martedì 7 luglio 2020

PEPPE VALARIOTI E GIANNINO LO SARDO: DA 40 ANNI DUE VITTIME DI NDRANGHETA SENZA COLPEVOLI

                                                                            di Bruno Demasi

    Le uccisioni di questi due giovanissimi protagonisti della vita politica calabrese negli anni Ottanta costituiscono indubbiamente due episodi chiave per capire le trasformazioni della ndrangheta in Calabria nella seconda metà del secolo scorso e nei primi decenni di questo secolo.
   Vi torna con rigore storico Enzo Ciconte (“Alle origini della nuova ndrangheta. II 1980.” Rubbettino, Soveria Mannelli, 2020) che data convenzionalmente proprio all’anno in cui avvennero gli omicidi di Peppe Valarioti e Giannino Lo Sardo l’inizio di quel sanguinario salto di qualità che porta la ndrangheta da fenomeno eminentemente sociale e politico a fatto per così dire imprenditoriale che travalica addirittura i ristretti confini regionali per diventare problema nazionale e addirittura internazionale.
   Parliamo di due vite straordinarie, due omicidi che ancora 40 anni dopo sono senza colpevoli da cui Ciconte parte per ricostruire una storia che ha al centro la ndrangheta conducendo un’analisi che propone spunti nuovi per giudicare l’evoluzione del fatto mafioso in Calabria, da fenomeno originariamente agropastorale a interlocutore della vita politica, specialmente negli anni della Democrazia Cristiana e poi del Centro sinistra , quando frange sempre più deviate degli stessi partiti cominciarono a servirsi del canale ndranghetistico per costituirsi serbatoi di voti, dando il via a un cancro che è lontano dall’essere debellato ai giorni nostri.
   A differenza di tanti comunisti parolai e all’acqua di rose presenti in varie sezioni calabresi, Lo Sardo e Valarioti appartenevano a quella militanza silenziosa e non salottiera, a quella gioventù realmente impegnata sul fronte sociale e politico che non aveva paura di compromettersi nei confronti di quelle consorterie mafiose locali che proprio negli anni Ottanta si presentavano sullo scenario nazionale già come diramazioni di un’ organizzazione criminale modernamente concepita ormai operante sia dentro che fuori i confini della Regione.

   Ha ragione Ciconte: tutte le analisi che la rappresentavano negli ultimi decenni del secolo scorso o addirittura la rappresentano ancora come come un’organizzazione agro-pastorale rintanata tra l’Aspromonte e lo Zomaro vanno buttate . Negli anni Ottanta la Ndrangheta è un’organizzazione in forte mutamento, ma quella trasformazione non la coglie nessuno. Nella regione piu povera d’Italia i sequestri di persona avevano lo scopo di “accumulazione primaria del capitale mafioso”. Erano anche gli anni del “Pacchetto Colombo” una sorta di “risarcimento” dopo la rivolta di Reggio di dieci anni prima, e i boss erano presenti con le loro imprese e con i loro interessi.
   In quell’anno – dice Ciconte - la ndrangheta è già “Santa”, ha un livello di élite che le consente di intreccciare rapporti solidissimi con politica, massoneria e Stato. I boss piazzano i loro uomini alla Regione, contribuiscono all’elezione di deputati e amministratori locali. A Rosarno come a Cetraro eleggono loro rappresentanti al comune.Si tratta dei due paesi dove muoiono uccisi Valarioti e Losardo. Peppe è un giovane professore di Rosarno, figlio di contadini e segretario della sezione del Pci. La sua presenza vigile e non parolaia dava fastidio, aveva una visione moderna e chiarissima della lotta alla mafia, ai boss voleva strappare potere e consensi. Lo ammazzarono l’11 giugno 1980. (“AIUTO, COMPAGNI , MI SPARARU ! “)


    Giannino Losardo,funzionario della Procura di Paola, era divenuto molto presto esponente in prima linea del Pci di Cetraro, il paese del clan Muto, il re del pesce. I boss locali lo consideravano apertamente un nemico. Fu ucciso 11 giorni dopo Valarioti.
    Losardo e Valarioti, scrive Ciconte “ non sono eroi solitari…ma espressione di una battaglia corale….muoiono perché sono percepiti e sono diventati un ostacolo…per gli affari mafiosi”., una battaglia corale mai fatta né dai partiti, né dai sindacati, né tantomeno dalla gente che ha dimenticato presto questi eroi e continua a delegare i governi degli enti locali a chi urla e sparla di più indipendentemente dal colore cui appartengono le sue false bandiere.