giovedì 17 giugno 2021

LA RICCHEZZA BIZANTINA DI OPPIDO (Hagia Agathè) A META’ DEL MILLE – Parte I

                         di Bruno Demasi 

 Che Oppidum (Hagia Agathè) in epoca bizantina dominasse dall’alto del suo colle l’ampio territorio della Tourma delle Saline  ( territorio che, seppure limitato all’incirca al bacino dell’odierno Petrace e dei suoi affluenti, non era affatto piccolo) oggi sembra quasi inverosimile se si osserva il progressivo spopolamento del territorio nei secoli , ma anche il dissesto orografico attuale del suo territorioi. Occorre dunque proiettarsi nell’epoca presa in esame per comprenderne le ragioni, i caratteri della popolazione che abitava queste terre e il paesaggio che oggi in gran parte appare frantumato a causa dei movimenti tellurici che hanno caratterizzato i dieci secoli che ci dividono dal periodo che stiamo indagando, in particolare il sisma del 1783.
       La pubblicazione ad opera di Andrè Guillou delle pergamene greche relative alle donazioni private fatte alla diocesi di Oppido nel periodo che va dal 1050 al 1064/65 ( “La Theotokos de Hagia Agathè – Oppido - , B.A.V., 1972) ha aperto un amplissimo squarcio sull’esistenza e sulla vita della città più grande e importante dell’attuale Piana in epoca bizantina, fornendo una serie molto ricca di informazioni a tutti i livelli, eccetto forse una: la consistenza numerica precisa della sua popolazione di cui si tenterà di parlare nella seconda parte di questo studio . 
     Un dato però è significativo fin d'ora su Oppido: non doveva trattarsi nè di un centro minuscolo, nè tantomeno di un oscuro villaggio periferico poco e male abitato se è vero che l’amministrazione bizantina , molto attenta e perspicace, nei decenni, o almeno negli anni, precedenti la metà del secolo aveva inteso ubicarvi uno dei suoi più importanti avamposti civili e religiosi nell’Italia meridionale, un vescovado di frontiera che, insieme ai pochi già esistenti o coevi (ad esempio quello di Cassano), arginasse il dilagante strapotere normanno che si stava  affermando  più a nord.  La chiesa romana però davanti a questa prersa di posizione della chiesa greca ebbe una reazione assolutamente spropositata, tanto che Benedetto VII rispondeva subito elevando la diocesi di Salerno a metropolìa e dandole come diocesi suffraganee non solo i vescovadi di Nola, Conza e Paestum, ma anche quelli di Acerenza, Cosenza, Bisignano e Malvito. E pochissimi anni dopo Stefano IX, nel 1058, ne allargava addirittura la giurisdizione con le diocesi suffraganee di Martirano e di Marsico.
   La nuova diuocesi, quella di Oppido, nacque dunque  suffraganea della chiesa metropolita di Reggio, che comprendeva alla fine della dominazione bizantina, dopo la soppressione dei Vescovadi di Tauriana e di Vibo Valentia ( riuniti da Gregorio VII intorno al 1080 per formare la diocesi di Mileto) le diocesi greche di Gerace, Rossano, Tropea, Amantea, Squillace, Crotone, Nicastro, Cassano e Oppido (Hagia Agathè) ( F. Chalandon: Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Paris, 1907).
    Per poter comprendere  quale fosse l’economia, dunque la struttura della popolazione e della società all’epoca dell’istituzione della sede diocesana di Hagia Agathè occorre cercare di stabilire quale fosse la conformazione del territoprio e del paesaggio almeno 7 secoli prima dello sconvolgimento radicale prodotto dal sisma rovinoso del 1783, che sconvolse radicalmente l'assetto territoriale, sociale ed economico. 
    Si pensi in proposito che  la dissoluzione orografica del territorio provocata dal Flagello del 1783 fu impressionante. Solo a titolo di esempio,  la piana di Cannamaria (Cannabareio) che si estendeva parallelamente all’altopiano delle Melle, si abbassò di parecchi metri e si potè osservare la sua pasrte più a valle tagliata di netto da alcune colline franose nelle località poi denominata Santacroce o Cappella. Il corso regolare, qui rtettilineo, del torrente Tricuccio si ritrovò sbarrato in parecchi punti e se ne trovano ancora le tracce in diversi e tortuosi ruscelli e affluenti. Vari e importanti edifici preesistenti, depositi di materiale agricolo, mulini e frantoi oleari, opifici per la tintura della seta, in gran parte di proprietà della nobile e ricca famiglia Grillo, s’inabissarono interamernte senza lasciare alcuna traccia ad eccezione del muro di cinta di un delizioso giardino d’inverno (orangerie) che si ritrovò arroccato addirittura 100 metri a monte del fiume dal quale veniva prima irrigato. Un’ampia quantità di terreni dislocati sul versante del torrente Riganati si ritrovò unita ai campi originariamente ubicati sul versante opposto del fiume, nei pressi di Castellace, e il terreno sul quale scorreva il torrente, frantumato quasi per contraccolpo, si ritrovò a scorrere tra le rovine in direzione S-W, là dove si apre la vallata che oggi reca il nome di “Vaccari” (A:Goullou, op. cit., pag.22).
    Frantumazioni e frane simili si produssero nel resto del territorio meno vicino alla città persino nei terreni meno franosi. Si tramandava che un  allevatore di maiali di Tresilico, tale Giuseppe Buda, ne fu testimone oculare in una campagna di Vagliano di proprietà del principe di Cariati. Dall’alto di una collina da cui stava guardando una mandria di maiali, vide all’improvviso spaccarsi letteralmente in due il prato che lo sovrastava, formando una profondissima fenditura tra due piattaforme che recano il nome di “Lamia” e che lasciarono il guardiano da una parte e i porci dall’altra. I letti delle sorgenti, riempiti ex novo, scavarono nuove foci. Dai pozzi scompaginati, l’acqua si diffuse in ogni dove senza che fosse spinta da alcuna pressione. Nelle pianure paludose sorgenti ricche si inaridirono e altre nacquerro in zone aride oppure nei crepacci rocciosi,iniziando a scorrere a metà delle macchie costiere. Grandi blocchi di tufo e di trachite precipitati agli sbocchi delle valle di Cumi, Crisma e Teguri, funsero da dighe nei letti di piccoli torrenti facendoli debordare e stagnare nelle campagne circostanti. 

    Non meno sorprendenti, ma più desolanti ancora furono  i fenomeni che si produssero all’interno della città di Oppido. In qualche secondo edifici antichi di circa 8 secoli crollarono in rovina con grande fracasso, riducendosi alcuni a mucchi informi di pietre e calcina, altri spezzati letteralmente in due o con dei muri distrutti a forma di gradini o completamente rasi al suolo, altri ancora con il muro della facciata crollato a mostrare lo spaventoso scompaginamento della parte interna della costruzione. Palazzi, case borghesi, poveri tuguri furono abbattuti, demoliti,rovesciati....(C. Zerbi Della città, chiesa e diocesi di Oppido, 1876, pag.55-59)
     Lo sapaccato dello sconvolgimento sismico nei suoi effretti più spettacolari a livello geomorfologico del territorio, consente appena di immaginare realisticamente quante e quali attività fossero in precedenza  fiorenti su un territorio molto ricco e dunque in grado di ospitare una popolazione di tutto rispetto sia nella concentrazione urbana di Hagia Agathè sia in ogni castron da essa dipendente sia nei territori rurali (choria)
    A metà del secolo XI Oppido doveva sicuramente contare  una popolazione industriosa e varia, numericamente più che rispettabile e dominava un territorio molto ampio e fertile, nè troppo montuoso, nè troppo pianeggiante, caratterizzato da larghe zone di foresta e da amplissimi  terreni collinari coltivati a vigne, che erano tanto diffuse quanto i fondi utilizzati per la coltivazione del frumento e dei cereali minori, come l’orzo. Non esisteva sicuramente iunvece la coltura dell’ulivo che oggi domina ampiamente ancora la Piana di Gioia Tauro. La vigna ha peraltro gli stessi gusti dell’ulivo: entrambi prediligono i terreni derivanti da sedimenti sabbiosi, i conglomerati un po’ friabili, i terreni di disgregazione calcarea, ma la vigna sopporta meglio il freddo e riesce a prosperare ad altitudini maggiori rispetto all’ulivo.  ( A. Goullou, op. cit, Atto n.29,I.7). 
 

    I boschi di querce e di castagni occupavano  di sicuro un posto importante nell’economia del tempo per la fornitura non solo di legname da costruzione, ma anche da ardere e per quella di nutrizione del bestiame minuto, come le ghiande per i maiali. Come l’accesso alle sorgive e ai pozzi, la foresta sembra dar luogo solamente a diritti di godimento e non di proprietà fissa e ciò induce a pensare che , almeno limitatamente a questo caso, il bene appartrenesse alla collettività nel suo insieme e non a singole persone o famiglie o corporazioni. Il che non è poco (Ibidem).
    Il territorio premontano e montano ha un posto di rilievo nelle donazioni al vescovo, quindi nell’economia della tourma. Lo intuiva Candido Zerbi nella sua cronistoria oppidese quando asseriva che il territorio alto collinare su cui sorgevano gli insediamenti era purificato dalle brezze fortissime che ne allontanavano ogni forma di stagnazione foriera di malattie endemiche tuttr’altro che rare. Era anche una risorsa incredibile per la pastorizia malgrado la presenza degli orsi, che in inverno scendevano verso valle alla ricerca di cibo, attestata da molti cognomi citati nelle donazioni che derivano da questo animale.. I mulini ad acqua sono menzionati in cinque donazioni e costituiscono evidentemente il metro di misura della ricchezza tecnologica di derivazione araba ncui si era pervenuti. 
 
    Il chorion di Boutzanon (nei pressi dell'attuale Castellace) capoluogo del droungos omonimo è al contempo comune rurale e circoscreizione fiscale, formato da un centro abitato circondato perfettamente da una serie di proasteria e di agridia dislocati circolarmente con una geometria di confini per i tempi assolutamente precisa e sorprendente.
    Le donazioni comprese negli atti notarili coprono un arco di circa quindici anni appena. Senza contare eventuali donazioni precedenti ad esse o successive, di cui al momento non abbiamo notizia, esse indicano che il vescovo di Oppido viene messo a capo di una ricchezza considerevole: saline, mulini, terre coltivabili e in grandissima parte coltivate, vigne, frutteti, gelseti per l’allevamento del baco,  terreni montani per la transumanza, foreste per la legna, diritti di accesso alle sorgenti. Si tratta di beni dati al vescovo in piena proprietà salvo il caso di un monaco (Antonio Chatzarès) che cede alla cattedrale di Hagia Agathè i propri diritti di enfiteusi su una vigna di 100 piante. 
   Una ricchezza sorprendente in tempi di grandi sconvolgimenti civili e sociali ormai dimenticati.