martedì 8 gennaio 2019

L'ASTRAGALO E GLI OSSICINI (di Tonino Polistina)

di Tonino Polistina

    Altri tempi quelli nei quali la Rai era  un vero servizio pubblico , vale a dire pagato dalla gente, e assolveva egregiamente al proprio ruolo che era anche pedagogico oltre che culturale in senso ampio. Passati pochi decenni, il servizio  è diventato terra di nessuno e feudo di tutti, ma continua ad essere pagato dalla gente più di prima, addirittura in simbiosi con le bollette dell'energia elettrica. Senza alcun valore didascalico, senza alcuna valenza pedagogica, come quella descritta amabilmente e con estremo rigore giornalistico in questo inedito  e significativo  scritto scritto di memorie di  Tonino Polistina (Bruno Demasi)

    Una piovosa mattina del novembre 1969, durante l´ora di italiano, venne a trovarci in classe il canonico Giuseppe Pignataro. Io frequentavo la III media, la mia era la sezione A, si arrivava fino alla sezione D, eravamo giá nel nuovo istituto di corso Aspromonte ed era il mio primo anno scuola media lontano dal seminario. Conoscevo bene questo sacerdote, sia per i trascorsi da previtocciolo sia perché ogni tanto,in sostituzione del canonico Armino, veniva a celebrerare nella chiesa dell´Abbazia il rito della benedizione serale. Stando spesso a casa di nonna Nicolina, che abitava proprio di fronte alla chiesa, era d´obbligo alle sei di tutti i santi giorni, sospendere i giochi che si facevano nel piccolo piazzale antistante la casa e recarsi in chiesa per la recita del rosario e della benedizione. Era una pausa della durata di mezz´ora, non di piú, ma é facile immaginare quanta gioia ci procurava quella interruzione per andare a recitare ave Maria e gloria al Padre o cantare il Tantum Ergo. Comunque era cosí e c´era poco da protestare.
   Dunque quella mattina il canonico Pignataro venne a trovarci per una notizia per me inimmaginabile e che mi riempì di gioia e di grandi aspettative.
    Ci disse il canonico che da li a qualche mese, presumibilmente in primavera, una troupe della Rai sarebbe venuta ad Oppido per fare un servizio che sarebbe andato in onda nella trasmissione piú seguita da noi adolescenti: la Tv dei ragazzi. Il programma, creato con scopi chiaramente pedagogici, veniva trasmesso, rigorosamente in bianco e nero dal primo canale ed era un contenitore di generi vari . Andava in onda dalle 17 alle 18, dal lunedí al sabato, ed era fatto di cartoni animati, Braccobaldo show il piú famoso; telefilm americani, Rintin tin, Bonanza, Zorro, Lassie; serie italiane come “Giovanna, la nonna del corsaro nero",e poi ancora i cortometraggi comici con Stanlio e Olio, Charlot, Buster Kaeton, per finire il sabato con il gioco a quiz Chissá chi lo sá. Rientrava nella tv dei ragazzi,una volta l´anno, Lo Zecchino d´Oro, gara canora per bambini che per ascolti sfidava il festival di Sanremo.Ecco era questa la nostra tv, un appuntamento quotidiano imperdibile, rigorosamente in bianco e nero,che riusciva per quei sessanta minuti a spopolare in parte la piazzetta, fino a quell´ora piena di mocciosi vocianti che si rincorrevano . Dico in parte perché negli anni 60 non tutti avevano la televisione in casa. Io ero tra quelli ma avevo la fortuna di avere uno dei compagni di gioco e di classe che la possedeva, Enzo Audino, e che abitava a dieci metri da casa mia. Quindi tutti i pomeriggi, ero ospite fisso a casa Audino e insieme agli due fratelli di Enzo, Sasá e Marcello, di un paio d´anni piú piccoli, dopo aver fatto merenda con un paio di salutari fette di pane e olio, venivamo rapiti da Topo Gigio e da mago Zurlí.
   Quella mattina, dunque, il canonico Pignataro mettendoci al corrente della novitá ci diede altri ragguagli. Il programma aveva come tema la riscoperta dei giochi di una volta, i giochi dimenticati, quelli che verosimilmente praticavano i nostri genitori e che nel tempo si erano persi. Ci disse anche che tutte le regioni italiane sarebbero state rappresentate e che per l´appunto Oppido era stata scelta per rappresentare la Calabria. Infine lui, il canonico, aveva pensato anche al gioco da riscoprire: l´astragalo, in dialetto “ u vizzari “. Era la prima volta che sentivo quel nome e come me anche i mie compagni di classe. Ma il canonico, vedendo quegli sguardi interrogativi ci venne incontro fugando ogni dubbio. “ Il vizzari “ - ci disse – non é altro che un ossicino del ginocchio del capretto ed ha quattro facce. I vostri genitori, oltre che giocare a calcio con la palla di pezza o al pilorgio e al gattuzzo, giocavano anche al vizzari, anzi era uno dei giochi piú diffusi. Oggi, invece, nessuno se lo ricorda piú. Ecco io vorrei che vi faceste insegnare dai vostri genitori come si gioca al vizzari e cosí quando verranno quelli della Rai voi sarete in grado di riproporre questo gioco ormai scomparso.Vi diró anche – continuó – che se andrete dal vostro macellaio a chiedere di estrarre e conservarvi un vizzari lui sará ben felice di farlo, ricordandosi di quando lo custodiva per i vostri genitori “.
   Uscito il canonico, la classe entró in subbuglio. Tutti a parlare dell´astragalo e, soprattutto, del fatto che saremmo finiti in televisione, nella tv dei ragazzi.

    Inutile dire che era tanta e tale l´agitazione che per alcune notti, non chiusi occhio. E per alcuni giorni non pensai ad altro. La prima cosa da fare era recuperare un vizzari ed imparare a giocare. Non fu difficile. Ciccio Ripepi, macellaio, era il fratello di mia nonna Nicolina ed avere prima degli altri l´ormai mitico osso fu un gioco da ragazzi. Anche impare il gioco fu abbastanza facile ed in questo mio padre mi fu d´aiuto. L´osso, nella fantasia dei ragazzi che in mancanza d´altro si erano inventati il passatempo, aveva quattro facce. Ad ogni faccia avevano dato un nome. Una era il re, la seconda mazza, la terza corpa e la quarta nulla. Si tirava a turno a mo’ di lancio del dado e a seconda del verso in cui l´osso si posizionava, il lanciatore assumeva il ruolo. A corredo del gioco vi era un fazzoletto con un grosso nodo in cima: serviva per la punizione. Il re decideva quanti colpi bisognava dare a chi aveva preso il lato “ corpa “, mazza eseguiva e nulla stava a guardare. Era sempre il re a decidere la punizione che consisteva in un determinato numero di colpi sul palmo della mano dell´avversario che peró poteva rifarsi subito dopo se lo scettro fosse toccato a lui. I colpi potevano essere dieci, venti o trenta a seconda della bontá del re. Dopodiché il gioco ricominciava e si andava avanti fino a quando non sopraggiungeva la noia e la voglia di cambiare.
   Qualche settimana dopo sapevo tutto o quasi sul “vizzari”. Avevo spulciato alcune enciclopedie e scoperto che quello degli astragali era un gioco nato probabilmente in Asia Minore e diffusosi in Grecia. Da li il gioco era passato alla Magna Grecia e poi a Roma conservandosi fino ai primi del 900.Numerose erano le varianti ed i modi di giocare e quello arrivato in Calabria era, forse, il piú cruento.
   Con tutte le informazioni in mano avevo preparato una breve relazione che, pensavo, poteva tornarmi utile durante le riprese.
   Devo dire che i compagni di classe, passato l´entusiasmo dei primi giorni, presero sottogamba la cosa e dopo qualche settimana si dimenticarono della Rai e del vizzari e tornarono alle abituali occupazioni. Lo stesso non fecero le ragazze delle altre terze(non c´erano ancora le classi miste),che non presero sottogamba la cosa anzi, pur sapendo che quello dell´astragalo era un gioco per maschi, almeno cosí ci avevano detto gli anziani ,sotto la spinta della professoressa Anna Conte si informarono talmente bene da diventare poi le protagoniste del programma.
   Intanto passavano i giorni, passavano i mesi e di questi della Rai nessuna notizia. Avevo perso ogni speranza quando, un giorno del mese di maggio, il solito canonico girando per le classi ci diede la grande notizia: “ Ragazzi la prossima settimana arriva la Rai. Resteranno ad Oppido per una settimana per girare il programma sull´astragalo. Siete pronti “?
   Pronti? Prontissimi, direi. O meglio i pronti eravamo io e Andrea Spina. Gli altri non ci avevano creduto piú di tanto e si erano autoesclusi. C´erano peró le ragazze e con loro bisognava entrare in competizione.

    Arrivarono una decina di persone con auto e furgoni, una cosa mai vista in cittá dai tempi della tragedia del ferragosto 66. Per una trasmissione che sarebbe durata una decina di minuti si era presentato un mezzo esercito. Quanti ne servono oggigiorno per girare una fiction in piú puntate. Ma allora era cosí. Si registrava in pellicola ed era come girare un film. Ricordo i preparativi nei due, tre posti dove si sono svolte le riprese. Era un vero e proprio set cinematografico e bisognava comportarsi come dei veri attori. La produzione aveva individuato i luoghi dove sarebbero avvenute le riprese: in campagna, nel giardino della villa del Commendatore Mazzitelli e in un angolo di strada nei pressi della scuola elementare, proprio di fronte al costruendo cinema teatro. Ogni scena aveva bisogno della sua luce e in ogni set si giravano piú volte le stesse scene. In sede di montaggio avrebbero scelto la migliore. C´era il regista, con la sua immancabile poltrona e c´era l´omino del ciack: “ l´astragalo e gli ossicini” - gridava – “scena terza”.
   Vi erano poi i tecnici del suono che registravano le nostre voci in presa diretta con un microfono attaccato ad una lunga asta: la mitica giraffa. Gli operatori, con le loro enormi macchine da presa fissate su enormi cavalletti di legno. Insomma fu una settimana di una intensitá straordinaria e per me, che sognavo la televisione di notte e di giorno, furono sette giorni di gioia incontenibile. Una gioia che sarebbe continuata nell´attesa di potermi rivedere in tv e insieme a me rivedere i miei amici e la mia cittá. Ecco era piú forte l´attesa di vedere Oppido in televisione che quella di rivedere me stesso.
    Qualche tempo dopo, ad annunciare il programma fu il RadiocorriereTv, il periodico della Rai che conteneva i programmi televisivi della settimana ed i servizi che ad essi venivano dedicati. Vi era, naturalmente, anche Uno alla Luna con un paio di foto di noi ragazzi mentre giocavamo. La puntata era stata intitolata L´Astragalo e gli Ossicini.
   Superfluo dire che quando arrivó il grande giorno il paese era tutto davanti alla tv. In giro non c´era un´anima, come per una finale della nazionale di calcio. Io vidi la trasmissione insieme ad Andrea in casa di amici comuni, compagni di classe, che non avendo creduto fin dall´inizio a quanto il canonico Pignataro ci aveva annunciato, ora soffrivano maledettamente a non vedersi in televisione.
    Fu una giornata storica, sia per Oppido che per noi piccoli protagonisti, osannati dalla gente e complimentati per quello che avevamo fatto e detto.