venerdì 15 gennaio 2016

La penna del Greco: MASSAREJU CHI VINDI RICOTTI...!

di Nino Greco
   Un effetto inedito della favolosa nevicata del '56 . Meno inedita la scena dell'ingordigia fatta persona dei signori di paese e dello stupore affamato dei bambini che vi assistono...
   Ancora una pennellata superba del Greco che val la pena leggere e rileggere  d'un fiato (Bruno Demasi)
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    Quella nevicata era venuta giù abbondante, aveva ‘nzurdutu l’aria e coperto i colori del carnalivari appena passato. Un freddo ficcante e presuntuoso aveva messo a dura prova quelle genti che erano abituate solo alle levantine; la neve veniva giù ogni tanto, e quando capitava portava gioco per i ragazzi e tante pastoie per chi doveva ‘mpajare a jornata.
   Anche quella mattina, degli ultimi giorni di febbraio, u massaru Ntoni quagliò la ricotta, la preparò nelle fasceje, le mise dentro ai catini di alluminio, li coprì e come tutte le mattine, ci passò la stanga tra i manici dei cati e la posò sulla spalla di Micareju, il più giovane dei cinque figli, e lo face partire alla volta di Oppido.
- Micaredu, sunnu trenta fascedi, quindici ‘i ‘na parti e quindici ‘i n’atra. Stai attentu e fatti i cunti, sunnu deci liri a ricotta , se ‘i vindi tutti ‘ndai a portari tricentu liri ! Ricordatillu !
- Sì, patri non vi ‘ndi ‘ncarricati!-
   Sapeva fare i conti, ma suo padre lo raccomandava sempre.
   Partì tra scuru e jornu.
   Fu più gravoso del solito il viaggio da Messignadi a Oppido, le ‘ccurciature solitamente ne riducevano il tempo, ma quella mattina i passi furono lenti e faticati, la neve frenava la cadenza e gli stivali cominciarono a pesare oltremisura.
   Micaredu era conosciuto un po’ da tutto il paese, aveva frequentato le prime classi elementari, poi aveva abbandonato la scuola per dedicarsi totalmente al mestiere di massaro, come suo padre. Aveva appena undici anni, ma nei suoi occhi si leggeva il senso del lavoro e del dovere. Quello era il tempo migliore, le erbe fresche e marzoline davano alle ricotte un sapore singolare e quello era il periodo che le vendeva tutte e senza difficoltà.
   Alle prime case del paese cominciò a vandiare. Qualche porta si aprì per comprare, qualcun altro si fece sfilare sul palmo della mano una ricotta ancora tiepida e la ingurgitò con voluttà. 

   Giunse stremato  sullo stradone che portava alla scuola elementare, subito dopo la Posta; un tratto ghiacciato tradì il suo passo e cadde, i catini ancora colmi di fasceje rotolarono e qualche ricotta perse la forma. Micaredu si alzò dolorante e andò a sedersi sullo scalone della posta sgombro da neve, trascinò con sè i catini e alcuni ragazzi che stavano andando a scuola si avvicinarono per soccorrerlo. I suoi occhi si aprirono alle lacrime, ma oltre al dolore gli pesava immaginare di aver rovinato la bontà delle ricotte e di conseguenza addio tricentu liri ! Si sentì sventurato. Sarebbe stato anche complicato giustificare al padre l’accaduto: caduto comu nu sumeri per colpa della neve!
   Il nugolo di ragazzini lo attorniò, qualcuno si sedette con lui per rincuorarlo, la botta all’anca era stata dura e il dolore lo attorceva. Fu in quel mentre che arrivarono l’Avvocato Peppe e un suo compare compagno di passiate in piazza.
   I due si avvicinarono spinti della curiosità, scrutarono dentro i catini che intanto un ragazzino aveva accostato al muro e videro che alcune fasceje si erano svuotate e tante altre avevano mantenuto intera la forma della ricotta. Senza domandare se Micareju avesse bisogno di soccorso, con tono canzonatorio Peppino , l’ Avvocato, gli chiese col sorriso sulle labbra:
- Massareju tu rruppisti u du sordi? – sorrise con sfotto, deridendolo per essere caduto.
- E ora comu fai ch’i ricotti? – soggiunse.
    Micaredu, rrunchiò le spalle mentre altre lacrime scivolavano sulle gote infreddolite. Il pensiero di dover tornare senza soldi a Messignadi per colpa di una caduta banale lo angustiava e non poco. Avrebbe dovuto sorbirsi anche l’ira del padre.
- Massareju, facimu n’affari! – Disse l’Avvocato, senza curarsi della condizione di Micaredu e senza chiedergli se avesse bisogno di qualcosa e ancora col sorrisino sulle labbra.
- Ti dugnu cinquanta liri e me le compro tutte, così tu ti fai qualche soldo e potrai ciangiri sulu cu n’occhiu, mentre io e il mio amico ci faremo la gara a chi ne mangia di più!
   Micaredu sbarrò gli occhi, ci pensò un attimo:
- Cinquanta liri sunnu pocu….- rispose con voce spezzata dal singhiozzo.
- Datimi centucinquanta…solo poche si sono rovinate – replicò.
- Alli ccà , cinquanta liri e a to patri nci dici che erano tutte rovinate! – insisté l’Avvocato sempre col sorriso e allettato dall’affare che stava vedendo maturare.
   Micaredu con rassegnazione accettò. Aveva ponderato che sarebbe stato meglio portare qualche lira a casa, sarebbe servita per contenere l’incazzatura del padre. 

   I due compari si sedettero nell’altro scalone poco distante da dove era seduto, ancora dolorante, Micaredu.
    I sorrisi e le sghignazzate grasse dei due compari attirarono altri ragazzini, tanti si fermarono. In qualcuno di loro comparve la bava tra le labbra, frutto dell’anguleja di una bocca che immaginava solamente la bontà delle ricotte. Mentre Micaredu rimaneva attanagliato tra il dolore e il dispiacere, i due erano immersi tra sollazzi e risa, gaudenti per la bontà acquistata spendendo solo cinquanta lire, perdendo così l’occasione di cominciare a provare il gusto della solidarietà umana che non avrebbe di sicuro riempito la pancia nè fatto ballare le grasse papille, ma forse avrebbe riempito la loro giornata.