venerdì 10 novembre 2023

Mémoires 12: A CACCIA DI CENTENARI A OPPIDO E DINTORNI (di Rocco Liberti)

   Si conclude con questa XII tranche di Mémoires un ciclo di ricordi, in gran parte diretti, di Rocco Liberti che ci hanno restituito, viva e palpitante, la realtà sociale e civile di Oppido e dell’Aspromonte per un largo periodo di tempo, almeno dalla vigilia dell’ultimo conflitto mondiale fino ai nostri giorni. In quest’ultima pagina riaffiora però ,almeno inizialmente, il mestiere raffinato dello storico che ci offre uno spaccato demografico di questa città estremamente attento, partendo dall’antica Oppido per arrivare alla situazione attuale. C’è un’accurata analisi della popolazione in termini numerici e onomastici che ci offre dei dati davvero soprendenti, ma soprattutto, e sia pure in modo indiretto, una disamina dei flussi demografici che via via si sono registrati nel tempo e delle condizioni di vita della gente esposta in grandissima parte a miserie e mali di ogni genere dei quali l’elevatissima mortalità infantile unita alla breve durata media della vita era uno dei più eloquenti sintomi.
   Nella seconda parte di questo lavoro conclusivo ritorna però l’onda dei ricordi personali dell’Autore che ci offre altre preziose suggestioni sul passato recente e meno recente di questo Territorio mediante l’enumerazione delle persone centenarie che qui hanno vissuto tra il Novecento e questo secolo. L’Autore anche in questo caso ci offre una vera lezione di storia e di antropologia indiretta che esula dai trionfalismi beceri con cui i TG di tanto in tanto “scovano” improbabili “ paesi di centenari”, ma realisticamente indaga l’humus sociale e culturale di certi epifenomeni.
    Un grazie  generalizzato  a Rocco Liberti per questa e per le altre testimonianze dirette di cui ci ha fatto dono aprendo a noi tutti il suo armadio più ricco e personale, quello dei suoi ricordi.
(Bruno Demasi).
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     L’interesse generatosi di recente sulla persistenza in una fascia aspromontana di persone longeve, che hanno raggiunto se non varcato addirittura il secolo, mi ha invogliato a intraprendere una ricerca sulla popolazione vissuta sia nella distrutta che nella ricostruita Oppido, quindi nell’arco di circa due secoli e mezzo, ma i frutti sono stati scarsi. Se al giorno d’oggi, considerati svariati fattori, l’esistenza si è protratta di parecchio, non si è verificato così per il passato e a sfogliare i registri delle due parrocchie, si ha netta la sensazione che per la massima parte si giungeva al termine in giovane età. Le lunghe teorie di “parvulus” e “parvula” cioè prematuri o di quelli estinti in ragione di giorni oppure di mesi che vi si perpetua purtroppo pressoché giornalmente fa venire i brividi a pensare come la gente dovesse arrabattarsi per combattere i malanni che regolarmente l’attanagliavano. Gli antidoti allora erano pochini e totalmente empirici. Lo studio della moderna farmacopea era veramente di là da affacciarsi e i casi di lunga durata, quali quello di Leonardo Barbaro, zorgunadese domiciliato a Messignadi morto nel 1825 a 113 anni, rappresentano proprio casi limite[1]. In verità, in sommo grado si avvisava primariamente la necessità di come sbarcare il lunario. Il reddito di cittadinanza è un’astuta invenzione di noi posteri. 

    Per il mio impegno sono partito con l’anno 1763, il primo apparentemente completo anche se distinto per le due circoscrizioni della Cattedrale e dell’Abazia. Naturalmente, non faccio differenziazioni di sorta e tratto i dati nella loro globalità. Nella sede atterrata dal terremoto del 1783, appaiono presenti i ceppi Allocco, Arcaro, Ascrizzi, Bandera, Barbaro, Bellocco, Berlingò, Blando, Cammareri, Cananzi, Candiloro, Capitò, Capone, Caridi, Carlino, Carserà, Chiliverto, Chirchiglia, Chirilli, Colagiuri, Corica, Cosmo, De Giustra, De Marte, Diliperto, Farinella, Fasano, Fossare, Furfari, Gaglianò, Galluzzo, Gargiuli, Genoese. Gentile, Germanò, Giofrè, Girardis, Greco, Inga, Lacava, Lauria, Lembo, Lentini, Lopiano, Lucà, Mangano, Matalone, Mazza, Migliorini, Molluso, Murabito, Musicò, Olivieri, Palermo, Pantatello, Papasergi, Paschalino, Petrantonio, Pignataro, Pistelli (era solo Francesco a. 23, di Lucca, che “fungebatur officium Familiaris” del vescovo Vita), Potitò, Priolo, Ramondo, Ripepe, Rijtano, Romeo, Russo, Sorace, Tornatola, Tripodi, Tropeano, Vita (Si tratta soltanto del vescovo Leoluca Vita forestiero, a. 59), Veneziano, Zillino. Un caso di morte violenta (Vincenzo Carserà era stato “vulneratus ictu cultri”).

    Nel 1763 la maggiore età, 74 si segnala per una donna (Nunziata Genoese). Altrettanto in riguardo ai maschi. Si evidenzia appena una persona di 64 anni (Pietro Romano). In totale figurano 57 maschi (=m.) e 51 femmine (=f.). Si rimarcano partitamente come segue: da 70 a 74 (f. 4), da 60 a 64 (m. 3, f. 3), da 50 a 55 (m. 1, f. 2), 47 (m. 1), da 30 a 39 (m. 3, f. 3), da 26 a 29 (m.1, f. 2), da 1 a 12 mesi (22. f. 23),12 (m. 3, f. 1), 11 (m. 2), a. da 6 a 10 (m. 2, f. 3), a. da 1 a 5 (m. 13, f. 12), di pochi giorni (m. 1, f. 7), parvuli (7), parvulae (5). In attinenza alle annate anteriori e a quelle susseguenti è dato rilevare un trapassato di a. 80 c. (è detto octuagenarius) nel 1749 (Francesco Carlino), altro di 88 nel 1766 (Francesco Furfari) e una di 90 nel 1771 (Caterina Macrì).

    Avrei voluto scandagliare a ridosso del 1783, quel funesto anno in cui si è registrata la fine dell’antica Oppido per il Grande Flagello, ma, com’è naturale, i libri parrocchiali mostrano grosse lacune. In aggiunta ai decessi a causa dello sconquasso tellurico, in successione si sono sviluppate diverse epidemie che hanno fatto il resto. Posso offrire un saggio per il 1785 limitatamente ai registri della parrocchia dell’Abazia. È un anno in cui gli Oppidesi forse in buona parte persistevano nel vecchio insediamento. Starebbero a dimostrarlo le sepolture nelle dirute chiese di qualche antico convento. Vi si rilevano le seguenti indicazioni (f.=femmine, m=maschi): a. 60 (f. 1), 50 (m .1, f. 1), a. 40 (m. 1), a. 38 (f.1), a. 35 (m. 1), a. 30 (m.1), a. 24 (f. 19, a. 20 (2), a. 11 (f. 1), a. 8 (f. 19), a. m. 8 (1), di vari mesi (m.2, f. 1), di giorni (m. 3, f. 2).

    E veniamo al nuovo secolo, quando ormai il trasferimento in contrada Tuba potrebbe essere stato ultimato. È il 1805 e la vita non deve scorrere davvero in maniera idilliaca. Dei 25 defunti registrati 16 sono maschi, 9 femmine e la più longeva è una Gangemi, che raggiunge gli 80 anni. Seguono un maschio di 69 anni e una femmina da 60. Si avvertono appresso 3 m. dai 41 ai 50, dai 31 ai 40 (4 m., f. 1), dai 21 ai 30 (2 m., 1 f.), dagli 11 ai 20 (2 m.), da 1 a 10 (3 m., 3 f.). Un bambino è “espositus … in tugurio”, la donna di 60 a. “in tugurio pauperum”. Si viveva chiaramente in grande stato di bisogno e all’autoctona comunanza era venuta ad aggiungersene altra in cerca di fortuna o di lavoro oriunda da altri lidi. Un Tripodi arrivava da Pellegrina e per un Fafasuli, anche se non indicato, è lampante la provenienza dalla zona di Africo. È noto che in occasione della ricostruzione di Oppido varie maestranze sono giunte dalla Sicilia, sommamente dal litorale ionico calabrese e dalle serre catanzaresi. Piminoro è stata inizialmente abitata da una gens spostatasi essenzialmente dalle cosiddette Prunare. Un particolare beccato nel registro in questione. Un fra Fortunato Gemma dava la benedizione ad un defunto, indizio inequivocabile della continuità di nuclei di monaci nella nuova realtà.

   Saltiamo ancora di quasi metà secolo e arriviamo al 1851 con la popolazione sicuramente dilatata di molto. Le famiglie forestiere si notano, e come: Palermo, Caristina, Sgrò, Colarco, Vadalà, Blefari, Sidari, Princi, Carbone, Fragomeni, Catarfamo, Todarello, Spatolisano, Militano, Ioculano, Luvarà ecc. In quella tornata sono stati annotati 33 defunti maschi e 36 femmine. In vetta d. Giuseppe Grillo, di nobile stirpe, a quota 96, seguito da due di 86 e 82. Le femmine hanno toccato gli 80 e i 70. I deceduti in minore età riescono un numero inferiore alle precedenti annate, segno certo di un avanzamento sociale e sanitario, come potremo constatare più avanti. Si potrebbe proseguire oltre, ma i risultati sono sempre gli stessi, per cui ci fermiamo ad annotare quanti hanno valicato i cento anni o vi si sono approssimati.

   A Oppido è stata da alquanto tempo sinonimo di longevità la famiglia Coco, non solo perché in molti esponenti si sono avvicinati al secolo, ma soprattutto perché uno di essi lo ha sormontato. Angelo, nato il 25 settembre 1884 è deceduto il 7 gennaio 1987, perciò ben 102 suonati e cantati. Io lo ricordo costantemente in buona forma, come d’altronde tanti altri dello stesso ceppo. Saveria nel 1991 (n. 1894) si è fatta i suoi 97 ugualmente come M. Rosa (1878-1985), Francesca (1882-1985) si è guadagnata i suoi 95 come Domenico Antonio (1891-1986). Una sostanziosa incidenza di ultracentenari la registriamo per l’epoca attuale, anche se per lo più concerne individui residenti nelle Frazioni Messignadi, Piminoro e Castellace. La palma spetta comunque a Maria Antonia Vaccari, proveniente da Delianuova, che a Oppido nel 2019 è pervenuta quasi ai 106 anni (15-6-1913/17-5-2019). A ruota c’è Mariangiola Pignataro con 103 (4-12-1908/15-1-2012). Eccone ora una sfilza di 101: Mammone Giuseppe (1908-2019), Managò Maria Rosa(1919-2020), Pardo Vincenzo (1920- 2022), Longo Rocco (1920-2022). A 100 si trovano Molluso Annunziata (1870-1971), Iaria Natalina (1918-2019), Punteri Caterina (1922-1922), Barca Vincenza (1920-2020), Campisi Maria (+2023) e Barillaro Caterina (1920-2021). Ha superato i 102 la vivente Grillo Clementina (n. 22-4-1921), mentre ha toccato i 101 Francesca Pisani. Auguriamo loro un lungo proseguimento. Negli ultimi tempi i nonagenari non sono mancati e tra 1921 e 1978, nella sola Oppido (escludendo anche Tresilico), ne abbiamo rilevati almeno 35. Si avvertono 15 uomini con la palma a Strangio Andrea nel 1955 (a. 95) e 20 donne con maggiore età, 96, a Orlando Annunziata.
Rocco Liberti

[1] Rocco Liberti, Un record di lunga vita a Messignadi nell’800, Corriere della Piana, a. 3020. N. 85, p. 32.