domenica 11 dicembre 2022

DBE: UNA CASA EDITRICE ANTICA E NUOVA PER L’ASPROMONTE E IL MEDITERRANEO (di Bruno Demasi)


   Risale al 1977 la fondazione della Casa Editrice Barbaro a Oppido Mamertina, nel cuore di un Aspromonte molto misero ed esposto più che mai alle cronache nazionali e anche internazionali quale presunto  ricettacolo di estorsori e di sequestratori di persone. Un marchio doloroso, forse indelebile, sicuramente ingiusto, come ingiusta è ogni generalizzazione , nel Bene e ne Male. 

   Che tale etichetta negativa, più che prendere atto di una situazione complessa di assenza (spesso voluta) dello Stato, servisse soltanto a tenere il calcagno della Penisola sulla testa (comunque durissima) degli abitanti dell’Aspromonte riuscirono a dimostrarlo indirettamente una manciata di piccoli o piccolissimi imprenditori che, malgrado tutto, malgrado le ristrettezze dei tempi (specialmernte a livello economico, morale e di legalità) si lanciarono con coraggio in avventure aziendali che con alterne fortune diedero, per la loro parte, lustro a questo territorio.

    Tra tutti mi piace ricordare Domenico Barbaro, Gioiese di nascita, Oppidese di adozione che covava dentro di sé il sogno dell’emancipazione di questa terra - dipendente, allora come oggi, in tutto e per tutto dai beni e dai servizi forniti dal Nord - attraverso un nuovo ed inedito slancio produttivo che non solo avrebbe potuto affrancarci dal giogo economico imposto dalle aziende settentrionali, ma anche dalla lievitazione quotidiana dei prezzi che a quell’epoca – imperante una lira debolissima e stracciata – continuava a creare solo povertà dopo un fantomatico boom economico registrato ad arte dalle cronache del ventennio precedente  e che  non si era sognato neanche di sfiorare queste contrade abbandonate a sé stesse.

   Domenico Barbaro aveva creato proprio in quegli anni in quel di Gioia Tauro, ancora emporio ed epicentro commerciale di tutta la Piana omonima, un’azienda tipografica modernamente concepita non solo per l’uso di tecnologie di avanguardia che consentivano un abbattimento dei prezzi di produzione, ma anche la creazione di un ricco catalogo di stampati ad uso della pubblica amministrazione da sempre dipendente, per questa come per altre materie, da alcune grosse e rinomate società tipografiche del Nord che fagocitavano ingenti risorse del nostro territorio. L’impresa funzionava bene, ma non soddisfaceva in pieno le mire più lungimiranti di Domernico Barbaro che, dopo una serie di discussioni e valutazioni con alcuni amici di cui si fidava, si buttò anima e corpo, in concomitanza con la conclusione di un preesistente suo rapporto di lavoro dipendente, con quella che divenne subito la sua nuova ragione di vita: un’impresa nell’impresa: una casa editrice mamertina, tutta aspromontana, tutta calabrese. 
 

   Nacquero così le Edizioni Barbaro e con esse rividero la luce molte opere di autori calabrersi ormai gravemente dimenticate che, insieme ad alcuni studi storici inediti sul Mezzogiorno e sulla “Questione Meridionale”, iniziarono una rapida opera di divulgaziione di cui – credo – possano ancora oggi essere tesimoni decine e decine di biblioteche scolastiche, e non solo della Piana di Gioia Tauro, che facevano a gara per dotarsi di un materale editoriale divenuto presto prezioso e introvabile anche per le tirature forzatamente limitate. Il catalogo editoriale divenne presto ricercato e selettivo e vari scrittori e studiosi di sicuro spessore cominciarono a collaborare e aa garantirne la qualità , la versatilità, il taglio meridionalistico.

  Piace ricordare a questo proposito (cito quasi a memoria) Pasquino Crupi, autore di una pietra miliare nello studio dell’emigrazione calabrese (“La Tonnellata umana”); Rocco Liberti, autore di “Cina chiama Calabria” ( uno studio che fece conoscere molto da vicino la figura egregia del missionario oppidese Filippo Antonio Grillo, esempio insuperato di abnegazione nella Cina del XIX secolo);  Ettore Capialbi e Francesco Pititto, curatori dell’ancora oggi fondamentale collana bimestrale dell’ “Archivio storico per la Calabria”; Carlo Carlino, curatore della fortunatissima piccola antologia di cose di Calabria dal titolo “Re, poeti e contadini”; Beniamino Giovanni Mustica che diede alle stampe un’intrigante e inedita ricerca dal taglio ironicamente antiunitario “Chi fermò il treno di Ferdinando?”; Carlo Guarna Logoteta, autore di una poderosa Storia di Reggio Calabria; Nicola De Meo; Attilio Piccolo, Isabella Lo Schiavo e tantissimi altri che illustrarono con sincera passione storica lo stato degli studi calabresi in quello scorcio problematico eppure vivissimo che era l’ultimo quarto del secolo scorso.

   Domenico Barbaro non riuscì a cogliere i frutti di una semina così abbondante e intelligente a causa di un’incipiente malattia che lo avrebbbe portato prematuramente alla fine e che lo costrinse presto a cedere, suo malgrado, la sua avviatissima attività editoriale alla deliese Caterina Di Pietro, la quale, coadiuvata dal marito Raffaele Leuzzi, appassionato di storia e storie locali, continuò l’attività editoriale di Domenico Barbaro per oltre due decenni con merito e sacrificio.

   E’ tuttavia di oggi la commovente novità che vede ritornare alla famiglia Barbaro, sotto i migliori auspici possibili, l’attività editoriale, ripresa con rinnovata passione dal figlio Remo, sapiente estimatore dell’arte editoriale e continuatore per vocazione dell’ambiziosa missione paterna. Con il nuovo marchio “DBE”( Domenico Barbaro Editore) egli infatti non solo esprime un atto di omaggio alla figura del fondatore, ma vuole anche fare riferimento a un serio e moderno progetto di rivisitazione e di rilancio non solo della cultura aspromontana , ma di quella calabrese nel suo insieme, proiettata verso un orizzonte decisamente mediterraneo


   I primi titoli che nella nuova gestione la casa editrice ha messo in catalogo sono infatti molto eloquenti: si va dalla ristampa anastatica di “Antonello capobrigante calabrese”, il dramma con cui Vincenzo Padula , sullo sfondo della spedizione garibaldina, tratteggia in modo monumentale i caratteri storici e culturali di una Calabria già irta di contraddizioni, per arrivare all’”Abbate Gioacchino” di Felice Tocco, una pietra miliare poco conosciuta negli studi su Gioacchino da Fiore nonchè sulle idee e i movimenti ereticali nella cui impietosa e profonda vivisezione l’autore è un’indiscussa autorità. Ad essi si affianca la struggente raccolta delle "Leggende del mare" di Maria Savi Lopez e il non meno raro "Del furore d'aver libri" di Gaetano Volpi.
 
 
   Scelte editoriali emblematiche, non facili, ma proprio per questo eloquenti, pagine irrinunciabili che mancano sicuramente in tantissime biblioteche e che coniugano in modo chiaro l’antico e rinascente amore per la terra di Calabria con lo sguardo proiettato verso un contesto meridionalistico più ampio attraverso due studi riproposti quasi subito, e non a caso, dalla rinnovata casa editrice: uno sulle tradizioni sarde (Stanis Manca: “Sardegna leggendaria”- 1910) e un Dizionario Sintetico aggiornato sulla “Simbologia medioevale”, curato meticolosamente da Gonario Rauc. Ad essi si affianca imperiosamente la pubblicazione di un intrigante quanto inedito ritratto della complessa figura di “Eleonora d’Arborea – Regina guerriera, giurista illuminata e donna…” tracciato sapientemente da Donatella Pau Lewis su binari di analisi poco conformistici che ne rendono le pagine avvincenti e dense di sorprese: ne scaturisce la figura di una donna del passato antesignana di mille battaglie politiche che hanno come teatro proprio il mondo mediterraneo con tutte le sue aspre contraddizioni.

    La storia delle Edizioni Barbaro, oggi DBE, che inorgoglisce l’originario contesto aspromontano in cui ha visto la luce ormai quasi mezzo secolo fa, è dunque ripartita come meglio non avrebbe potuto e, se queste sono le premesse, sicuramente farà ancora parlare molto e per molto tempo di sé.