giovedì 10 febbraio 2022

L’ADDIO AGLI ULIVI...

di Maria Rosa Surace



     La civiltà dell’ulivo nel territorio di quella che fu la Magna Grecia supera sicuramente gli angusti confini geografici per diventare una categoria esistenziale e l’attaccamento a queste piante antiche dalle nostre parti ha un che di sacro che non tutti possono comprendere appieno.
   Nel racconto breve di Maria Rosa Surace, intitolato “L’uliveto”, trovi però un’efficace chiave di lettura per capire la grandezza e il mistero di questo sovrumano attaccamento alla terra e all’albero sacro agli dei e agli uomini lungo la traiettoria dei secoli in queste terre abbandonate a se stesse , ma ricchissime e lussureggianti proprio per la presenza umilissima, ma imponente e nobile degli ulivi 
 
     Ho scelto di proporre qui un assaggio di questa esperienza narrativa di Maria Rosa Surace, non nuova alle prove letterarie ( basti ricordare il suo saggio di qualche anno fa dal titolo “ Il mistero del tempo” e le sue riflessioni nel “Tempo di meditare” in cui ha riversato sapientemente un mondo ricchissimo di affetti e di esperienze ) per presentare con commozione una più ampia raccolta di dodici “quadretti”, come li definisce l’Autrice, arrivata in queste settimane in libreria per i tipi di Rubbettino / Calabria Letteraria Editrice  e con il titolo  significativo di “Quadrno a...quadretti” che non solo allude al  respiro di questi racconti, ma anche a un universo di esperienze scolastiche e di docenza vissute con passione e rigore inusuali nelle nostre scuole secondarie per tanti decenni.
    E non si tratta, come erroneamente si potrebbe pensare, di scene di vita paesana e basta, bensì di “occasioni” attraverso le quali l’Autrice , partendo da descrizioni minimali di momenti, fatti e persone realmente esistiti, trae dei corollari esistenziali universali , mai stucchevoli e scontati, che lasciano il segno in chi legge sia per i loro contenuti inediti sia per la prosa pura e scorrevole alla quale ormai non si è più abituati...
    Novelle? Racconti brevi? Bozzetti? Direi parecchio di più: sulla scia della grande tradizione narrativa calabrese che in passato ha raggiunto il suo apice nei “Caratteri” di Mario La Cava. Maria Rosa Surace sa infatti coniugare in modo spontaneo e lieve, con maestrìa e rigore narrativi e descrittivi tutt’altro che consueti, molte verità che probabilmente abbiamo dimenticato nella foga delle nostre giornate oppresse da tanta comunicazione vuota  e da tanta letteratura commerciale stucchevole e priva di vita.(Bruno Demasi)


L’ADDIO AGLI ULIVI...

"    ...occorreva lavorare davvero tanto per riportare il tutto a un buon livello di fertilità:bisognava potare, dissodare, concimare e tanto altro ancora. Maria però non si scoraggiò affatto e si mise subito all’opera, con le sue braccia e l’aiuto di qualche contadino provetto, faticando costantemente tutto il giorno per mesi, trasformò completamente il suo uliveto in una terra ordinata, pulita, fertile.
     Riprese un rudere di cascina fino a farlo diventare un’accogliente “casetta” con dei vani abitabili, altri adibiti a deposito attrezzi agricoli, altri ancora a riparo delle olive accumulate dopo la raccolta. Accanto alla “casetta” fece costruire un piccolo pollaio...non distante dal pollaio coltivava un piccolo orto che nella bella stagione dava ottimi frutti. 

     Maria ogni giorno, con qualsiasi clima, era lì; quella terra era diventata il suo secondo figlio a cui dediucava cure costanti e amorevoli.
     Era molto orgogliosa della “sua” terra, del lavoro profuso, dei risultati ottenuti. Ed era finalmente venuto il tempo in cui Antonio poteva ritornare a casa (dall’Australia)....ma si schiantò con la moto contro un albero riportando ferite gravissime...
     Sopravvisse, ma camminava a stento e nelle braccia non c’era più l’energia di un tempo e..quando fece ritorno a casa, Maria provò una gioia immensa nel riabbracciarlo e nello stesso tempo una gran pena nel vederlo in quello stato. Era svanito tutto: la sua forza, il suo entusiasmo, la sua giovinezza...
     Maria intanto continuava da sola il suo lavoro nell’uliveto; c’era sempre da fare in tutte le stagioni; venivano a ciclo il tempo dell’aratura, quello della concimazione, quello della potatura e cosi via. L’attività più impegnativa era quella della raccolta delle olive: in una terra tanto ben curata i frutti erano abbondanti e di qualità.
    Maria governava tutto con grande perizia e soprattutto con grande passione.
    Ma gli anni passavano e tante cose andavano cambiando: il, figlio, ormai grande, aveva conseguito un buon titolo di studio e aveva deciso dio trasferirsi in città; Antonio stava sempre più male e aveva bisogno di cure costanti e assistenza sempre più assidua; lei stessa sentiva ogni giorno venirle meno le energie.
    Lentamenrte in famiglia si cominciò a prendere in considerazione l’idea di vendere l’uliveto.
   Fu facile trovare gli acquirenti: era un pezzo di terra d’oro e, dopo le inevitabili contrattazioni, si giunse a un accordo fra le parti.
   Non fu altrettanto facile accettare l’idea di dover vendere:per Maria quella era la “sua” terra; l’aveva acquistata con tanti sacrifici; era quasi costata la vita a suo marito. L’idea che altri se ne imposessassero le era insopportabile; il solo pensiero che potessero toccare i “suoi” alberi la sconvoplgeva, che potessero capovolgere l’assetto che lei aveva dato all’orto, alla casetta, a tutto il fondo la turbava moltissimo.
    Ma quello che le risultava più intollerabile era che lei lì non avrebbe potuto più mettere piede.
    Non si dava pace; si era chiusa in un sordo mutismo e per giorni non fece altro che girare per casa rabbiosamenmtre conme un animale in gabbia.

    La sera precedente al giorno fissato per la consegna delle chiavi, all’imbrunire uscì e raggiunse l’uliveto. Doveva salutare i suoi alberi, li doveva rivedere per l’ultima volta. Spinta da una forza sovrumana e da un incoercibile impulso, cominciò ad abbracciarli uno per uno, a toccarli, a carezzarli; sentiva che la linfa che scorreva in essi era fatta della stessa sostanza del suo sangue e continuava ad avvinghiarsi forte a loro come se volesse spremere tutto il sudore e le lacrime che erano costati. 
 
    All’improvviso venne giù una fitta piogfgia che le sferzava il viso mescolandosi alle lacrime che le sgorgavano irrefrenabili.
    Si levava intanto un forte vento che agitava i rami; questi, nel piegarsi, sembrava che volessero abbracciarla, mentre la terra, ghermendo i lembi della sua lunga veste, pareva attirarla a sè in una stretta tragica e struggente.
    Maria urlava follemente il suo dolore, ma il vento urlava ancora più forte e sembrava raccogliere il suo lamento per disperderlo nei campi, per diffonderlo dal suolo fin sulle vette delle montagne, nelle immensità del cielo, nelle profondità delle acque dei fiumi e del maree, negli spazi più lontani dove solo chi viveva o aveva vissuto le stesse pene di lei, il suo stesso tormento, poteva raccoglierlo ed intenderlo.

( Maria Rosa Surace: “L’uliveto” in “Quaderno a quadretti”, Rubbettino-Calabria Letteraria Editrice, Novembre 2021).