domenica 22 ottobre 2017

“NDRANGHETA ? LA CHIESA DEVE DENUNCIARE IL MALE “


 di Bruno Demasi

     Agli occhi e alle orecchie dei benpensanti un’ espressione come questa forse è tollerabile solo se lanciata dal Papa o dagli organi ufficiali della C.E.I. Se invece è ripresa e borbottata timidamente da qualche laico, alte si levano le strida delle vestali dello status quo sociale ed ecclesiale nel quale tutto deve restare com’è al di là delle dichiarazioni di principio o delle fumose omelie ( laiche ed ecclesiali) in cui ci si scaglia contro tutti e contro tutto per non colpire nessuno, stendendo sulle nudità doloranti della gente oppressa da un ordine mafioso evidente a tutti i livelli il pietoso lenzuolo dell’ipocrisia secondo il quale la Chiesa è madre di tutti, ndranghetisti compresi.
     Eppure quella che ho ripreso nel titolo  è un'espressione usata qualche giorno fa da un vescovo calabrese, Mons. Oliva, vescovo di Locri-Gerace, in occasione della giornata di preghiera per la conversione dei mafiosi da lui indetta e celebrata al santuario della Madonna dello Scoglio a Placanica. Un evento passato in terzo o quarto ordine dai media locali, gran parte dei quali ormai asserviti allo strapotere ndranghetistico dei colletti bianchi bruzi. Un evento che nella sua semplicità ci detta almeno quattro elementari riflessioni:

  • il "male" di cui parla il vescovo Oliva non è necessariamente un fatto di sangue o l'antefatto mafioso, ma tutto ciò che riguarda i linguaggi, verbali ed iconici, i messaggi, le frequentazioni, le consuetudini mafiose che avvelenano i rapporti interpersonali e inibiscono lo sviluppo sociale e civile;
  • il fatto stesso che una chiesa locale , quella della Locride, organizzi e celebri una “giornata di preghiera” contro lo stile di vita mafioso implica il riconoscimento chiaro che da questa malapianta hanno origine i mille mali della Calabria e, per stretta conseguenza, della chiesa stessa;
  • ci si chiede, di rimando, perché tra le mille “giornate” e le mille bomboniere senza senso celebrate dalle chiese locali non si solennizzi una giornata analoga in tutte le diocesi e in tutte le parrocchie;
  • il vescovo di Locri-Gerace non parla evidentemente a nome proprio, ma di tutta la chiesa di Calabria: se è questa la posizione della chiesa calabrese ( e lo è) non si comprendono le mille reticenze di cui è protagonista ai vari livelli il mondo ecclesiale calabro che, preso dalle proprie ritualità, dai propri inviti, dalle proprie alleanze, dai propri libri mastri, non trova il tempo per pronunciare almeno due parole nette e chiare contro la mentalità mafiosa che tutto inquina e tutto divora quotidianamente. 
 
 Se poi  il vescovo di Locri- Gerace aggiunge che : “Occorre perseguire tutte le vie, anche quella della preghiera, per sconfiggere la ndrangheta. Non è possibile piegarsi ad essa né assuefarsi alla mentalità mafiosa” ci si ritrova davanti a un' espressione ancora più provocatoria della prima: l’assuefazione alla mentalità mafiosa si respira e si succhia con il latte materno nelle case di Calabria e sono poche, pochissime le parrocchie di frontiera in cui lo stile ecclesiale partecipativo e inclusivo, aperto al dialogo, ma inflessibile nella denuncia, impedisce di piegarsi e di far proprio, anche nella banalità quotidiana,  lo stile mafioso ormai imperante.