venerdì 23 ottobre 2015

La penna del Greco: DUE BIGLIETTI PER BAGNARA…

di Nino Greco
  La vis  bagnarota della burla trapiantata sull'Aspromonte e i suoi effetti inattesi di  nemesi familiare: un altro inedito da gustare tutto d'un fiato...(B.D.)
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    Don Carmelo si era trasferito con tutta la famiglia, il Ministero della Giustizia gli aveva assegnato come sede di lavoro la Pretura di Oppido e aveva lasciato così Bagnara. Non era stato facile abbandonare le rive della Costa Viola; quel mare superbo e la sponda calabra di quello scorcio di mondo che da sempre porta in grembo il mito della Fata Morgana, ma tanto era: doveva seguire il corso della carriera e rimanere aggrappato a quel lavoro d’impiegato. Pane sicuro per lui, per la moglie e per la nidiata di figli. Ne contava nove, venuti al mondo in rapida sequenza. Solo il tempo della sterilità naturale segnava il passo e la differenza di età tra loro. Tutti maschi, tranne la penultima. Quando poteva, sgravava la moglie dal baliamento e si portava con sè qualcuno dei pargoli, perlopiù nelle ore vespertine, quando con altri amici si beava del tempo dell’ozio in libera goliardia, seduto in Piazza grande ai tavoli del Bar Sella o in Piazzetta sotto la magnolia o davanti al Bar Feis.
    Indole all’apparenza controllata, mai una sgarbatezza, sempre cordiale e con un filo di sorriso disegnato sulle labbra; tantoché quando parlava o raccontava qualche aneddoto, non appariva chiaro se stesse o meno cugghjuniandu. Il tono amabile e l’eleganza delle narrazioni lo rendevano sempre attendibile. Lui ne abusava e spesso si beffava di tutti.
   Sì, tutti. Non esisteva limitazione.
   Il gusto era proprio questo: un’occasione di coglionella non poteva essere sprecata per eccesso di riguardo alla probabile vittima, era una condizione che sdegnava. Quando c’era da beffeggiare era da fare e basta, senza remore e senza riguardi per nessuno.
    L’aria che si respirava intorno a lui era quindi goliardica, carica di leggerezza e foriera di carrette.
   Così i figli crescevano all’ombra delle sue goduriose trame; specie Mico e Benito, i più presenti alle sue sortite di piazza, i due più grandi e i più scavezzacollo dei nove. Anche loro, ormai, iniziavano a mostrare senza ritegno i tratti di burloni e sulla scia di cotanto genitore non potevano palesarsi altrimenti; sicché, quando capitava, non si tiravano indietro se nella rizza ci doveva finire anche il padre.
    Nei loro tratti ereditari (s’intende in padre e figli) spiccava la voglia di vivere quel sogghigno di traccia selvatica, come la iena che sa della sua vittima e mostra i denti con la classica risata impietosa, volendo cogliere nello sguardo della stessa l’effetto della carretta o della cugghjunella; provando, nello stesso momento, il piacere di sbandierare la paternità della beffa.
    Era così Don Carmelo. Crescevano così anche i suoi figli. 
    Di tanto in tanto andava Bagnara; là, in quelle costere, destre di suli e mamme di zibibbo, in quei terrazzi caldi come culle per viti e grappoli saturi di tinta oro come solo settembre sa ritoccare vivevano gli anziani genitori e lui sia per dovere filiale sia per l’affetto che lo legava al paese, ci tornava spesso. 
    Una calda mattina di giugnettu Don Carmelo salì su l’autobus che portava a Gioia Tauro e si sedette accanto a un suo amico nei due posti dietro l’autista; suo figlio Mico invece si era subito messo all’opera ciondolando su e giù per il corridoio del bus a ‘nzurtari a destra e manca quei pochi passeggeri che come loro dovevano andare a Gioia Tauro. 
   Erano passati più di venti giorni dall’ultima volta che si era recato a Bagnara e quella mattina aveva deciso di portare con sé il figlio. La scuola era finita da un pezzo e lasciarlo, da spatagiacca, a zonzo per il paese sarebbe stato un azzardo. Mico ormai non stava paru i nuja manera, era nello sviluppu e attingeva a piene mani da ciò che il padre in quegli anni gli aveva mostrato senza lesinare: scherzi, burle e canzonature.
    Dopo quasi un'ora di tornanti, discese e rettifili, dopo aver fatto scalo a Messignadi e Varapodi, passando per Amato, il pullman si fermò davanti alla stazione di Gioia. Scesero tutti.
    Don Carmelo aveva chiacchierato per tutto il viaggio e si stava intrattenendo ancora col suo amico; il treno locale per Reggio sarebbe passato dopo venti minuti e c’era tutto il tempo per finire la chiacchiera e per bere anche un caffè. Si avviarono verso il Bar Stazione.
- Due caffè – ordinò Don Carmelo
-Mico ! Vuoi i biscotti o le cingomme? – domandò ancora al figlio che già stava smaniando dentro e fuori dalla porta del bar.
- Le cingomme !– rispose Mico
    Il barman/proprietario del bar diede le cingomme a Mico e servì i due caffè con lo stesso taglio di pigrizia con cui si era scervellato a cercare il nome per il suo bar.
   I due amici stavano ancora sorseggiando quello che sembrava più un surrogato che un caffè, quando Mico tirò per la giacca suo padre e disse:
- Papà, per fare prima, dammi i soldi, vado a fare i biglietti!
    A Don Carmelo parve una cosa di buon senso, anche se arrivava dalla bocca di Mico: lui avrebbe potuto continuare a scambiare le ultime chiacchiere con l’amico mentre il figlio avrebbe fatto la fila in biglietteria.
    Tirò fuori dal portafoglio cinquecento lire e disse:
- Fatti fare due biglietti per Bagnara, due costano trecento lire! Mi raccomando non sbagliare a chiedere.
- Papà, posso tenere il resto?- chiese Mico, con ammicco scaltro.
   Don Carmelo, preso ancora dal discorso col suo amico, con un cenno assentì più per tacitarlo che per altro.
    Mico corse verso la biglietteria e sparì dietro un nugolo di persone intente a scaricare bagagli.
    Una voce rauca lanciata dell’altoparlante annunciò:
   “ Allontanarsi dal terzo binario è in arrivo il treno proveniente da Lamezia diretto a Reggio Calabria, ferma a: Palmi, Bagnara, Villa San Giovanni “.
    Era un treno che arrivava dal Nord, a Lamezia una parte di carrozze veniva staccata, con deviazione verso Roccella Jonica, le carrozze rimanenti diventavano treno locale, della parte tirrenica, fino a Reggio Calabria.
    Mico sembrava fosse sparito, Don Carmelo con occhi lesti lo cercò in ogni dove, il treno era ormai fermo e del figlio non si scorgeva nemmeno l’ombra. Raramente si faceva cogliere dalla preoccupazione, ma in quel momento era preda di un forte stato di agitazione; e poi, quel disgraziato aveva con sé anche i biglietti!
    “Chi testa di rovaci! “ imprecava sottovoce e incazzato. Si era già pentito di esserselo portato dietro.
    Mentre meditava queste considerazioni, condite con qualche inenarrabile e strozzata bestemmia, udì:
- Papà ! Papà ! - Urlò Mico, mentre, sorridendo, si sporgeva da un finestrino del treno. 
  Lo vide, lo folgorò con lo sguardo e si appressò a salire anch’egli. Trovò posto e mentre si stava per accomodare, giunse Mico.
  - Pezzo di ‘ndegno! Siedi qua ! – comandò Don Carmelo, più per scaricare l’incazzatura che per altro. Mico sorrise, disattese, e se la svignò, sparendo dietro la porta che separava l’altro vagone, col ghigno raggiante per aver fatto prendere uno spaghetto al padre. 

   Le quattro carrozze si mossero, venti minuti di corsa tra gallerie e affacci sul mare poi terrazzamenti dei vigneti, quindi Bagnara.
    Mico era così e Don Carmelo lo conosceva bene, era un moto perpetuo, mai un attimo di pacatezza, e lui glielo ripeteva sempre:
- Mico! Tu quandu no ccatti pattiji! –
   Già, aveva sempre qualcosa da inventarsi, non stava paru ‘i nuja manera.
   Erano appena andati via i primi dieci minuti di viaggio e Don Carmelo si era rasserenato.
    Mico non si era ancora fatto vedere e suo padre, nonostante pensasse che fosse mosso dall’artetica, lo riteneva capace di guardarsi dai mali pericoli. Con benevolenza paterna accoglieva i suoi eccessi e molto spesso li benediva, specie quando erano rivolti ad altri.
   Don Carmelo alzò gli occhi, la porta che separava i due vagoni si aprì, comparve Mico, il volto meno sorridente del solito e alle spalle il controllore. I passi, condizionati dall’andamento del treno, erano malfermi. Don Carmelo buttò lo sguardo dal corridoio e incrociò quello di Mico, lui non fece accenno né sorrise e quando fu a pochi passi da suo padre gli chiese ad alta voce:
- Don Carmelo! Vidistivu a me patri!
   Fu in un attimo che capì che Micu l’aveva combinata grossa, intuì che non aveva fatto i biglietti per tenersi i soldi. Solo chi conosce la natura del burlone è in grado di individuare e annusare i suoi simili; e così Don Carmelo senza scomporsi e senza perdere la calma bastante rispose:
- Tuo padre? E’ avanti ! Avanti ! – facendo segno con la mano di scorrere, di andare oltre, e quando fu vicino a lui, lo raggelò con gli occhi; Mico non si scompose, fece un sottile sorriso e proseguì, seguito dal controllore, nella ricerca di quel padre degenere, per farsi dare e punzonare quei biglietti che lui non aveva mai comprato. 
   Di quel padre che ora pensava seriamente “Cu simina spini non poti caminari a scaza!”