sabato 30 marzo 2024

LA PASQUA DIMENTICATA DELLA CALABRIA BIZANTINA ( di Bruno Demasi)


   Non è una favola, anche se ne ha la suggestione: la grande tradizione pasquale bizantina ha  impregnato di sé tante delle nostre contrade calabresi permeandole di struggenti rievocazioni della Passione e della Resurrezione e riempiendole di contenuti culturali che hanno lasciato il segno. Erano liturgie sontuose, fisse nel tempo, mai improvvisate, che hanno risuonato a lungo nelle chiese e soprattutto nei monasteri della Calabria bizantina nei quali i riti pasquali raggiungevano il massimo del loro splendore e del loro pathos. Per averne una sia pur pallida idea oggi avremmo qualche possibilità recandoci nel monastero di S.Elia e Filarete di Seminara o, forse di più, nel monastero di San Giovanni il Mietìtore (Theristis) a Bivongi dove ancora vivono i monaci aghioriti che l’hanno fondato provenendo direttamente dal Monte Athos. Quello di San Giovanni a Bivongi è un monastero unico in Calabria, anzi in Italia, che conserva non solo nella tradizione e nella dottrina, ma persino nelle sfumature e nelle suggestioni liturgiche, tutto ciò che è stato il rito greco nelle diocesi bizantine, come Oppido e Reggio, e che tanta civiltà ha fecondato e cullato in questa terra. 

    Come oggi per noi , anche ieri la sontuosa Pasqua bizantina rappresentava l’acme dell’intero percorso liturgico annuale: “la” festa, madre di tutte le altre feste dal momento che l’intero anno liturgico nel mondo greco è ed era completamente proiettato verso la Pasqua e contemporaneamente da questa festa traeva il suo inizio ciclico. La grande vittoria di Cristo sulla morte per i cristiani d’Oriente ieri, come oggi, era ed è motivo concreto di grandissima gioia per tutti, non solo una ricorrenza, non solo qualcosa di simbolico. Addirittura le settimane di Quaresima avevano ed hanno inizio il lunedi, per poi cambiare repentinamente ed iniziare dalla domenica , a partire appunto dalla Pasqua.
                                                           
  E dalla domenica prendevano inizio anche i cicli delle letture bibliche e degli otto toni, cioè gli otto modi musicali che commentavano e sottolineavano le parole della liturgia, dando ad esse un carattere che la semplice lettura non potrebbe mai rendere. Di tutti i modi musicali possibili la Chiesa bizantina, anche in Occidente, ne aveva scelti otto, ancora oggi usati nei monasteri di tradizione orientale, per la loro capacità di sollevare l'animo verso la contemplazione delle realtà celebrate.

    La dirompente gioia pasquale, che riempiva davvero i cuori  semplici di tutta la gente, si rendeva visibile nelle contrade del nostro territorio medinte vari segni e simbologie presenti nelle prescrizioni e nelle tradizioni liturgiche in uso  prima dell’abolizione del rito greco:

· Ogni momento della liturgia pasquale era scandito da testi esclusivamente cantati e proclamati in maniera gioiosa e solenne;

· La gente aspettava la profonda e commovente catechesi di San Giovanni Crisostomo che, senza alcuna improvvisazione,  apriva la festa e veniva letta con tono solenne dal sacerdote e che, sebbene fosse ripetuta ogni anno, era ansiosamente attesa dal popolo perché ribadiva la Misericordia del Signore pronto ad accogliere anche l’ultimo dei poveri nel banchetto della fede con tutte le sue succulente vivande. Una catechesi che ribadiva  che con la Pasqua la morte non doveva essere più temuta poerchè era stata sconfitta per sempre dalla gloria di Cristo;

· Esattamente a mezzanotte iniziava la processione e tutti i fedeli, recando in mano una candela accesa, confezionata con cura e sacrificio con la cera fornita loro dalle api allevate in grande quantità, giravano intorno alla chiesa o al monastero, mentre all’interno venivano accese tutte le candele possibili e si iniziava a bruciare una gran quantità di profumatissimo incenso;

· Si spalancavano le tre porte dell’iconostasi, la parete di legno decorata dallo splendore di mille icone, che divideva la parte sacra riservata ai sacerdoti da quella destinata ai fedeli, e le stesse rimanevano aperte fino al sabato successivo, simboleggiando che la resurrezione di Cristo rende tutti uguali

· L’icona pasquale, elaborata secondi gli stilemi dell’icona originaria conservata in un monastero del Monte Arhos ( rappresentava il Cristo vittorioso sulla morte,  che, porgendogli la mano, riaccoglie nel suo regno di gloria Adamo, mentre Eva rimane ancora in attesa di essere chiamata. Dietro questa scena , ordinati in due gruppi, i giusti dell’ Antico Testamento) veniva esposta la notte di Pasqua e vi restava per quaranta giorni;

· La Resurrezione , culmine della fede, veniva celebrata gioiosamente attraverso la lettura e il canto dello Stichirà, un testo liturgico e poetico risalente al VI secolo nel quale la gioia pasquale veniva cantata monodicamente ribadendo il perdono fraterno e i passaggi più salienti delle vibranti omelie pasquali di Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo;

· La celebrazione eucaristica aveva le proprie specifiche  antifone e, nel canto solenne,  il Vangelo veniva proclamato in varie lingue per significare la gioia universale scaturente dalla Resurrezione;

· Il saluto pasquale: Christos anesti! Alitos anesti! che reiterava all’infinito la Resurrezione di Cristo, si udiva sulle bocche di tutti non solo all’interno della chiesa, ma anche come semplice saluto per le strade. 

                                           
           

     Una gioia sovrumana caratterizzava la vita di tutti durante il periodo pasquale e veniva additata ad esempio la Madonna , cui venivano elevati inni dolcissimi e odi solenni che ne celebravano la santa e divina maternità dopo il travaglio penoso della Passione riecheggiato nel celebre canto O gliki mou ear. (O dolce figlio) rimusicato in tempi moderni e portato alla ribalta internazionale dal grande Vangelis e dalla voce sublime di Irene Papas.