di Nino Greco
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Indole all’apparenza controllata, mai una sgarbatezza, sempre cordiale e con un filo di sorriso disegnato sulle labbra; tantoché quando parlava o raccontava qualche aneddoto, non appariva chiaro se stesse o meno cugghjuniandu. Il tono amabile e l’eleganza delle narrazioni lo rendevano sempre attendibile. Lui ne abusava e spesso si beffava di tutti.
Sì, tutti. Non esisteva limitazione.
Il gusto era proprio questo: un’occasione di coglionella non poteva essere sprecata per eccesso di riguardo alla probabile vittima, era una condizione che sdegnava. Quando c’era da beffeggiare era da fare e basta, senza remore e senza riguardi per nessuno.
L’aria che si respirava intorno a lui era quindi goliardica, carica di leggerezza e foriera di carrette.
Così i figli crescevano all’ombra delle sue goduriose trame; specie Mico e Benito, i più presenti alle sue sortite di piazza, i due più grandi e i più scavezzacollo dei nove. Anche loro, ormai, iniziavano a mostrare senza ritegno i tratti di burloni e sulla scia di cotanto genitore non potevano palesarsi altrimenti; sicché, quando capitava, non si tiravano indietro se nella rizza ci doveva finire anche il padre.
Nei loro tratti ereditari (s’intende in padre e figli) spiccava la voglia di vivere quel sogghigno di traccia selvatica, come la iena che sa della sua vittima e mostra i denti con la classica risata impietosa, volendo cogliere nello sguardo della stessa l’effetto della carretta o della cugghjunella; provando, nello stesso momento, il piacere di sbandierare la paternità della beffa.
Era così Don Carmelo. Crescevano così anche i suoi figli.
Di tanto in tanto andava Bagnara; là, in quelle costere, destre di
suli e mamme di zibibbo, in quei terrazzi caldi come culle per viti e
grappoli saturi di tinta oro come solo settembre sa ritoccare vivevano
gli anziani genitori e lui sia per dovere filiale sia per l’affetto che
lo legava al paese, ci tornava spesso.
Una calda mattina di giugnettu Don Carmelo salì su l’autobus che portava a Gioia Tauro e si sedette accanto a un suo amico nei due posti dietro l’autista; suo figlio Mico invece si era subito messo all’opera ciondolando su e giù per il corridoio del bus a ‘nzurtari a destra e manca quei pochi passeggeri che come loro dovevano andare a Gioia Tauro.
Erano passati più di venti giorni dall’ultima volta che si era recato a
Bagnara e quella mattina aveva deciso di portare con sé il figlio. La
scuola era finita da un pezzo e lasciarlo, da spatagiacca, a zonzo per
il paese sarebbe stato un azzardo. Mico ormai non stava paru i nuja
manera, era nello sviluppu e attingeva a piene mani da ciò che il padre
in quegli anni gli aveva mostrato senza lesinare: scherzi, burle e
canzonature.
Dopo quasi un'ora di tornanti, discese e rettifili, dopo aver fatto scalo a Messignadi e Varapodi, passando per Amato, il pullman si fermò davanti alla stazione di Gioia. Scesero tutti.
Don Carmelo aveva chiacchierato per tutto il viaggio e si stava intrattenendo ancora col suo amico; il treno locale per Reggio sarebbe passato dopo venti minuti e c’era tutto il tempo per finire la chiacchiera e per bere anche un caffè. Si avviarono verso il Bar Stazione.
- Due caffè – ordinò Don Carmelo
-Mico ! Vuoi i biscotti o le cingomme? – domandò ancora al figlio che già stava smaniando dentro e fuori dalla porta del bar.
- Le cingomme !– rispose Mico
Il barman/proprietario del bar diede le cingomme a Mico e servì i due caffè con lo stesso taglio di pigrizia con cui si era scervellato a cercare il nome per il suo bar.
I due amici stavano ancora sorseggiando quello che sembrava più un surrogato che un caffè, quando Mico tirò per la giacca suo padre e disse:
- Papà, per fare prima, dammi i soldi, vado a fare i biglietti!
A Don Carmelo parve una cosa di buon senso, anche se arrivava dalla bocca di Mico: lui avrebbe potuto continuare a scambiare le ultime chiacchiere con l’amico mentre il figlio avrebbe fatto la fila in biglietteria.
Tirò fuori dal portafoglio cinquecento lire e disse:
- Fatti fare due biglietti per Bagnara, due costano trecento lire! Mi raccomando non sbagliare a chiedere.
- Papà, posso tenere il resto?- chiese Mico, con ammicco scaltro.
Don Carmelo, preso ancora dal discorso col suo amico, con un cenno assentì più per tacitarlo che per altro.
Mico corse verso la biglietteria e sparì dietro un nugolo di persone intente a scaricare bagagli.
Una voce rauca lanciata dell’altoparlante annunciò:
“ Allontanarsi dal terzo binario è in arrivo il treno proveniente da Lamezia diretto a Reggio Calabria, ferma a: Palmi, Bagnara, Villa San Giovanni “.
Era un treno che arrivava dal Nord, a Lamezia una parte di carrozze veniva staccata, con deviazione verso Roccella Jonica, le carrozze rimanenti diventavano treno locale, della parte tirrenica, fino a Reggio Calabria.
Mico sembrava fosse sparito, Don Carmelo con occhi lesti lo cercò in ogni dove, il treno era ormai fermo e del figlio non si scorgeva nemmeno l’ombra. Raramente si faceva cogliere dalla preoccupazione, ma in quel momento era preda di un forte stato di agitazione; e poi, quel disgraziato aveva con sé anche i biglietti!
“Chi testa di rovaci! “ imprecava sottovoce e incazzato. Si era già pentito di esserselo portato dietro.
Mentre meditava queste considerazioni, condite con qualche inenarrabile e strozzata bestemmia, udì:
- Papà ! Papà ! - Urlò Mico, mentre, sorridendo, si sporgeva da un finestrino del treno.
Dopo quasi un'ora di tornanti, discese e rettifili, dopo aver fatto scalo a Messignadi e Varapodi, passando per Amato, il pullman si fermò davanti alla stazione di Gioia. Scesero tutti.
Don Carmelo aveva chiacchierato per tutto il viaggio e si stava intrattenendo ancora col suo amico; il treno locale per Reggio sarebbe passato dopo venti minuti e c’era tutto il tempo per finire la chiacchiera e per bere anche un caffè. Si avviarono verso il Bar Stazione.
- Due caffè – ordinò Don Carmelo
-Mico ! Vuoi i biscotti o le cingomme? – domandò ancora al figlio che già stava smaniando dentro e fuori dalla porta del bar.
- Le cingomme !– rispose Mico
Il barman/proprietario del bar diede le cingomme a Mico e servì i due caffè con lo stesso taglio di pigrizia con cui si era scervellato a cercare il nome per il suo bar.
I due amici stavano ancora sorseggiando quello che sembrava più un surrogato che un caffè, quando Mico tirò per la giacca suo padre e disse:
- Papà, per fare prima, dammi i soldi, vado a fare i biglietti!
A Don Carmelo parve una cosa di buon senso, anche se arrivava dalla bocca di Mico: lui avrebbe potuto continuare a scambiare le ultime chiacchiere con l’amico mentre il figlio avrebbe fatto la fila in biglietteria.
Tirò fuori dal portafoglio cinquecento lire e disse:
- Fatti fare due biglietti per Bagnara, due costano trecento lire! Mi raccomando non sbagliare a chiedere.
- Papà, posso tenere il resto?- chiese Mico, con ammicco scaltro.
Don Carmelo, preso ancora dal discorso col suo amico, con un cenno assentì più per tacitarlo che per altro.
Mico corse verso la biglietteria e sparì dietro un nugolo di persone intente a scaricare bagagli.
Una voce rauca lanciata dell’altoparlante annunciò:
“ Allontanarsi dal terzo binario è in arrivo il treno proveniente da Lamezia diretto a Reggio Calabria, ferma a: Palmi, Bagnara, Villa San Giovanni “.
Era un treno che arrivava dal Nord, a Lamezia una parte di carrozze veniva staccata, con deviazione verso Roccella Jonica, le carrozze rimanenti diventavano treno locale, della parte tirrenica, fino a Reggio Calabria.
Mico sembrava fosse sparito, Don Carmelo con occhi lesti lo cercò in ogni dove, il treno era ormai fermo e del figlio non si scorgeva nemmeno l’ombra. Raramente si faceva cogliere dalla preoccupazione, ma in quel momento era preda di un forte stato di agitazione; e poi, quel disgraziato aveva con sé anche i biglietti!
“Chi testa di rovaci! “ imprecava sottovoce e incazzato. Si era già pentito di esserselo portato dietro.
Mentre meditava queste considerazioni, condite con qualche inenarrabile e strozzata bestemmia, udì:
- Papà ! Papà ! - Urlò Mico, mentre, sorridendo, si sporgeva da un finestrino del treno.
Lo vide, lo folgorò con lo sguardo e si appressò a salire anch’egli.
Trovò posto e mentre si stava per accomodare, giunse Mico.
- Pezzo di ‘ndegno! Siedi qua ! – comandò Don Carmelo, più per scaricare l’incazzatura che per altro. Mico sorrise, disattese, e se la svignò, sparendo dietro la porta che separava l’altro vagone, col ghigno raggiante per aver fatto prendere uno spaghetto al padre.
- Pezzo di ‘ndegno! Siedi qua ! – comandò Don Carmelo, più per scaricare l’incazzatura che per altro. Mico sorrise, disattese, e se la svignò, sparendo dietro la porta che separava l’altro vagone, col ghigno raggiante per aver fatto prendere uno spaghetto al padre.
Le quattro carrozze si mossero, venti minuti di corsa tra gallerie e affacci sul mare poi terrazzamenti dei vigneti, quindi Bagnara.
Mico era così e Don Carmelo lo conosceva bene, era un moto perpetuo, mai un attimo di pacatezza, e lui glielo ripeteva sempre:
- Mico! Tu quandu no ccatti pattiji! –
Già, aveva sempre qualcosa da inventarsi, non stava paru ‘i nuja manera.
Erano appena andati via i primi dieci minuti di viaggio e Don Carmelo si era rasserenato.
Mico non si era ancora fatto vedere e suo padre, nonostante pensasse che fosse mosso dall’artetica, lo riteneva capace di guardarsi dai mali pericoli. Con benevolenza paterna accoglieva i suoi eccessi e molto spesso li benediva, specie quando erano rivolti ad altri.
Don Carmelo alzò gli occhi, la porta che separava i due vagoni si aprì, comparve Mico, il volto meno sorridente del solito e alle spalle il controllore. I passi, condizionati dall’andamento del treno, erano malfermi. Don Carmelo buttò lo sguardo dal corridoio e incrociò quello di Mico, lui non fece accenno né sorrise e quando fu a pochi passi da suo padre gli chiese ad alta voce:
- Don Carmelo! Vidistivu a me patri!
Fu in un attimo che capì che Micu l’aveva combinata grossa, intuì che non aveva fatto i biglietti per tenersi i soldi. Solo chi conosce la natura del burlone è in grado di individuare e annusare i suoi simili; e così Don Carmelo senza scomporsi e senza perdere la calma bastante rispose:
- Tuo padre? E’ avanti ! Avanti ! – facendo segno con la mano di scorrere, di andare oltre, e quando fu vicino a lui, lo raggelò con gli occhi; Mico non si scompose, fece un sottile sorriso e proseguì, seguito dal controllore, nella ricerca di quel padre degenere, per farsi dare e punzonare quei biglietti che lui non aveva mai comprato.
Di quel padre che ora pensava seriamente “Cu simina spini non poti caminari a scaza!”