta del secolo scorso, quella della ricostruzione , ma anche quella del vassallaggio verso i notabili di turno. La politica becera dei camaleonti che da ex fascisti si riciclano come ex partigiani o come ferventi sostenitori della Chiesa pur di mantenere ad oltranza il loro status sociale e di continuare ad avere voce in capitolo. Un altro dipinto magistrale di Rocco Liberti che ha vissuto personalmente quasi tutto quanto racconta e ce lo ripropone con la freschezza di fatti accaduti poche ore fa eliminando dal racconto ogni stucchevole pesantezza che inevitabilmente rischiano di assumere le cronache locali vecchie di più di cinquanta o 60 anni… Un’altra pagina inedita che sicuramente delizierà molti. (Bruno Demasi)

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     A proposito di passatempi, nei nostri paesi servivano al caso anche i comizi elettorali veri e propri. Nella fase iniziale era davvero tutta una corsa ad accaparrarsi i migliori oratori e ad ascoltarli accorrevamo in massa grandi e piccoli. Non si era abituati a tal genere di diversivo. Anzi non si conosceva proprio dato ch’era stato proibito da molte lune, per cui la piazza si offriva sempre affollata. Quanti episodi nel diversificarsi degli interventi dei concionatori di turno! Me ne vengono in mente alcuni. Al suo arrivo in Oppido il senatore del partito monarchico Lucifero è stato entusiasticamente accolto da numerosa gente, che lo ha accompagnato per un buon tratto del corso fino al portone dell’avv. Pastore. Portatosi sul balcone ha iniziato a inneggiare alla famiglia reale. La folla era attenta e in parte le persone di una certa età avevano gli occhi lucidi. A un bel momento prorompe un grido dettato sicuramente dal cuore: Viva lu principinu! Chi era? ‘u Cundellu. Questi aveva lanciato la sua proposizione di botto spintovi certamente dalla foga oratoria di colui che aveva di fronte e che lo aveva portato a commuoversi. Allora l’uomo politico, rivolgendosi direttamente a quel sempliciotto, ne ha approfittato per rincarare la dose. Altra volta, sempre nella stessa piazza (solo i comunisti non vi svolgevano comizi, per loro era preferibile la piazzetta, a tal motivo denominata la piazza rossa), dal balconcino dei bassi Caia, il cancelliere C. repubblicano, si dava all’opposto a strapazzare i personaggi dell’ex-monarchia. A un bel momento parte un sonoro grido di “Viva il re”. Tutti ci siamo prontamente girati a vedere da dove era partito. Statico, col volto dal quale non traspariva una grinza, appoggiato ad un albero c’era il barbiere mastru Rroccu, sfegatato monarchico, che non ha battuto il minimo ciglio. Passato il primo momento di sbigottimento, il conferenziere ha ripreso facendo finta di niente.

    Allo stesso posto una sera il socialista reggino Prof. Neri ne stava dicendo di tutti i colori contro la Chiesa e i suoi adepti. Arrivato al punto di definire il Crocefisso un pezzo di legno è intervenuto il brigadiere dei CC Trovato, che ha messo fine a quel forsennato e incredibile attacco fuori luogo. Altra volta stava comiziando dal balcone dell’avv. Grillo il prof. Reale della DC quando dalla cattedrale è partito il rintocco delle campane in occasione della Benedizione che veniva a concludere la recita serotina del Rosario. Ai ripetuti rintocchi le persone, in gran parte di umile estrazione, si sono tutte tolto il beretto e l’oratore ha immediatamente interrotto il suo dire. Ripreso l’intervento ha officiato che non aveva più nulla da offerire in un paese dove la gente si scappellava in occasioni del genere. Non aveva essa proprio bisogno di alcun consiglio.

     Non posso non ricordare il grande manifesto affisso a coronamento di un discorso tenuto dal ministro Cassiani. I missini tra i loro propositi avevano dichiarato che si sarebbero impegnati a portare in Oppido oltre al servizio del telefono di giorno anche quello di notte. Il politico cosentino alla fine, facendo finta di concludere il suo intervento, si è subito fatto indietro esclamando: Me ne posso andare o c’è dell’altro? Ah, già, c’è ancora il telefono di notte! E dando addosso a coloro che una volta ottenuto il telefono di giorno, santi numi, pretendevano di avere anche il servizio notturno, ha concluso la sua concione. Se fosse stato in vita oggi altro che telefono di giorno e di notte. C’è solo l’imbarazzo della scelta. Bene! La mattina dopo ai muri del paese sono comparsi affissi dei vistosi manifesti dove a caratteri cubitali si leggeva: Del telefono di notte Cassiani se ne fotte. Dire che quanto espresso ha fatto epoca è poco. Con l’ex-ministro ho instaurato una relazione epistolare tra 1971 e 1972. Ha tenuto a ringraziarmi per la recensione fatta a un lavoro di Giovanni Laviola sul di lui padre Ferdinando. Questi era stato autore di una monografia sul paese natale, Spezzano Albanese. Gliene avevo chiesto copia e immantinente me l’aveva spedita con gli apprezzamenti per Oppido e l’avv. Mittica e con l’amore che portava alla Provincia di Reggio. In occasione di vari convegni ho avuto occasione di conoscere anche il figlio Ferdinando, valente studioso meridionalista.

   
     I missini in Oppido, tra vecchi nostalgici e nuovi adepti, si qualificavano un numero attivo e molto vivace. In una calda serata era di scena al balcone dell’ex-palazzo comunale, sulla piazza maggiore, il sottosegretario Murdaca che si offriva per la DC. L’ampio rettangolo era particolarmente gremito e tutti si era attenti alla concione di rito. A un bel momento, lanciatosi a tutta foga avverso il MSI, si è dato a dirne di cotte e di crude. Un primo sonoro battimani appariva di prammatica e forse anche lo era. Ma che succede! Ogni volta che l’oratore si offriva avverso al partito di destra, davanti a lui un folto gruppo subito si dava a battere sistematicamente le mani a mo’ di approvazione. A svolgere una tale azione erano i giovani della locale sezione capitanati dai fratelli Zerbi. Quando si è capito che non si trattava di applausi sinceri, ma offerti a bella posta a mo’ di sfottò, subito dalle file degli attivisti ionici che accompagnavano l’uomo politico nelle varie trasferte se ne sono distaccati alcuni che, con fare mafioso (i visi non offrivano certo moderazione e cordialità), si sono avanzati all’incontro con fare minaccioso a fine di tacitare quei temerari. Vista subito la mala parata, dei cittadini con in primo piano il solito paciere don Rocco, si sono protesi a contrastarli. Nel momento clou dal tetto del palazzo Zerbi si è improvvisamente sentito precipitare un qualcosa di animato che emanava reiterati singulti. Nell’immediato si è pensato a un bambino piccolo ch’era precipitato dall’alto, ma l’esserino non era altro che un gattino caduto involontariamente o fatto cadere volutamente. Balzato a terra, come se niente fosse, l’animale con un veloce balzo si è involato subito alla vista di tutti. Non ricordo se il comizio sia stato dismesso subito o meno, ma la massa della gente ha ondeggiato verso il punto di caduta e si sono formati dei folti capannelli. Com’è come non è, certamente l’appuntamento politico non si è concluso nel migliore dei modi.

    Chi era don Rocco! Era sicuramente l’amico degli amici! Grande sportivo e grande giocatore, ha portato la squadra della Mamerto ad alte vette. Benvoluto da nobili e borghesi, ma soprattutto dalla popolazione minuta, era onnipresente e s’impegnava in prima persona a sedare risse, a coordinare gruppi di persone interessate ad aiutare famiglie in bisogno e a qualunque altra occorrenza. Al Circolo cosiddetto dei signori o al vicino bar era all’attenzione di tutti soprattutto nelle discussioni di sport e di politica. Tra tanti casi me ne sovviene uno singolare. Un tale che aveva messo incinta una donna non ne voleva sapere di sposarla e accampava scuse di vario genere. Soprattutto ch’erano gente povera e che la controparte non aveva alcuna dote da portare. Subito il brioso personaggio parte in resta e con un gruppo di altre persone riesce a raccogliere quanto basta per portare l’uomo al matrimonio. Erano tempi difficili e per una donna ingannata e non sposata era una situazione davvero amara. Ma non è stato solo quel caso. Quando per la troppa vivacità dei contendenti, uomini e spesso anche donne, non riusciva nell’intento, ricorreva a una scherzosa minaccia. Avvisava che se non si fossero dati una calmata avrebbe dato il via a una manovra sconcia. La mossa aveva un effetto immediato e tutti, venendo a miti consigli, pian piano si ricomponevano alla meglio. Peraltro, non c’era manifestazione pubblica che non lo vedesse al centro. Tra l’altro nel 1951 si è posto a capopopolo alla guida della popolazione intestardita a bloccare l’automobile del vescovo Canino che lasciava Oppido in seguito a provvedimento della Santa Sede.

    Negli a. 50 ormai il sistema democratico aveva fatto passi da gigante e ognuno poteva esprimersi nel modo in cui riteneva più opportuno. Ma negli anni a ridosso della fine della guerra la situazione si qualificava tutt’altra. Spariti i fascisti dalla circolazione, ognuno cercava di rifarsi una verginità. C’era innanzitutto la famiglia da salvaguardare. E che ci voleva? Un tesserino da partigiano, magari falsificandone di genuini, non si rifiutava a nessuno. Senza di esso non solo non riuscivi a ottenere un posto qualsiasi, ma incappavi in indagini vere e proprie. Comunque c’era sempre un amico socialista o comunista, che, trovandosi in quel di Reggio a far parte di qualche direttorio punitivo, poteva intervenire a favore dei suoi compaesani. Mi raccontava un anziano collega che, conclusa la guerra, lui ed altri erano stati sottoposti a serrate indagini da parte di un comitato di epurazione per il loro comportamento durante il famigerato ventennio con rischio di perdita del posto fin’allora occupato. La cosa è finita come doveva finire. Difatti, sono stati giustamente restituiti al proprio lavoro. Ma solo a distanza di moltissimi anni lui e gli altri hanno appreso che a salvarli era stato un membro stesso di quel comitato, un socialista oppidese di grande valore culturale che da tempo abitava a Reggio e che non ha mai millantato alcunchè in merito.

      Che tempi! Oppido, come tutti gli altri paesi, pullulava di aderenti ai partiti riattivati dopo la fine della dittatura e c’era come una corsa a scegliere quello che avrebbe potuto assicurare qualche fattivo appoggio. Naturalmente, si offrivano testimonianze di militanza antifascista e di amore per la libertà. Ognuno in verità, dopo tanta compressione cercava giustamente di emergere. Ce n’era per tutti. Bisognava registrarli quei discorsi che si facevano nelle panchine delle piazze o nel limitare delle case di amici con i quali sovente si giocava a carte o ci si radunava per commentare i fatti del giorno. Quante discussioni capitava di ascoltare soprattutto andando su e giù sulla grande agorà. I politici navigati erano i competenti del momento e i pseudo nobilucci non disdegnavano di andare spalla a spalla anche con gente di scarsa estrazione e cultura. Era ormai di moda. Solo che il poveretto che incappava rimaneva intronato dai roboanti proclami che gli ammannivano e alla fine si convinceva di essere anche lui un uomo politico. Ricordo un trio di tutto punto ch’era uso frequentare la piazza nei pomeriggi, un politico diremmo di carriera, altro a tempo perso e senza alcun impegno lavorativo e in mezzo un contadino che pensava di potersi esprimere alla pari. Quando a un certo punto l’ho sentito pronunciare siffattamente: Tutta la giente deve giàcere con la marea del proletariato perché nui a chista genti la volìmu portàri ‘n su, la volìmu suspisàri, me ne sono scappato via dal ridere. Bello davvero quel suspisàri per indicare la volontà di far progredire il popolo! Niente da far meraviglia. Era ormai una nuova epoca!

    Un appuntamento periodico era rappresentato dalle rituali sedute del consiglio comunale. Non abituati a seguire discussioni di carattere politico, amministrativo ed altro, dato che il vecchio regime faceva da solo senza chiedere permesso a nessuno, tali si configuravano davvero dei richiami indifferibili. Si partecipava sicuramente per essere edotti di quanto si operava nell’interesse dei cittadini, ma contemporaneamente la sirena si qualificava il piacere di assistere alle frequenti liti tra oppositori. I commenti naturalmente venivano espressi fuori l’edificio, davanti al quale si formavano chiassosi capannelli. A suscitare una vera attrazione anche gli interventi dei consiglieri poco dotati d’istruzione, che naturalmente avevano il diritto di dire del pari le proprie ragioni. Solo che offrivano un italiano dialettizzato con espressioni che inducevano al riso. Ce n’era più d’uno in particolare che non lasciava passare seduta senza alzarsi alla fine per dire la sua e quando non lo faceva qualcun’altro lo invitava a pronunziarsi. Naturalmente, gli astanti stavano sempre in attesa.

    Ma non erano soltanto i consiglieri dotati di estrema bonomia ad attirare i curiosi perché c’era dell’altro. Negli interventi spesso si trascendeva e i capi partito non stavano a lesinare nel dirsene di cotte e di crude. Per fatti personali si è arrivato perfino a minacciare denunzie alla magistratura, ma il tutto è presto rientrato. Una volta nei primi a. 70 dal pubblico è intervenuto con un’espressione triviale un certo galoppino anzi galoppone per la stazza e il sindaco del tempo ha immediatamente invitato a chiamare i carabinieri, ma anche in tal caso con la pace dei buoni tutto è finito e, come scherzosamente si dice: “a tarallucce e vino”.
Rocco Liberti