domenica 2 aprile 2023

Memoires : IL SALONE DELLA CATTEDRALE DI OPPIDO MAMERTINA ( di Rocco Liberti)

     Quando l'habitus di Storico rigoroso, pur senza rinunciare mai ai canoni della documentazione attenta e  non approssimativa, si rimodula con la vena della narrazione e del ricordo , nascono pagine pregiate e avvincenti come questa, che ti viene voglia di leggere d'un fiato. E non tanto perchè sei Oppidese , quanto perchè Rocco Liberti riesce attraverso un racconto lieve e commosso a ridelineare i caratteri di un'epoca assolutamente fertile non solo per la Città, sede di antichissima diocesi, bensì per un intero contesto territoriale aspromontano povero, ma proiettato con decisione e ottimismo verso il progresso.

    Gli stessi uomini di Chiesa, protagonisti eccellenti di questo originale racconto storico, primo fra tutti il troppo presto e troppo a lungo dimenticato vescovo Canino, appaiono davvero artefici di una pedagogia sociale , oltre che spirituale, davvero grandiosa pur nei limiti imposti dalle ristrettezze dei tempi.

    Ci si augura che a questa felice narrazione in prima persona e in presa diretta possano aggiungersene altre, che sicuramente torneranno più che gradite a tanti. (Bruno Demasi)

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   Il 25 marzo 2023 il salone della cattedrale, al giorno d’oggi ribattezzato salone della Comunità, nato dall’intraprendenza del vescovo Nicola Canino in pieno secondo conflitto mondiale, ha vissuto un’ulteriore occasione di esaltazione a motivo dell’inaugurazione degli stemmi dei presuli, certi e meno certi, che hanno guidato la diocesi dalla presumibile origine nel sec. XI insino ai nostri giorni. I singoli emblemi sono stati artisticamente eseguiti sulle pareti dal pittore Francesco Settineri di Scido, che si è affidato opportunamente alle documentazioni e agli scritti esistenti. Sicuramente, il lavoro viene egregiamente a completare una struttura degna del nome, ma è lecito sperare che si ripristinino all’intutto le opere volute dal vescovo originario di Albi e finite in malora per svariate cause.

Mons. Nicola Canino

   Mi trovavo nell’età infantile quando partivano i lavori per il completamento dell’imponente fabbricato. Si trattava allora di un vecchio edificio dalle mura tutte screpolate e senza intonaco e con all’interno ponteggi e materiale di vario uso. A rasentarlo inizialmente per arrivare lassù verso il grande cortile è stato proprio un caso. Ci stavamo divertendo con dei compagni a rotolarci, e non dico come, da un ammasso di terriccio che si trovava accosto al palazzo Grillo, un residuo di mattoni e calcina originatosi dalla recente ricostruzione del maggior tempio, allorquando da un malconcio cancello si è presentato un seminarista tutto rosso e premuroso (d. Antonino Pignataro) che ci ha indotti con insistenza a varcarlo. Non so come, io, Ciccio Palumbo mio vicino di casa e molto più avanti in età di me e altri, vi abbiamo pur con un certo timore aderito. Non l’avessimo mai fatto! Attirati da un continuo vociare, siamo pervenuti alfine in un esteso spazio aperto. E che ci appare! Nugoli di monelli si contendevano una giostra in ferro e due altalene in legno mentre altri risultavano impegnati in giochi di gruppo disperdendosi per il vasto slargo. Che potevamo opporre? Ci siamo subito tuffati in quel paese dei balocchi e abbiamo dimenticato chi eravamo e da dove venivamo. D’altronde, avevamo un’età che oscillava tra i 7 e gli 8 anni! I nostri familiari, non vedendoci rientrare all’ora solita e non trovandoci di qua e di là, si sono spinti nelle campagne circostanti, macchè! Ci eravamo come volatilizzati. Meno male che qualcuno che aveva notato la cosa ha suggerito: Ma siete andati a cercare al Seminario? L’intervento è stato provvidenziale e quando siamo stati beccati e condotti a casa non dico qual è stato il risultato finale! 

    Le busse sono state dimenticate presto. Da quel momento però nelle domeniche il Seminario è diventato la mèta preferita. A parte il divertimento fisico, ci si offriva dell’altro. C’era il cinema! E chi se lo sarebbe sognato? Pure se per ottenere quello cui ambivamo faceva d’uopo sottoporsi a degli impegni alquanto noiosi, ne valeva la pena! Nel primo pomeriggio si accedeva al cortile e i trastulli s’intrecciavano in svariate maniere. Non rientrava in essi il pallone. Arriverà più tardi. Il vescovo era nettamente contrario alle partite di calcio giocate da atleti in mutande. Tra i sacerdoti uno solo ardiva disobbedire agli ordini: il can. Armino, che sugli spalti del campo sportivo della Mamerto diventava uno scatenato tifoso e ad ogni gol scodellato nella porta avversaria agitava il largo cappello col caratteristico fiocco rosso. Più volte avvisato, non se n’è mai dato per inteso. Dopo esserci divertiti, ci si dirigeva a gruppi in salette distinte nei locali dell’Azione Cattolica e Curia, nei quali seminaristi più grandi d’età ci erudivano sui dettami della religione, ma particolarmente sulla storia sacra. Tra tanti Gianni Foti, lo stesso Pignataro, Carmelo Ragno appresso trasformatosi in don Luca Asprea, Cristofaro di Varapodio, Aricò di Molochio, Zappia in seguito abate. Ma a capo c’era il mitico “professori Violi”, viceparroco e delegato dell’Azione Cattolica, c’altri non era che d. Serafino, alla fine parroco di Castellace, per cui tutti i ragazzi stravedevano. Aveva egli una condotta particolare per accattivarsi la benevolenza dei piccoli. Figurarsi che per meglio farci comprendere le lezioni di catechismo, aveva una scatola di legno con dentro una lampada con la quale rifletteva su una parete le immagini fatte scorrere a necessità, sulle quali si soffermava contemporaneamente a spiegare. In tale guisa tutto si affissava ben impresso nella mente. Terminata la funzione catechistica, tuttavia ci attendeva altra abbastanza dolorosa. Dovevamo presenziare in cattedrale ai solenni Vespri seduti su banchi lignei, su cui si stava più che scomodi! Concluso il rito ci si conduceva nella sacrestia o sala capitolare e lì però ci aspettava altra sana distrazione.

  Mons. Canino, con aria professionale, ci proiettava delle filmine, come era consuetudine appellarle, che offrivano i capolavori del cinema muto, soprattutto quelli che avevano a protagonista Charlot o Ridolini. Che risate, che spasso! Il cinema era muto ma sopperiva lo stesso Canino, che commentava amabilmente il tutto. Ma non sempre comprendevamo le sue parole, anche perché vi si opponeva il vocìo espresso dalla massa. A lungo abbiamo creduto che il prepotente omaccio che minacciava sempre Charlot si chiamasse Bollimone e. come tale lo pronunziavamo. Probabilmente, nel commento egli diceva l’omone, ma come discernere in mezzo alle grida di una moltitudine che rideva a crepapelle! A proposito di Vespri ricordo un grave episodio sfociato alla fine in modo provvidenziale. Nel presbiterio si alternavano i canti di seminaristi e sacerdoti, dominante la voce possente dell’arciprete Tramontana, quando dalla gente che premeva agli amboni si è distaccato un noto ammalato di mente pericoloso per sé e per gli altri, T. S. e vi si è portato sopra cantando a squarciagola, naturalmente a modo suo e unendosi al coro. Tutti sono rimasti ammutoliti e nessuno reagiva né in bene né in male, immaginarsi noi bambini che lo avevamo di fronte. Provvidenziale è stato l’intervento del caritatevole arciprete di Tresilico, che, col suo saper fare, ha preso a braccetto il poveretto, l’ha calmato e lo ha condotto fino alla porta, dove è stato preso in custodia credo dai carabinieri e portato al più vicino manicomio, luogo dal quale non è più uscito.

   Oltre le domeniche, ci recavamo in seminario spesso e volentieri anche se la paura dei cani dell’ortolano del seminario, Pietro detto tabana (De Giorgio), ci faceva spesso arretrare. In una contingenza, eravamo nel 1942, ci trovavamo uno sparutissimo numero. A un tratto si è avvertito il rumore degli aerei nemici che sorvolavano il territorio e lo stridulo suono della sirena che dalla segheria Morizzi si diffondeva ad avvisare tutti a rientrare nelle case o ad andarsene in campagna. A un subito il vescovo e uno spaventatissimo canonico Armino con altri ci hanno condotto vicino all’altare del Santissimo quasi per un’estrema protezione. Il canonico quasi invasato si batteva il petto e impetrava benedizioni. Infine la guerra è finita e bisognava ricominciare. Anche al seminario! Il vescovo, sempre solerte, se n’è inventata più di una. Ultimato il salone, questo è stato al massimo dell’attenzione e la domenica ci siamo letteralmente giocati il paese. Dalle otto in poi ci si convogliava all’esterno, ma alle dieci inesorabilmente bisognava che ci si recasse in detto luogo onde ascoltare la S. Messa, detta la Messa dei fanciulli. Si assisteva a un vero e proprio pienone. Finita la Messa, di nuovo fuori. Intorno alle 12,30 ci si indirizzava verso un ampio refettorio onde consumare il pasto. L’Unrra e altri enti foraggiavano all’epoca gli ambienti ecclesiastici. Era davvero una manna del cielo! In tanti non so se si riuscisse a sbarcare discretamente il lunario! Erano tempi in cui la scarsezza di ogni derrata dominava sovrana. Finito il pranzo, via ad assistere ai Vespri, quindi di bel nuovo un premio, il cinema. Ma non basta! All’uscita i bambini dovevano procedere incolonnati. Il vescovo si piazzava sulla porta e ad ognuno che passava porgeva una consistente e morbida fetta di pane bianco con un pezzo di marmellata e una giumella di castagne infornate. Che goduria! Una volta Mico Caratozzolo ne ha fatta una delle sue. Al posto delle mani, gli ha messo davanti il basco che portava in testa. Il vescovo subito se n’è accorto e, apostrofandolo furbo, gli ha aumentato la dose.

 

  E veniamo al salone, che, completato, è divenuto centro d’interesse e per preti e per laici. Rammento benissimo le alte impalcature e ivi disteso sul dorso il pittore Domenico Mazzullo, cui era stato assegnato, credo, il compito di dipingere il soffitto o quanto meno di collaborare. Appena se ne discendeva per stendere un po’ le membra che, per la posizione, quasi quasi si anchilosavano, sembrava un sangialormu. Ho memoria anche del pittore di Pizzo, Diego Grillo, l’autore degli affreschi sulle pareti e in alto, stupenda l’immagine della cattedrale col campanile posticcio, ma riflettente quello distrutto in seguito ad alcune scosse sismiche! Nei momenti di riposo egli si aggirava in tuta grigia tra il salone e il prospiciente cortile. Se non mi tradiscono i ricordi era piuttosto piccoletto e ben piazzato. Completata la nuova opera, non è che i ragazzi siamo stati del tutto contenti. Quei diavoli e serpenti che dall’alto ci si proponevano non è che ci recassero piacere! Anzi! Avviati sin dalla più tenera età con fatterelli i cui protagonisti erano fate, maghe, ma anche diavoli, arcidiavoli et similia, nonché i cosiddetti “malispiriti”, che ci mettevano un sacro terrore, evitavamo per quanto possibile di osservarli. La massima trepidazione ce l’incuteva quello scheletro di donna vestita che abbiamo scherzosamente definito “l’ultima moda”. Al riguardo le critiche paesane non si sono contate. Il povero pittore ha dovuto esprimere di tutto anche in Seminario e in Curia, sia immagini che scritte d’ogni genere, ma col tempo ogni cosa è stata cancellata. Bene con tanti personaggi dell’entourage familiare e con qualche affresco, tipo quello con i diavoli che scappavano dai tetti delle case di Oppido, ma qualcuno, come l’epigrafe che tramandava la visita dell’allora principe Umberto sul finire del conflitto, poteva essere risparmiata. 

   Comunque sia, stante l’impegno costante del vescovo e dei sacerdoti si è dato inizio a un nuovo cammino. Escludendo le manifestazioni di carattere ecclesiale, nel teatrino realizzato a capo della sala, si à alternata tanta gioventù oppidese. In antecedenza si ovviava con la saletta del palazzo antico dove i seminaristi prendevano i pasti e che oggi è usato anche per raduni di altro genere. L’Azione Cattolica in Oppido era fiorente e i giovani accorrevano a larga maggioranza. Voglio dirla grossa: c’eravamo tutti. Accanto ad adunanze di catechismo e ad altri obblighi di tipo religioso, gli associati venivano coinvolti in molteplici attività. Primeggiava, è naturale il teatro e le recite allestite con entusiasmo dagli assistenti di turno richiamavano la cittadinanza quasi al completo. Sovente non c’era un posticino dove mettersi nemmeno all’impiedi. A confluire erano specialmente le donne. Queste non frequentavano il cinema locale per i continui moniti del vescovo Canino, ma anche perché la gente non era avvezza a certi comportamenti. Schiere di donne le potevi vedere solo nelle chiese durante le funzioni religiose o nelle processioni, ma in distanza ragguardevole dagli uomini. Un tipico frangente: a un certo momento il presule, a causa forse della confusione che si creava tra i banchi dei maschi e quelli delle femminucce, ha fatto piazzare un paravento tra i due gruppi. Ognuno di questi s’indirizzava al magico telone in atteggiamento indipendente e senza vedere cosa facesse l’altro. Il mondo andava così!

 

   A quante recite abbiamo assistito e quanta bella gioventù vi si è avvicendata! Nel primo dopoguerra, assistente don Violi, i big della scena, tra tanti, si qualificavano Mico Maruzza, Fausto Albano, Saro Donato, Ciccio Pignataro e Ciccio Morale, non rammento bene. Era quest’ultimo figlio di un maresciallo dei carabinieri in servizio a Oppido che, richiamato alle armi, era morto in guerra. I Morale sono rimasti a Oppido parecchio, ma, dopo la morte in giovanissima età di Ciccio, che manteneva la famiglia facendo scuola privata, sono andati subito via. Parecchio successo ha riscosso la recita de “I due sergenti”, che è stata replicata in più sequenze a furor di popolo. A don Violi, dopo alcuni passaggi, ha fatto seguito don Luigi Blefari, che ne ha ripercorso le orme. Tra tanti recite, nelle quali siamo stati cointeressati, ha avuto gran successo quella del “Pinocchio”, con protagonisti tra gli altri Turi Barbaro (Pinocchio) e Pino Palumbo (la fatina). Il povero canonico Armino stava sotto il pavimento col carico di reggere l’albero su cui sarebbe stato impiccato Pinocchio, ma che ti fanno dei birboni? Fingendo di sistemarlo a dovere mentre appendevano il burattino strattonavano di qua e di là. Fatto sta che a operazione compiuta, quando è uscito per così dire dalla tana, al povero sacerdote non restava che adagiarsi su una scala che stava per terra. Non era più capace di reggersi in piedi. Quanti episodi, quanti memorie!

   Perfino le suore dell’Orfanotrofio femminile sono venute a impegnarsi e organizzavano propri spettacolini, solo che nella preparazione eravamo dei discolacci e gliene combinavamo di tutti i colori. Alla fine anche loro hanno dato un buon apporto, ma non prima di officiare di volta in volta le prove in privato per il vescovo, che, parecchio esigente, non voleva fare brutte figure con la cittadinanza. Siamo stati affidati alle cure soprattutto di suor Eudosia, una buona madre, ma vi cooperava anche quella ch’era la monaca più nota, suor Giacinta, che a Oppido ha lasciato un ottimo ricordo.

   Il salone era anche a disposizione del Seminario e le recite offerte dagli alunni, grandi e piccoli, hanno sempre lasciato il segno. Alla guida c’era un sacerdote di vaglia, il can. D. Gaetano Cosentino, che guidava con polso fermo, ma che era attento alle novità. Erano sue le musiche fornite per il “Pinocchio”, canzoncine veramente deliziose che in tanti ricordavamo con nostalgìa, oggi forse solo io. Me ne gira qualcuna, come la serenata delle maschere. Qualche verso: 


Dormi e sogna Pinocchino
dormi e sogna burattino
ndrin ndrin ndrin
Zecchini splendidi
diamanti fulgidi son gli arboscelli
ma quando all’alba ti sveglierai
più lungo il naso ti troverai.

    Agli spettacoli regalatici dai seminaristi l’afflusso degli spettatori si rivelava maggiore perché ai residenti si sommavano i parenti degli stessi, che provenivano da vari paesi della diocesi. Ricordo una recita memorabile tra i cui protagonisti figuravano don Giannotta, don Tropeano e don Silvio Albanese. Sistemato con gli opportuni trucchi scenici quest’ultimo ha eseguito l’interpretazione magistrale di un diavolo. Da non dimenticare le magistrali operine allestite con personale femminile dalla signora Fanny Mancini, oriunda di Montepulciano, una virtuosa del pianoforte. 

     Si potrebbe dire ancora tanto di quel felice periodo, ma in verità la mente umana non solo non è in grado di registrare tutto, ma piano piano quanto accumulato tende a dilapidarlo in sequenza.

Rocco Liberti