Non so se sia un caso, ma anche questo 11 giugno 2025 ci si stupisce che ricorrano insieme l’ anniversario della morte di Enrico Berlinguer (il quarantunesimo) e quello dell’uccisione di Peppe Valerioti (il quarantacinquesimo), ma è certo che anche queste coincidenze, questi tasselli dimenticati della storia vanno incastonati al posto giusto per poterne cogliere le mille sfaccettature e per poter comprendere che ogni evento non è affatto casuale. Di Peppe Valarioti, mio collega di studi ed amico indimenticato, ho già scritto una pagina rievocativa su questo blog qualche tempo fa, ma stavolta è Maria Lombardo che si occupa doverosamente di ricordarlo ancora ai giovani calabresi di buona volontà, cioè a coloro che non hanno traguardi di partito e di cariche da guadagnare, ma solo il desiderio puro di raccontare alle nuove leve distratte di questa terra quanto faticoso e drammatico sia stato l'affrancamento (almeno parziale) dalla servitù dai poteri oscuri (Bruno Demasi).
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La sua vicenda umana e polittica si svolge in anni molto particolari, quando la Piana viene irrorata di fiumi di denaro: il pacchetto Colombo, il Quinto Polo Siderurgico, ennesima cattedrale nel deserto, favorendo così la crescita delle’ndrine che aumentavano i loro introiti e il potere. Il Governo in quel periodo asseriva di voler creare 7500 posti di lavoro in Calabria, le risposte dello Stato però tardavano ad arrivare e alla voce del popolo stanco e affamato si unì anche quella di Peppe, un fine intellettuale, con la passione per l’archeologia che, assieme a Natale Pagano e Lellè Solano, aveva contribuito a rinvenire i pezzi più belli della grecità medmea, convinto che l’impegno politico fosse prerogativa fondamentale dell’uomo di cultura e che l’impegno antimafia fosse a sua volta il fine e l’inizio dell’attività politica.

Insegnava dei valori, Peppe, quelli che probabilmente oggi non si insegnano più nelle scuole, neanche attraverso le danarose manifestazioni pro legalità o le piogge sovrabbondanti di denaro del Pnnr. Era l'epoca in cui il movimento antimafia in Calabria cominciava a far paura quando asseriva con forza che valori inalienabili come la casa, la scuola ed un salario erano un diritto e non un favore da chiedere. E Valerioti non esitava ad alzare chiara e forte la propria voce in nome di questi ideali.
La notte tra il 10 e l’11 giugno dell ’80 stava celebrando con i compagni di partito una vittoria politica dopo una campagna elettorale infuocata . La linea scelta da Valarioti a quelle elezioni era stata premiata dopo essersi speso a viso aperto contro i mille soprusi che viveva quotidianamente persino nel quartiere di Rosarno in cui viveva., senza scorta e senza spalle istituzionali, lasciato solo dallo Stato. Viene ucciso all’uscita da un ristorante dopo una serata trascorsa a festeggiare insieme ai compagni mentre lascia il locale e raggiunge la sua auto per fare ritorno a casa. Si sentono i colpi di lupara, tutti corrono al suo capezzale. Morirà tra le braccia di Giuseppe Lavorato, che poi diventerà sindaco di Rosarno. «Mi spararu, mi spararu» sussurrò Peppe.
E’ stato il primo omicidio politico in Calabria, una sorta di battesimo di sangue per un rampante politico attento ai diritti di braccianti, studenti e, perchè no, allo sviluppo socio culturale della Piana dove il crimine manteneva pieni e quasi esclusivi diritti. La politica di Valarioti era un impegno quotidiano, consapevole che da qualche anno la ‘ndrangheta aveva iniziato a estendere le sue sottili infiltrazioni nel mondo delle istituzioni, cercando in ogni modo possibile contatti col potere, quello marcio, quello della politica che si svende ed è svenduta
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Non era certo quella la politica per Valarioti: dovunque ci fossero possibilità e volontà, per la ‘ndrangheta, di sottrarre il presente alla Calabria egli cercava di opporsi. Lo faceva anche tra i suoi perchè, secondo lui, c’erano “ troppi compagni distratti, troppo”. Erano gli anni di Enrico Berlinguer, dell’austerità e della questione morale. Anche per Valarioti bisognava avere le “mani pulite”, più pulite degli altri e a quel tempo un minimo “sgarro” o ruberia era penalizzato fortemente dal partito: altri tempi!.
Questa è verità storica, ma non giudiziaria, come documentano Danilo Chirico e Alessio Magro nel loro libro edito da Round Robin “Il Caso Valarioti". Al delitto seguirono moltissimi anni di processi senza però arrivare a una conclusione chiara. Il caso Valarioti è così forse destinato all’oblio. Un caso presto chiuso infatti, ma che non resterà mai tale per le migliaia di Calabresi onesti e intransigenti che ancora ricordano e ricorderanno!
Maria Lombardo