sabato 4 luglio 2020

L’INCREDIBILE VALLE DELL’EDEN (O DELLE SALINE) E LA διοίκησις DI OPPIDO


di Bruno Demasi

Lascia quasi sgomenti pensare quanto nei primi decenni dell’era cristiana una vallata fertilissima e benedetta da Dio, che si apre a ventaglio da Oriente ( creste dell’Aspromonte meridionale: dagli attuali piani di Zomaro a quelli di Carmelìa) e culmina a Occidente nell’odierno golfo di Gioia Tauro-Pietre Nere, disegnata lungo i secoli dal Metauro-Marro-Petrace possa essere stata importante per l’intero territorio calabrese, e non solo, quale punto di irradiazione di una civiltà cosmopolita custodita e alimentata per secoli. Se la guardiamo oggi, oppressa dalla nuova barbarie, invasa da sterpaglie e immondizie negli alvei delle fiumare e purtroppo anche nelle improbabili strade tracciate da ubriachi che la solcano, non possiamo che riderne con lacrime amare, ma se con gli occhi della storia cerchiamo di scrutarne la bellezza e il grandioso ruolo ricoperto per ben oltre un millennio prima della decadenza, lo sgomento e la rabbia aumentano. E fanno nascere la curiosità per un passato assolutamente da riscoprire davvero, e non solo per i siti sepolti e dimenticati delle cave del sale, da cui per secoli si trasse linfa economica e moneta di scambio. 
   Ma la dimensione più importante di questo paradiso naturale e orografico, ricchissimo di acque, vegetazione, guadi di ogni genere, depositi di minerali pregiatissimi, e, naturalmente, di moltissime miniere di salgemma che veniva trasportato fin sulla costa da tempi immemorabili per i commerci nel Tirreno è quella religiosa o, per meglio dire, religioso-amministrativa. E’ più che lecito ipotizzare infatti che solo appena dopo un cinquantennio dalla morte e resurrezione di Cristo l’inizio della predicazione del Vangelo in questa valle, parzialmente identificabile con la Tourma delle Saline in evo bizantino e oggi non in tutta la Piana di Gioia Tauro, come erroneamente si crede, ma soltanto nel comprensorio più meridionale della medesima, coincidente con il bacino dei fiumi di cui si è fatto cenno ed ampliabile al massimo in senso longitudinale dagli attuali “Piani della Corona” alla alla piana di San Martino e Radicena, come incerto limite settentrionale ( Cfr. B. Demasi: Ma la “Turma” o “Valle” delle Saline corrispondeva effettivamente all’attuale Piana di Gioia Tauro?” - 31 luglio 2012 ) e in senso trasversale dalle creste aspromontane fino al golfo ieri di Tauriana, oggi di Gioia Tauro.
    A portare il Vangelo nei villaggi e nelle sparute roccaforti di queste contrade erano probabilmente i discepoli dello stesso Paolo di Tarso, o comunque seguaci da lui direttamente formati e confermati nella fede dopo lo sbarco a Region, ad appena 50 Km di distanza ( F.Russo, “Storia dell’Archidiocesi di Reggio Calabria, I, p. 41 e ss.).Peraltro la predicazione e la diffusione della nuova religione non poteva che diffondersi proprio da qui, irradiandosi da queste terre in lingua greca, mentre probabilmente l’evangelizzazione della Calabria più settentrionale sarebbe giunta in un momento successivo da Nord e in lingua latina, come afferma lo stesso padre Russo (Ibidem). E’ comunque un dato acclarato che dagli albori ad almeno tutto il secondo secolo sia la predicazione sia la liturgia si espressero promiscuamente sia in greco che in latino, come afferma senza tema di smentita l’Enciclopedia Cattolica (XI – 1799) che, tra l’altro indica che nella città di Tauriana anche in epoca imperiale gli insediamenti erano costituiti da gruppi misti e di linguaggio greco e latino o, forse più correttamente, di parlate dialettali derivate dal del greco e del latino propriamente detti, senza contare la loro convivenza pacifica con l’elemento ebraico e con quello arabo che presto furono attratti da questo eden naturale e commerciale.

   Occorrerà arrivare presumibilmente al III secolo per registrare una relativa prevalenza del latino sul greco a livello di catechesi anche nel capoluogo religioso territoriale che senza dubbio era Tauriana. Lo indica con chiarezza la lapide custodita nel Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, studiata e descritta da Salvatore Settis che attesta quale vescovo di Tauriana in epoca costantiniana tale Leucosio, nome di per sé greco, ma ormai latinizzato. D’altronde l’ esistenza inequivocabile di un vescovo già in epoca costantiniana non può che confermare quanto spesso si è detto in merito all’esistenza nella Valle del Metauro-Marro di una Chiesa giuridica non soltanto carismatica sia pure strutturata in modo essenziale e scarno secondo la piramide diaconi – presbiteri – vescovo di stretta derivazione dall’organizzazione ebraica e sinagogale che, come dicevo, presumibilmente era già presente, sia pure in modo rudimentale, nello stesso territorio, ( cfr. B. Demasi: “Il giallo di Mella o Mamerto: da uno pseudotoponimo alle ragioni storiche” in Hagiaagathe.blogspot.com – 24 agosto 2012) e comunque già ampiamente attestata nelle primigenie chiese di Antiochia e di Gerusalemme. Ai presbiteri, quasi tutti itineranti, era affidato il compito della predicazione e della somministrazione del battesimo ai catecumeni per mandato del vescovo. Una relativa stabilizzazione territoriale degli stessi presbiteri si poteva registrare via via che il numero dei credenti e dei battezzati cresceva imponendo cosi la loro presenza fissa sul territorio. 

    Dunque è lecito dunque supporre già dal II -III secolo, a livello amministrativo-religioso, l’esistenza nella Valle delle Saline di un’ organizzazione già sufficientemente definita che sarà messa a dura prova non solo da terremoti, inondazioni e rivalità intestine che non mancano mai, ma anche e soprattutto dalle incursioni barbariche frequenti, quale quella dei Longobardi nell’ultimo scorcio del VI secolo. Ulteriori notizie sul vescovado di Tauriana appaiono invece alquanto ripetitive e non sempre attendibili malgrado il lavorìo di ricostruzione di molti cronachisti , in ogni caso era questo il quadro generale della diffusione della fede cristiana nel territorio oggetto di considerazione e per moltissimo tempo non si ebbero ulteriori notizie o conferme , almeno fino al 1972, data nella quale si crea quasi improvvisamente uno spartiacque di studi decisamente dirompente. 

    Nessuno infatti si aspettava e nemmeno sospettava che quando Vito Capialbi studioso e nobile di Vibo Valentia rivelò di custodire nella propria biblioteca privata un rotolo pergamenaceo contenente, tra l’altro una serie di 47 atti notarili trascritti nella seconda facciata di un inventario patrimoniale della chiesa metropolita bizantina di Reggio Calabria , di cui 24 redatti in lingua greca agli inizi dell’XI secolo. Il successivo lavoro di decodifica effettuato da Andrè Guillou e pubbliato interamente nel 1972 dalla Biblioteca Apostolica Vaticana (“La theotokos de Hagia- Agathé (Oppido) 1050 -1064/65”) consentì di ricostruire un quadro sufficientemente chiaro e inoppugnabile della struttura amministrativa assunta dalla Chiesa nella Tourma (circoscrizione) delle Saline e nel suo entroterra in epoca parzialmente contemporanea e soprattutto successiva a quella dello stabilizzarsi della diocesi di Tauriana e del suo tutt’ora inspiegato crollo. 

   Nelle pergamene studiate e pubblicate Guillou dimostra che la diocesi di Oppido venne fondata dal Patriarcato di Costantinopoli tra il 1025 e il 1050 tant’è vero che – come risulta in uno dei documenti - già nel 1051 si presenta con il suo vescovo Nicola, la sua cattedrale, i suoi dignitari ecclesiastici, funzionari e notabili in genere puntigliosamente nominati negli atti redatti in forma solenne e trascritti secondo la pedante diataxis ( regolamento) in vigore. Dunque nella costituzione della neonata diocesi di Oppido i Normanni non c’entrano affatto anche se col passare del tempo essi l’accettano per calcolo politico. E’ da notare tuttavia che nel culmine della presenza normanna in Calabria, e specificamente di Ruggero il Normanno, che negli anni dal 1059 al 1063 si trovava sul territorio impegnato in operazioni militari di grande rilievo a causa delle quali spargeva il terrore anche nella Valle delle Salin, si deve registrare una lacuna nella serie cronologica di redazione degli atti notarili pubblicati dal Guillou. 

    Gli atti ci presentano il vescovo di Hagia Agathè amministratore di un territorio notevolmente ampio, comprendente una Tourma ( o Eparghia) detta delle Saline per il florido commercio di salgemma esistente in loco e per l’industria estrattiva dello stesso. La divisione amministrativa è quella tipica della dominazione bizantina nei suoi Temi o circoscrizioni ben codificate anche nella zona Meridionale della Penisola. Apparentemente la Tourma delle Saline, più volte citata nei document,i e l’Eparghia facente riferimento allo stesso territorio indicano il medesimo luogo geografico, ma così non è. In effetti l’Eparghia citata negli atti indica un territorio più ampio della Tourma, nella fattispecie tutto il bacino del Petrace odierno, ma anche quello del Mesima, vale a dire l’intera piana attuale di Gioia Tauro solcata dai due fiumi, mentre la Tourma, come già si spiegato ampiamente, indica di sicuro soltanto l’alveo orografico, più circoscritto, del Metauro-Marro , oggi Petrace, 

   La Tourma,nel pieno rispetto della divisione amministrativa dell’epoca, era suddivisa in Drungoi, banda e choria. Questi ultimi, spesso erano muniti di fortificazioni e torri di difesa (Pirgos) il più grande e importante dei quali era sito a Boutzanon, identificabile grosso modo con l’odierna Castellace, frazione di Oppido Mamertina. Gli altri choria, di cui si fa menzione negli atti, sono: Dapedàlbon (Pedavoli, oggi Delianuova); Sinopolis (Sinopoli Vecchio), Sicron (nelle vicinanze di Sinopoli Vecchio), Skidon (Scido);Tresilicco (Tresilico, borgata di Oppido); Kannabareia (Cannavareio), Lakoutzana , Avaria ( L’odierna Santa Georgia, frazione di Scido, popolarmente uindicata come Voriia); Friguriana , Roubiklon (l’odierna Lubrichi, attuale frazione di S.Cristina d’Aspromonte) ) Radikena ( Taurianova) e altri due choria di difficile identificazione. Oppidum, capoluogo della Tourma è costituito come kastron e astu (città munita di fortificazioni) ed è anche indicata in uno degli atti una “porta tou palaiou kastrou” cioè una porta (parola latina scritta in greco) dell’antico Kastron poi ricostruito.
    Il vescovo Nicola, amministratore assoluto dell’intera Tourma, viene fregiato di aggettivi bellissimi: Theofilèstatos kai àghios (Santo e carissimo a Dio), despòtes, Odeghetòs o aghiòtatos (maestro e santissimo).Gli atti greci rivelano con chiarezza la struttura di governo della Theotokos (la cattedrale, katolikè, del vescovo) dedicata alla Gran Madre di Dio. Essa ha un organico proprio di chierici (taxis tou klerou) formato da un Chimeliarca, un kanstrisios, un Primicerio, un Protopapas, vale a dire un dignitario in capo in grado di sostituire il vescovo in caso di assenza o impedimento , incaricato della delicata funzione di governo della katolikè. Dagli atti si evince che tutti i ministri del culto e i dignitari, secondo i protocolli bizantini, sono nominati dal vescovo che fa pervenire a ogni interessato la sua nomina ( éntalma sustàticon) e pretende dall’incaricato in pectore un atto di àsfaleia (assicurazione di adempimento). 

    Tutte le pergamene concernono generose donazioni al vescovo per devozione alla Gran Madre di Dio. Si tratta prevalentemente di fondi rustici: vigneti, uliveti, terreni montani, frutteti di vario genere, e in particolare querceti e castagneti. Si creava così una notevole concentrazione di fondi nelle mani del Vescovo che, in ultima analisi e in prospettiva andava a comprimere l’indipendenza dei piccoli o piccolissimi proprietari che non potevano competere con il vescovo sia per quanto concerne la produzione di beni agroalimentari sia per quanto concerne la loro commercializzazione sia pure circoscritta ai piccoli o piccolissimi orizzonti di ogni villaggio rurale.Nasceva insomma la prima vocazione al latifondo. I donatori erano fermamente convinti che ogni cespite di cui si disfacevano potesse aumentare i loro meriti e la loro possibilità di salvezza ultraterrena e donavano generosamente alla Theòtokos di Hagia Agathé, un abitato sufficientemente ampio e importante che, secondo il Guillou, i Bizantini ripopolarono ricostruendo una preesistente città fortificata (Oppidum) alla quale probabilmente diedero il nome illustre di Sant’Agata, città distrutta più volte dagli Arabi nei pressi di Reggio. Dunque Oppidum, il sito fortificato già esistente in epoca imperiale (lo testimonia la strada di accesso risalente allo stesso periodo scavata e ampiamente documentata dal Visonà) sarebbe diventato nell’epoca delle devastazioni arabe il rifugio interno e più settentrionale degli abitanti fuggitivi ed esuli dal centro fortificato di S.Agata , di cui aveva preso il nome e che i bizantini a loro volta nobilitarono ed elessero quale capoluogo di una Tourma tra le più ricche e felici delle loro dominazioni nella Calabria più meridionale.Un luogo eletto nel quale l’elemento arabo comibciò a convivere con quello ebraico e con quello bizantino. 

    Indubbiamente l’appellativo di Hagia Agathé ricevuto da Oppidum fu un fuoco di paglia che durò pochissimo, sia perché i suoi abitanti non furono mai pienamente convinti di questa denominazione, per cosi dire, imposta dall’alto, e continuarono a chiamare la città col suo nome originario sia perché, il sito fu riabitato almeno fino al grande terremoto del 1783 che lo distrusse. Singolare destino: lo stesso terremoto andò a spazzare completamente dalla geografia dei luoghi sia la città di Oppidum ( che sarà ricostruita più a nord) sia la città di S.Agata che non sarà più ricostruita. 

    Se è attendibile l’ipotesi del Guillou, che vede i Bizantini ricolonizzare la città dopo la distruzione di S.Agata e il suo trasferimento a Oppidum (VIII – IX secolo), occorrerebbe pensare che la diocesi oppidese sia stata istituita dai Bizantini in epoca relativamente lontana rispetto alla datazione del primo atto cronologico trascritto sulla pergamena(1044), presumibilmente nel X secolo, periodo in cui l’espandersi e lo strutturarsi della dominazione bizantina in questi luoghi, minacciata sulle coste dalle incursioni arabe e all’interno dalle pressioni normanne, aveva forte necessità di disporre di una roccaforte all’interno del golfo di Gioia Tauro, quale appunto poteva e doveva essere la Tourma delle Saline.Sta di fatto che la diocesi era nel massimo del suo splendore nell’epoca in cui si strutturarono in sede amministrativa gli effetti dello scisma d’Oriente ( 1050 – 60) e appariva costituita subito dopo la sparizione della diocesi di diocesi di Taureana caduta in rovina nell’ultimo scorcio del decimo secolo e mai più ricostruita. Hagia Hagathe era dunque , come lo era stata Tauriana, la custode del rito greco per la quale i Bizantini vollero fondarla dopo il crollo di Tauriana, quasi un avamposto contro l’invadenza della diocesi di Mileto istituita nel 1080, che era di rito latino, fedele ai Normanni e sede del conte Ruggiero, al cui assedio Oppidum sapeva opporsi valorosamente. Tale opposizione le consentì di mantenere il proprio rito greco intatto fino all’abolizione avvenuta qualche secolo dopo, ma non le consentì mai di accrescere il proprio territorio almeno fino al secolo scorso, quando nel 1978, con nuova denominazione di diocesi “Oppidensis-Palmarum” assunse un notevole numero di parrocchie originariamente appartenenti alla diocesi di Mileto.

Ma questa è un’altra storia…