domenica 8 luglio 2018

VECCHIO CINEMA "ASPROMONTE"


 di Tonino Polistena

     Ecco cosa succede quando un giornalista si abbandona ai ricordi e decide di narrare! Succede 
che i piani della scrittura e della cronaca si intersecano dentro il filtro del ricordo, dando vita a un racconto come questo, inedito per contenuti, stile di comunicazione, ironia affettuosa, originalità. Ma succede anche che l"Aspromonte", che a viva forza ho voluto inserire nel titolo di questo post, acquista mediante queste narrazioni una luce diversa e meno stucchevole del solito: non solo frontiera della geografia e della storia del Sud, non solo palcoscenico retorico e folclorico di briganti, filibustieri di mestiere e vittime per vocazione, ma anche luogo di civiltà nel quale anche una sala cinematografica da retroguardia poteva aprire un ponte con il mondo. Un tramite costruito dai sogni di varie generazioni di ragazzi e di giovani subito falcidiate dall'emigrazione. L'Autore, che ha vissuto e continua a vivere tutto ciò sulla propria pelle, non poteva non trarne un piccolo capolavoro narrativo del quale non si può che ringraziarlo. Ammiràti. (Bruno Demasi)
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    Si, mio padre ha fatto anche il cinemotagrafaro, il suo primo lavoro subito dopo il rientro dalla guerra che, a dire il vero, tranne una breve permanenza al confine tra Grecia ed Albania,lo aveva visto girovagare per le caserme di Calabria al riparo da grandi e piccoli rischi…Gestiva un cinema nato negli anni Quaranta grazie a nonna Fortunata e quando ancora la tv era in viaggio. Cinema di cui continuò a occuparsi fino ai primi degli anni Sessanta, quando, con la scusa che la televisione era entrata in ogni casa e la gente al cinema non ci andava più, lo diede in gestione a Pierluigi Bonzangni soprannominato “ il Bolognese “, del quale ho un ricordo vago e sfocato, ma che mi appariva come un signore distinto e di bell´aspetto . Una persona perbene, insomma.
    Nonna Fortunata era nativa di Bagnara ed era arrivata ad Oppido per sposare Antonino Polistena,dal quale aveva avuto cinque figli. Quella del cinema era una fissa che non l´abbandonava. Da buona imprenditrice aveva la vista lunga e vedeva nella settima arte anche una fonte di denaro. E cosí, insieme a due soci, nei locali dove in un passato non troppo lontano aveva visto la luce un primo cinematografo, poi rimasto in abbandono, diede vita al cinema “Italia”. Si partí con un proiettore per il cinema muto ereditato da una sala degli anni Trenta e lo si diede per la modifica ad un tal Liberato, tecnico napoletano, che si dedicó alla modifica con pezzi di ricambio. Rientrata da Napoli come nuova, la macchina diede bella prova di sè un mese dopo con una proiezione pubblica nella piazza che si apriva quasi a ridosso del nuovo cinema..

     Migliaia di persone accorsero attirate dalla grande novitá ed il successo di quella prima pubblica proiezione lasciava ben sperare sul futuro della nuova
sala cinematografica. Non la pensava però cosí il vescovo dell´epoca, forse geloso dei proseliti che il cinema andava mietendo o, molto probabilmente, diffidando come molta parte della chiesa di allora, dei progressi della tecnologia, cominció a mettere il bastone tra le ruote e ad osteggiare l´iniziativa. Si cominció a diffondere la voce che il male era arrivato in cittá e attraverso le prediche, durante messe e pontificali, si disse che il cinema era peggio di una bomba atomica, anzi “ una bomba di gas asfissiante opera di Satana”. Con l´influenza che la chiesa aveva allora ( ma forse anche ora) sulla gente e´ facile immaginare lo scompiglio che questa sorta di anatema creó sui possibili futuri spettatori ma, soprattutto, sui tre soci che alla luce della pubblica proiezione giá intravedevano un radioso avvenire. La scomunica del vescovo ebbe i suoi effetti, almeno parzialmente. Riuscí a far saltare la societá nel senso che due dei soci, ritirandosi in buon ordine, lasciarono solo mio padre il quale, spronato da nonna Fortunata che non voleva rinunciare agli investimenti e di conseguenza, darla vinta al vescovo, decise di continuare da solo l´avventura. 

    Erano i cinema di paese, dove la domenica si andava a vedere Maciste, Ercole o Franchi e Ingrassia; dove, bambini, si entrava alla due e si usciva alla sette di sera, dopo aver visto il film per tre volte di seguito, magari seduti per terra proprio sotto il grande telo bianco dove veniva proiettata la pellicola perche il posti a sedere erano esauriti.. Naso all´insú e cosí vicini da essere quasi parte integrante delle scene e dello schermo.” Allujuti “ da quelle continue battaglie che I soldati della Roma imperiale ingaggiavano con i barbari con gli elmi cornuti e commossi dai pianti di neonati persi dalle mamme che i registi dell´epoca strategicamente posizionavano piangenti, per terra, al centro della strada, tra cavalli imbizzarriti e incendi distruttivi, per colpire al cuore degli spettatori.
    Era il cinema dei fischi e dello sbattere i sedili quando la pellicola si bloccava perché nel proiettore i carboncini si erano seccati e bisognava inumidirli. E quando la pellicola si bloccava sembrava che la gente non aspettasse altro, che non fosse lì per vedere il film, ma che attendesse il fatidico momento per dare inizio al baccano e farsi sentire dall´operatore in quel momento forse distratto o assente. Partiva una saccavarda di fischi ed uno sbattimento di sedie da risvegliare i sonnolenti anziani seduti in piazzetta. Ve le ricordate le vecchie sedie di legno dei cinema, quelle che si piegavano automaticamente appena vi alzavate? Ecco provate ad immaginare trenta o quaranta figli di buona donna che simultaneamente le fanno sbattere con forza verso lo schienale. E questo una decina di volte nello spazio di un minuto, quanto mediamente durava il blocco. Contemporaneamente si alzava a squarciagola l’urlo: “quadro, quadro!!!”.” Figli di puttana, che casino che fanno”, sussurrava qualche anziano in fondo alla sala sorridendo al suo vicino. 

    Era veramente un finimondo.
  Era il cinema in cui, se dovevi cercare qualcuno e pensavi fosse dentro, dopo aver avuto l´approvazione del gestore di turno aprivi la porta e gridavi un nome o un cognome, alla faccia di tutto e di tutti. Se quello che chiamavi c´era, sentivi un “ Cca su, chi cazzu voi” ? Se la risposta non arrivava, il chiamante richiudeva la porta e se ne tornava da dove era venuto. Una sera sul più bello di una proiezione si apre la porta entra un tizio che urla: “Cammareri ?!?!“, cercando probabilmente un amico con un cognome che in italiano significa cameriere. E dall’altra parte della sala, immediata e più veloce della luce, la risposta: “Champagne “, scatenando le risate dei quattro che erano in sala.
    Questo poteva accadere e molto altro, nel cinema gestito poi da Mastru Vicenzo che aveva ereditato l’affitto dal Bolognese, ma non era un vero e proprio cinematografaro, era un trafficone e un vecchio porco. Trasformò il cinema per tutti, in un cinema a luci rosse, che in quel periodo era diventata la caratteristica dei piccoli cinema di provincia e non solo, che per sopravvivere proiettavano continuamente e solo film porno. Non firmava contratti con le case cinematografiche, non acquistava film di prima o seconda visione, che comprendevano altri otto o dieci film di ultima visione, meglio conosciuti come “mattoni “, da proiettare durante la settimana, prassi normale nella gestione di un cinema. Niente di tutto questo. Era una specie di corriere che portava le “pizze” da un cinema all’altro. Viaggiava con una vecchia fiat 124, sempre con lo stesso abito liso e con le camicie consunte. Età indefinita, direi tra i cinquanta ed i sessanta, capelli ricci e bianchi, sempre sporchi e spettinati. Viso emaciato e rugoso, grande bocca e pochi denti, Mastru Vicenzu negli anni aveva conosciuto diversi proprietari di cinema per via dei suoi traffici ed ora, grazie alle vecchie amicizie, riusciva a tenere in pausa, per una mezza giornata, un film, magari anche di prima visione, che doveva portare da un cinema all´altro e lo proiettava ad Oppido.

    Ad aiutare il " titolare " c´era Mastro Chele , che di lavoro faceva l´imbianchino e che nei pomeriggi e nelle sere d´inverno quando smontava dal lavoro, fungeva da operatore. Aveva una cinquantina d´anni portati male, pochi capelli e basette lunghe in un viso rotondo e colorito, voce tendente al falsetto, era sposato con una donna che di tanto in tanto passava dal cinema ed aspettava il marito fino alla fine dell´ultima proiezione. Viso lungo con rughe pronunciate ai lati della minuscola bocca e degli occhi scuri, fronte alta tagliata da una frangetta di capelli nero corvino che andavano a cadere ai lati delle spalle e fino a coprire dei seni mancanti la signora vestiva in maniera bizzarra e appariscente ,sortendo un’immagine che, se vista al buio, poteva diventare angosciante.
    Quella sera di novembre si proiettava un film di terrore, un horror infestato da spiriti maligni, mostri e morti viventi. In galleria c’era un solo spettatore pagante, mancavano infatti anche gli spettatori a cridenza. Facile immaginare la tensione, la paura e le angosce del povero sventurato alle prese con vampiri e zombi ed in totale solitudine. Ed é facile immaginare, a questo punto, i brividi di terrore che attraversarono il suo corpo quando, all’improvviso, la porta della galleria si aprì e apparve una figura spettrale e vestita di bianco. Era la moglie di mastro Chele, che quella sera aveva deciso di attendere il marito salendo in galleria. Alla vista di quello che per lui altro non era che il diavolo, il povero spettatore non ci pensa due volte: si alza, scavalca la balconata a protezione della galleria e si lancia urlando di sotto.. Un volo di almeno due metri e mezzo tra gli allibiti spettatori della platea ,e poi,  quasi incolume, di corsa verso l’uscita.