di Bruno Demasi
Ritratto di Mons. Peruzzo (Sala capitolare Oppido) |
"Non passa manco un minuto che una fucilata 'mprovisa, sparata da pochi metri di distanza, esplode con un gran botto fatto cchiù forte dalla quiete assoluta che c'è torno torno. Il vescovo sente il proiettile fischiare a pochi centimetri dalla sò testa e istintivamente si susi addritta di scatto, strammato, si talia torno torno, non capisce nenti di quello che sta capitando.- Si butti giù!- gli grida don Graceffa. Peruzzo accenna a farlo, ma gli appostati non gliene danno tempo. Sparano di nuovo e stavolta lo pigliano: il vescovo ha la 'mpressione di essere stato colpito quattro volte. In realtà i colpi che lo ferirono furono dù: uno gli perforò un polmone e l'altro gli fracassò l'avambraccio mancino.
Torna il silenzio assoluto.Il vescovo ha settantasette anni ed è ferito a morte. Ma, figlio di viddrani, è omo fisicamente molto forte e robusto.Arrinesci a sollevarsi da terra e, appuiannosi al debole braccio di don Graceffa, accomenza a camminare …Fatti pochi passi, perde le forze, pensa che è vinuto il momento della morti…. vuole confessarsi nuovamente. I dù, per mantinirisi addritta, si appoiano a un àrbolo e don Graceffa lo confessa… continua a perdiri sangue come 'na funtana. Ripigliano la loro via crucis… Proprio davanti alla porta dell'eremo, cade affacciabocconi e non rinesce ad alzarsi. Don Graceffa, mischino, gli s'inginocchia allato. Gli manca la voce macari per chiamare aiuto da quelli che sono dintra all'eremo e non hanno 'ntiso nenti.
Torna il silenzio assoluto.Il vescovo ha settantasette anni ed è ferito a morte. Ma, figlio di viddrani, è omo fisicamente molto forte e robusto.Arrinesci a sollevarsi da terra e, appuiannosi al debole braccio di don Graceffa, accomenza a camminare …Fatti pochi passi, perde le forze, pensa che è vinuto il momento della morti…. vuole confessarsi nuovamente. I dù, per mantinirisi addritta, si appoiano a un àrbolo e don Graceffa lo confessa… continua a perdiri sangue come 'na funtana. Ripigliano la loro via crucis… Proprio davanti alla porta dell'eremo, cade affacciabocconi e non rinesce ad alzarsi. Don Graceffa, mischino, gli s'inginocchia allato. Gli manca la voce macari per chiamare aiuto da quelli che sono dintra all'eremo e non hanno 'ntiso nenti.
" Mi vada a prendere il Santissimo" dice Peruzzo col picca sciato che gli resta.
Ma forse querlle parole non è arrinisciuto a pronunziarle, gli è parso di averle dette, ma le ha solamente pinsate.
Don Graceffa infatti trase stremato nellì'eremo non per pigliare il Santissimo, ma per mandare in paìsi il cuoco-cammareri per circare soccorsi.
Il vescovo , mezzo sbinuto, si mette a prigare per sè e per i suoi amati "figli di Agrigento"... (Andrea Camilleri - "Le pecore e il Pastore" , pagg.66-67 ).
Mons. Giovanni Battista Peruzzo, "figlio di viddrani" piemontesi, dopo essere stato vescovo di Oppido Mamertina dal 1928 al 1932 esercitò il suo mandato vescovile ad Agrigento, dal 1932 al 1963.
Non fu un vescovo qualunque se già il non certo clericale Leonardo Sciascia ne aveva messo in luce la spiccata e personalità e il grande amore per la giustizia sociale nel suo libro " Dalle parti degli infedeli" pubblicato, sempre per l'editore Sellerio, nel 1979.Aveva precorso i tempi e della distribuzione della terra a chi la lavorava, indipendentemente da ogni ideologia, aveva presto fatto uno dei motivi della sua azione pastorale sia nella Piana di Gioia Tauro oppressa non da una feudalità nobiliare, di cui essistevano solo brandelli, ma da una classe agraria ottusa e ignorante, e pi in una Sicilia affamatissima di terra che presto sarebbe approdata all'eccidio di Portella delle Ginestre.
Proprio della sua esperienza in Sicilia e dell'attentato messo in opera contro di lui prende le mossela storia magistralmente raccontata da Camilleri che ci mostra Peruzzo ai ferri corti con i latifondisti siciliani in nome del diritto dei contadini ad una sopravvivenza dignitosa: certo, mons Peruzzo - duro anticomunista e reduce di una solida fiducia politica nella "rivoluzione fascista" - non credeva e non poteva credere alla redenzione marxista delle masse nè ad un umanesimo sociale a prescindere dalla novità del regno promesso da Gesù Cristo ma, da uomo pratico, spese le proprie robuste energie perchè, ad esempio, risorse idriche e luce elettrica potessero divenire patrimonio certo per tutti i lavoratori della terra.
Impiantò, nella Sicilia dei privilegi incontestati, "cucine economiche" allo scopo di permettere ai poveri di mangiare un piatto di minestra al giorno gratis. La media dei pasti distribuiti, nel 1932, fu di seicento al giorno.
Quando la Sicilia si trovò sotto i bombardamenti angloamericani Peruzzo non "sfollò" altrove ma rimase al suo posto e ordinò di mettere i locali del Seminario a disposizione della croce rossa svuotandoli dei seminaristi. Aveva applaudito i fascisti quando si erano detti contro il latifondo e, allo stesso modo, fu - unico vescovo in Sicilia e,diremmo in generale nel Sud - a fianco delle forze riformiste nella battaglia per la terra ai contadini, per "spezzettamento " dei possedimenti feudali: il latifondo era per lui una ” grave struttura di peccato e di ingiustizia ”.
Era il luglio del 1945,quando al Santuario di Santa Rosalia,detto “La Quisquina” venne ferito a morte da una palla di fucile che gli trapassò il polmone. Secondo Camilleri,la mafia e i grandi proprietari non avevano gradito il "ficcanasare" di questo piemontese che, però, sopravvisse quasi "miracolosamente".A tale miracolosa guarigione si assocerebbe il “sacrificio” di dieci giovani suore benedettine del monastero di Palma di Montechiaro,che spontaneamente offrirono la loro vita in cambio di quella del loro vescovo.
Impiantò, nella Sicilia dei privilegi incontestati, "cucine economiche" allo scopo di permettere ai poveri di mangiare un piatto di minestra al giorno gratis. La media dei pasti distribuiti, nel 1932, fu di seicento al giorno.
Quando la Sicilia si trovò sotto i bombardamenti angloamericani Peruzzo non "sfollò" altrove ma rimase al suo posto e ordinò di mettere i locali del Seminario a disposizione della croce rossa svuotandoli dei seminaristi. Aveva applaudito i fascisti quando si erano detti contro il latifondo e, allo stesso modo, fu - unico vescovo in Sicilia e,diremmo in generale nel Sud - a fianco delle forze riformiste nella battaglia per la terra ai contadini, per "spezzettamento " dei possedimenti feudali: il latifondo era per lui una ” grave struttura di peccato e di ingiustizia ”.
Era il luglio del 1945,quando al Santuario di Santa Rosalia,detto “La Quisquina” venne ferito a morte da una palla di fucile che gli trapassò il polmone. Secondo Camilleri,la mafia e i grandi proprietari non avevano gradito il "ficcanasare" di questo piemontese che, però, sopravvisse quasi "miracolosamente".A tale miracolosa guarigione si assocerebbe il “sacrificio” di dieci giovani suore benedettine del monastero di Palma di Montechiaro,che spontaneamente offrirono la loro vita in cambio di quella del loro vescovo.
Sulla vicenda delle dieci suore però Enzo Di Natali, autore di un rigoroso studio sul Vescovo Peruzzo, corregge il tiro, affermando:”…Offrire la propria vita non equivale a ricorrere al suicidio, come parrebbe far pensare Andrea Camilleri. Le suore non cercarono un suicidio. Sarebbe stato un grave atto morale, contro la legge naturale e contro la legge di Dio. Le suore offrirono la propria vita, ma non significa che vi fu un suicidio collettivo. Le suore nel tempo morirono per cause naturali.”
Il che forse chiuse una polemica che, all'epoca della pubblicazione del libro di Camilleri, durò addirittura qualche mese, persino sulle colonne dei maggiori quotidiani nazionali, e nella quale era intervenuto persino qualche autorevole teologo di grande rilievo.
PERUZZO A OPPIDO MAMERTINA
Gia vescovo ausiliare di Mantova dal 1924,dopo i gravi incidenti verificatisi nell'agosto 1926, al termine del pellegrinaggio nazionale della Gioventù Cattolica a Castiglione Stiviere alla celebrazione del II centenario della canonizzazione di san Luigi Gonzaga, quando moltissimi giovani vennero bastonati dai fascisti, molti vessilli cattolici strappati e parecchi sacerdoti malmenati, Peruzzo si schierò apertamente contro il Fascio e fu mandato vescovo a Oppido il 17 febbraio 1929 ,in una diocesi in cui il suo predecessore , Giuseppe Antonio Caruso,si era dimesso prima ancora di mettervi piede, ma lontana da clamori e intrighi politici. Almeno apparentemente! Solo dopo meno di quattro anni infatti fu “invitato” ad assumere la diocesi di Agrigento,ed egli obbedì, lasciando a malincuore Oppido nell’aprile 1932. Furono, a Oppido Mamertina, tre anni e mezzo di splendida e dirompente azione pastorale e di intenso lavoro sociale, in un territorio povero e disagiato. Un lavoro che suscito gli entusiasmi di tutta la gioventù dell’epoca che stravedeva per lui senza distinzioni di casacca e di ceto, tant’è vero che quando, pochissimi anni prima di morire, nel 1958, venne da queste parti per una brevissima visita, tutta la diocesi versò vere lacrime di commozione e di rimpianto. Ed erano passati oltre trent’anni! Ricordo che mio padre mi portò bambino di sette anni in una cattedrale gremitissima e festante e, dopo essersi si avvicinato a lui per baciargli l'anello, mi sussurrò "Ricordati che oggi hai visto un vescovo eccezionale!"
Nessuno aveva dimenticato il fervore della sua azione pastorale, la bontà e la grandezza del suo animo,le sue doti di predicatore, il suo continuo schierarsi dalla parte degli ultimi a costo di suscitare contrasti anche verso la sua persona. Il suo seminario era diventato un centro di aggregazione e di cultura aperto a tutti e la gente ancora oggi ne ricorda il tratto pacato e semplice,ma insieme la forza d’animo e la determinazione a scagliarsi contro ogni sopruso. Perchè fu “invitato” a lasciare Oppido? Non certo per un’effimera promozione a una diocesi più prestigiosa! Forse perchè anche a Oppido e nella provincia di RC era già subito diventato un vescovo scomodo:il vescovo dei contadini e della giustizia sociale!
(Dedico questa pagina alla memoria di mio padre,Giuseppe Demasi, uno dei giovani entusiasti di Mons.Peruzzo,del quale spesso egli mi ha tessuto le lodi.)