sabato 5 febbraio 2022

IL FLAGELLO DEL 5 FEBBRAIO 1783 CHE SEPPELLI' A OPPIDO ANCHE IL RICORDO DI UNA LITURGIA ANTICA DI SECOLI (di Bruno Demasi)

IL RITO ITALIO - BIZANTINO

     Ricorre oggi , sul filo del mezzogiorno, il duecentotrentanovesimo, tragico anniversario del terribile sisma del 5 febbraio 1783 che distrusse Oppido e dissestò l'intera provincia di Reggio Calabria. Delle immani perdite da esso provocate si è scritto e parlato a dismisura, ma c'è un ricordo, completamente cancellato dal Grande Flagello che a tanti è sfuggito. Quello del rito italo- bizantino, che la chiesa di Oppido, erede nobile di Hagia Agathè (Sant'Agata), continuava sporadicamente e quasi clandestinamente a celebrare in alcune occasioni dell'anno liturgico fin dall'abolizione del rito greco e anche nel tempo del tragico sconvolgimento che distrusse definitivamente la città aspromontana. Nella nuova Oppido non troviamo menzione degna di nota della ripresa di questo antico rito di cui si sono perrse le tracce quasi dovunque e per gustare il quale forse bisognerebbe andare nell' Abbazia grerca di Grottaferrata, l’unico luogo in cui si continui abitualmente a celebrare nel mondo occidentale quel rito “italo- bizantino” un tempo officiato anche nella chiesa antica di Hagia Agathè almeno dal X – XI secolo (Epoca gia certa di esistenza della chiesa diocesana, secondo quanto documentato dal Guillou) e almeno fino a buona parte della prima metà del XIV.
     Oggi, infatti, conclusione del processo di semplificazione e unificazione delle tradizioni liturgiche sul quale ha influito il Concilio di Trento e, in modo indiretto, anche il Vaticano II, nella Chiesa cattolica sono in vigore tre riti occidentali: romano, ambrosiano, mozarabico, e sette orientali: armeno, bizantino, copto, etiopico, siro-occidentale, siro-orientale, maronita. Quello bizantino è dunque uno dei dieci riti che, con maggiore o minore diffusione, sono ancora in vigore, ma, guarda caso è forse quello che conserva i maggiori legami storici e culturali con la nostra terra.
 
     Quell’Abbazia rappresenta infatti storicamente l'ultimo esempio della tradizione "Italiota". Essa nasce infatti per opera dei monaci basiliani dell'epoca bizantina dell'Italia Meridionale allontanatisi dalla Calabria in seguito alla invasioni arabe e la sua Liturgia segue il Typikòn del suo cofondatore S. Bartolomeo. Essa è nata come giurisdizione del Patriarcato Romano, prima dello scisma del 1054 cui non ha mai aderito. Se si eccettua il caso (non da tutti ritenuto storicamente certo) dei Maroniti ,essa rappresenta quindi l'unica giurisdizione di rito orientale che è sempre stata in comunione con il Papa che la definì una "perla orientale incastonata nella tiara pontificia" (Definizione di Leone XIII, ripresa da Paolo VI).
    Ci racconta la storia che nel 1004 un gruppo di monaci di rito italo- bizantino giungeva sui colli Tuscolani. Li guidava un santo asceta, desideroso di trovare un luogo per edificare un monastero. Era San Nilo , nato agli albori del X secolo a Rossano, in quella Calabria che in quel periodo era una provincia dell’Impero bizantino sotto la giurisdizione ecclesiastica del Patriarca di Costantinopoli.
    S.Nilo, discepolo di San Fantino, il santo che non a caso si venera ancora oggi come protettore a Lubrichi , aveva fondato alcuni monasteri in Calabria in Campania e nel Lazio. Tenuto in grande considerazione da principi, imperatori e Papi, per sfuggire agli onori era passato di luogo in luogo e ora si recava verso Roma per finire in pace in suoi giorni. Giunto sui colli tuscolani con i suoi monaci, il Santo ebbe in dono da Gregorio, conte del Tuscolo, i terreni su cui si ergevano i grandiosi ruderi di un’antica villa Romana. Qui si trovava anche un basso edificio in opus quadratum probabilmente adattato ad oratorio cristiano, che aveva una doppia grata di ferro ad ogni finestra per cui la localita’ circostante era detta Crypta Ferrata. La tradizione dice che nella cripta la Madre di Dio apparve ai Santi Nilo e Bartolomeo raccolti in preghiera chiedendo loro di edificare in quel luogo un santuario a Lei dedicato da cui avrebbe sparso le sue grazie. 
 

    San Nilo ,che mori’ poco dopo, il 26 Settembre 1004, portò dunque a Grottaferrata il rito bizantino-greco nella sua variante italica che tuttora si conserva.
   Nel secolo XI Bisanzio (Costantinopoli ormai) si separo’dalla Chiesa di Roma, attribuendosi il nome di Chiesa Ortodossa, ma la comunita’ di Grottaferrata restò sempre in comunione con la chiesa di Roma, pur conservando gelosamente il ritiro e le tradizioni orientali. Percio’ qualsiasi fedele cattolico puo’ partecipare alle celebrazioni che qui si svolgono e accostarsi ai sacramenti. Il battesimo per esempio viene conferito con l’immersione completa del bambino nel fonte battesimale e subito dopo lo si unge con il Santo Crisma. La comunione e’ effettuata sempre con il pane lievitato ed il vino consacrati. Le nozze sono celebrate con una complessa e fastosa cerimonia durante la quale gli sposi vengono incoronati. Lo splendore delle vesti liturgiche orientali rende piu suggestivi questi riti e l’arredo liturgico della chiesa di Grottaferrata ricorda le chiese d’Oriente.  
 

    Ulteriore caratterestica,non da poco, i canti: melodie bizantine inedite estratte da antichissimi manoscritti. L’interpretazione di queste musiche ha richiesto anni di studi da parte di monaci esperti, nè poche sono state le difficolta’ perchè, come si sa, la musica bizantina non e’ scritta su rigo musicale nè su pentagramma nè sul tetragramma gregoriano, ma sono una serie di segni detti Neumi di diverso valore, che indicano gli intervalli musicali in rapporto fra loro, partendo da una nota iniziale fornita dalla chiave musicale. Vale la pena fare almeno una volta una visita a Grottaferrata , se non altro per acquisire un’idea, sia pur vaga, dello splendore anche delle nostre antiche tradizioni liturgiche su questa terra d’Aspromonte oggi solo additata per tante, ma tante situazioni negative...