venerdì 5 luglio 2013

MA C'E' ANCORA NELLA PIANA CHI CREDE CHE LA MAFIA CREI LAVORO E DISTRIBUISCA RICCHEZZA?

di Bruno Demasi
    Se il latifondo, come affermava il grande vescovo Peruzzo, cui qualche tempo fa ho dedicato un post in questo piccolo diario, era una vera e voracissima "struttura di peccato", come dovrebbe essere definita la diffusa mentalità anticristiana che ancora vige dalle nostre parti, secondo cui, in mancanza di interventi statali e istituzionali, la ndrangheta rimarrebbe l'unica, o una delle pochissime, organizzazioni parallele in grado di creare lavoro e distribuire ricchezza?
     Occorre  uscire da questo inganno, ricredersi, e  al più presto!
  Ci aiutano due eventi di oggi che fanno tornare imperiosamente alla ribalta questo tema rovente: lo scioglimento del comune di Taurianova " per infiltrazioni mafiose" (la terza edizione...!) e il bel servizio che sul Sole 24 Ore ha curato  Roberto Galullo, cui affido la traccia per le mie riflessioni e per quelle dei quattro amici che seguono questo diario.


    "Forse quei pochi che ancora credono che la mafia crea lavoro e distribuisce ricchezza non crederanno al fatto che, ogni anno, la ‘ndrangheta deprime il Pil della Calabria del 3,5 per cento. In soldoni, una mancata crescita economica di 1,2 miliardi.Per chi fosse affamato di paragoni, basti dire che il Por Calabria per il periodo 2007/2013 è poco più del doppio. ..

     In sintesi, ciò che ancora emerge è che le attività criminali dell'usura e del racket colpirebbero oltre 40
mila commercianti e operatori economici. Inequivocabile il sentiment degli imprenditori contattati da Demoskopika, l'Istituto al quale è stata affidata la ricerca statistica (campione di 400 imprese intervistato tra gennaio e febbraio 2013 con il metodo di rilevazione Cati): il 38,5% non si sente assolutamente al sicuro, il 18,5% indica estorsioni ed usura tra i principali reati subiti, 1 su 3 è convinto che senza ‘ndrine il fatturato potrebbe crescere tra il 5% ed oltre il 20%.

     Infine, il 74,9% ribadisce la volontà di non arrendersi. Quest'ultimo è un segnale di grande speranza che dà ossigeno a tutti gli imprenditori e operatori economici. Il capo della Procura di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ancora pochi giorni fa ha ricordato che la denuncia – non isolata ma collettiva, che magari può passare attraverso le associazioni di categoria a partire da Confindustria – è l'unica via per battere la violenza delle cosche. E – come testimoniano anche le storie raccontate in "Ora Legale" ogni giovedì su www.ilsole24ore.com – gli imprenditori che in Calabria si fanno coraggio non sono più casi isolati.


La percezione.

     La ‘ndrangheta viene percepita da tutti come una componente "normale", una forza talmente radicata e diffusa in alcune zone, da creare una sorta di assuefazione che condiziona le percezioni degli stessi imprenditori. Al contempo rappresenta un ostacolo allo sviluppo sociale ed economico del territorio ma sul versante sociale genera il consenso di pochi e l'acquiescenza di molti.
«Queste trasformazioni – raccontano i due autori - finiscono per avvicinare alla criminalità organizzata strati sempre più ampi di popolazione che, pur non appartenendo a famiglie mafiose e non volendo condividere nulla degli affari dei boss, sono in qualche modo condizionati da una presenza che trae la sua forza dalla capacità di esercitare un capillare controllo del territorio». 



Senso di insicurezza.

      Quasi quattro intervistati su dieci (il 38,5%) non si sentono al sicuro a causa dell'elevata diffusione delle attività criminali. Se a questi aggiungiamo il 35,1% di quanti sentendosi abbastanza sicuri fanno comunque rilevare che le attività criminali sono evidenti anche se piuttosto rare, si arriva al totale del 73,6% imprenditori che non si sente al sicuro. Usura ed estorsioni..Per il 70% degli intervistati le aziende calabresi sono vittime di vessazioni, imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (23,6%), estorsioni ed usura (18,5%), danneggiamenti (7,7%) sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati, denuncia forme alternative di controllo della criminalità sul sistema delle imprese quali imposizioni di manodopera, forniture e merci, attentati dinamitardi. Secondo le stime dell'istituto Demoskopika, in Calabria racket e usura colpirebbero oltre 40 mila commercianti e operatori economici.


Effetti perversi.

      Un imprenditore su tre (il 33,4%) dichiara che il fatturato aziendale sarebbe più alto se potesse svolgere la propria attività in un contesto territoriale più sicuro e libero dai tentacoli della criminalità organizzata. Il 13,6% del campione stima che la crescita potrebbe essere addirittura del «20% e oltre» rispetto ai valori congiunturali, il 9,3% ritiene che ci potrebbe essere un incremento almeno del 10%, mentre il 10,5% calcola che potrebbe aumentare del 5%. Maggiori, infine, le percentuali, il 43,7%, di quanti fanno sapere che la criminalità non costituisce una reale e grave causa ostativa alla crescita del proprio giro di affari a cui si aggiunge il 22,9% di chi preferisce non rispondere o di non sapere o di non voler fornire alcuna stima o valutazione.


Le azioni di contrasto.

Aggiungi didascalia
     Ciò che gli operatori economici chiedono a gran voce è una maggiore presenza e un più capillare presidio del territorio da parte dello Stato (lo rileva un imprenditore su due a rilevarlo). Da non trascurare una maggiore solidarietà tra colleghi imprenditori (7,4%) e una maggiore attenzione accompagnata, se possibile, da interventi più mirati da parte della associazioni di categoria (6,3%). Minori le percentuali, infine, di chi pensa che il rischio di subire azioni criminali si potrebbe contrastare attraverso l'impiego di moderni e sofisticati sistemi di sicurezza e di vigilanza privata, (5,5%) o con sistemi e premi assicurativi ad hoc di copertura ai reati criminali (3,9%).


Non arrendersi mai.

    La ‘ndrangheta in Calabria (e non solo) si respira ma l'analisi apre uno squarcio di speranza perché la quasi totalità degli imprenditori e dei commercianti calabresi intervistati (74,9%) non sembra intimidita, mostra fermezza e ribadisce la volontà di non arrendersi e di continuare a lavorare nella propria terra, non considerando, dunque, nemmeno lontanamente l'idea di trasferire o chiudere la propria attività. Ad ogni modo, deve far comunque riflettere che un 13,3% del campione degli imprenditori intervistati ha deciso di trasferirsi o di chiudere definitivamente la propria attività (3,2%) o che sta considerando l'ipotesi di lasciare la Calabria e iniziare altrove l'attività o farla cessare (10,1%)".