martedì 8 marzo 2016

L'8 MARZO DALLE PARTI DEL BOSCO DI BOVALINO

di Bruno Demasi
    Tutte le donne calabresi o naturalizzate Calabresi hanno un che di speciale, ma costei forse  più di tutte ...
   Vive in una piccola casa a un piano circondata da piante e fiori, un campo sportivo. «Benvenuto nel Centro don Puglisi» in terra d’Aspromonte. Terra di ’ndrangheta. Attorno a lei  tanti bambini che studiano e giocano. «Ci sono anche i figli delle famiglie della faida di San Luca», spiega suor Carolina Iavazzo. Quella che ha provocato decine di morti, quella della strage di Duisburg. «Li hanno portati proprio le famiglie. All’inizio è stata dura, non si sedevano vicino, non giocavano insieme. Ora giocano e studiano fianco a fianco». Un piccolo grande miracolo.
 Nata ad Aversa, ha lavorato in Campania, Sicilia e Calabria. Con don Pino dal 1991 al ’93, «l’anno più tremendo della mia vita». E ora qui!   E’ qui dal 1994, ma la sua vita l’ha cambiata nel segno di un  uomo straordinario, don Pino Puglisi. Il sacerdote di Brancaccio, ucciso dalla mafia nel 1993, le ha lasciato un testimone; e lei ha sentito che la lotta al fianco dei giovani contro le “lusinghe” della criminalità organizzata andava condotta dove c’era più bisogno.
    La Locride, diventata “famosa” negli anni ’80 e ’90 per i sequestri di persona, dove i morti ammazzati cadevano a centinaia e gli innocenti rimanevano dimenticati, era il posto dove andare. E lì, a Bosco Sant’Ippolito, un piccolo centro tra Bovalino e San Luca, suor Carolina fonda nel 2005 il centro “Don Pino Puglisi”. Un posto pieno di giovani, energie e creatività. Uno dei tanti segni di una terra in fermento, che testimonia alla storia come Don Pino Puglisi abbia aiutato tanti giovani ad uscire dal tunnel della paura e dell’ignoranza, attraverso una pedagogia attiva, coinvolgente, sofferta.

    Ma autenticamente liberante. Ed è ora anche di liberare l’operato di questo sacerdote dal riduttivismo del “prete antimafia”: chi opera nello spirito del Vangelo non può non essere “contro” la mafia, ma è piuttosto la mafia ad essere “contro” il Vangelo: e Padre Puglisi sapeva che la vera e autentica testimonianza del vangelo è coincidente anche con l’impegno civile e umano.
     Prezioso è stato l’apporto femminile e materno di Suor Carolina Iavazzo, che è stata la principale collaboratrice di padre Pino Puglisi: appartiene all’ordine delle “Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena”, un ordine religioso missionario apprezzato per il suo carisma e voluto da padre Puglisi per gestire il centro d’accoglienza “Padre Nostro” da lui realizzato per fronteggiare le povertà del quartiere Brancaccio di Palermo.
    Suor Carolina racconta che Padre Puglisi aveva un bellissimo sogno: portare il sole nel quartiere Brancaccio: il sole della solidarietà, del riscatto morale e civile, il sole della promozione umana e spirituale, della libertà, del sorriso e dell’amore. Un sogno che non voleva realizzare da solo; per questo aveva innescato il sistema infallibile del contagio, del coinvolgimento, della corresponsabilità.
    Con un gruppo di persone aveva, in poco tempo, diffuso una gran voglia di cambiare il quartiere a iniziare dai bambini, dai giovani e si lasciava aiutare non solo dalle suore ma anche dai volontari del quartiere o da suoi amici fuori quartiere. Padre Puglisi – racconta suor Carolina - ogni giorno che passava, tirava fuori dal suo cassetto un pezzo di sogno e stava per completare il suo puzzle, quando qualcuno, la mafia, ha inteso spezzare questo sogno che però continua e si trasforma in realtà.

     Suor Carololina, è autrice di poesie in cui parla di Palermo, dei suoi tanti ragazzi, definendoli con la struggente espressione di “figli del vento”. Strappati alla strada e alla violenza mafiosa, con una tenacia mai vinta, mai sopita, nonostante la morte di Padre Puglisi:“Muori così, senza far rumore…nel silenzio te ne vai, lasci a noi solo le impronte di una nuova libertà”.
    Non nasce da una mente incartapecorita nell'illusione della poesia di maniera la poesia di suor Carolina, ma dalla strada. E porta comunque alla cattedra, poiché pone degli itinerari pedagogici di vero stupore. Fatti di libertà e gioia. Quella gioia che ha accompagnato don Pino fin nel gesto ultimo del suo morire, immolato, ucciso dalla violenza, ma capace di cambiare il cuore del suo assassino proprio tramite quel suo mite sorriso. 

    Per la suora, l’insegnamento di vita di Puglisi difficilmente si dimentica: “Tutti siamo chiamati a lasciare qualcosa che resti nella storia e nella vita degli uomini, come un testimone che passa da una mano all’altra, di generazione in generazione perché la vita è un compito che qualcuno ci affida perché altri dopo di noi, possano ritrovare la strada che porta alla meta”.
     Quando aveva detto: “Non lasciate il mio corpo troppo solo”, Padre Puglisi voleva dire: “Continuate voi la mi attività, la mia speranza, realizzate voi il mio sogno”. Il sogno dell’”uomo di Dio che semina a piene mani, raccogliendo sassi che trasforma in zolle profonde”, zolle che erano soprattutto i cuori dei ragazzi di Brancaccio, in cui Padre Puglisi ha seminato insopprimibili semi di pace e di libertà.