di Bruno Demasi
Era
giunto in Diocesi nel maggio del 2000
dopo un’altalena di si e di no, per il suo ingresso canonico nella cattedrale
oppidese, che si era protratta per circa tre mesi, durante i quali a Oppido, per i noti motivi (ed evidentemente anche per molti altri meno noti) era successo di tutto e alla fine,
con la mediazione di alcuni, si era
trovata, come estremo ripiego, la decisione di accogliere come si conveniva il nuovo
vescovo che, da parte sua, assicurava di
mantenere la residenza ufficiale a Oppido, per poi domiciliarsi di volta in
volta dove i suoi impegni pastorali lo avrebbero maggiormente chiamato.
Trovò
una diocesi stremata dalle divisioni, dai sospetti e soprattutto dai dissidi
profondi che si erano creati anche all’interno del clero. Ne era più che consapevole e preoccupato, ricordo,
quando , circa due mesi prima dell’ingresso, incontrò un gruppo di cittadini oppidesi nel seminario di Catanzaro, dove giunse da
Bari a bordo della sua polverosa utilitaria bianca mostrandoci subito quell’habitus
di rigore, umiltà e sobrietà, che insieme a una concezione
asciutta e seria del fatto di Fede, avremmo sperimentato per oltre un decennio e
che sostanzialmente costituiva l’aspetto e il nervo di tutta la sua azione, direi sacerdotale prima ancora che episcopale.
Si usciva, anzi si cominciava
faticosissimamente ad uscire, da una palude pastorale e gestionale nella quale
si era precipitati almeno da
quando il suo buono, ma contraddittorio e ingenuo, predecessore era
stato chiamato (la prima, la seconda o la terza volta?) ad altra sede per
motivi o scelte, sue o di suoi superiori, che non sta a noi indagare o giudicare.
Mons. Bux, dopo le concitate corrispondenze
anche epistolari e telefoniche che precedettero il suo arrivo in Diocesi,
decise di agire usando indubbiamente tutti gli strumenti che la sua esperienza
e la sua fede gli mettevano a disposizione, ma uno fra tutti divenne il più
usuale ( e non sempre efficace) per
stemperare rancori e animosità, per tentare di spazzare pigrizie e intrighi,
soprattutto per ridare decoro alla Diocesi sul piano vocazionale: il silenzio. Accompagnato
sicuramente dalla preghiera. E nel silenzio ha investito quasi tutta la sua
azione pastorale nella formazione dei nuovi sacerdoti, consapevole forse del
fatto che per ripartire sul serio occorreva dotarsi di nuove leve e di nuovi quadri.
Scelta efficace? Io almeno cerco di augurarmelo e gli
chiedo, da quel luogo di pace che sicuramente ha raggiunto due giorni fa , di
intercedere direttamente presso Dio affinchè ciò avvenga.
Di
sicuro comunque ha esercitato con grande entusiasmo il grande
carisma di guida e lievito di carismi.
Ricordo che la prima e ultima volta che lo
incontrai direttamente ( non conto infatti le varie occasioni più o meno
ufficiali di incontri e
manifestazioni scolastiche di alto
spessore formativo , anche alla legalità) fu quando mi recai a Palmi nel suo ufficio per
cercare di tamponare e di mettere ordine in una situazione di nomine di
insegnanti di Religione che il suo ufficio scuola aveva complicato e che
comunque aveva più o meno scontentato tutti. Mi accolse in modo sereno e
cordiale. Affrontammo in qualche modo il problema per il quale mi ero recato da
lui e ne approfittai per domandargli
prima di salutarci, come mai , a distanza di quasi sette anni dal
suo ingresso in Diocesi, non avesse mai rivolto al popolo della Piana, una lettera pastorale, un rigo, qualcosa
insomma che facesse sentire vicino il
Pastore al proprio popolo. Mi rispose che preferiva parlare nelle omelie alla
gente piuttosto che inondarla di scritti e di disposizioni, perché
di carte ce n’erano fin troppe, tanto che – aggiunse ridendo – “ Et verbum carta factum est…!”.
E le sue omelie – tutte rigorosamente a
braccio – erano stupende, dei piccoli capolavori
di concisione, rigore teologico, dolcezza e sintesi: entravi nelle sue
celebrazioni magari col cuore in
tumulto e ne uscivi in pace con te stesso…
Avrei voluto anche chiedergli perché avesse tollerato che venisse quasi smembrato il seminario di Oppido aprendone una
succursale altrove, perché… perché…perché…, ma non ne ebbi il coraggio
vedendogli spuntare le lacrime alla vista della piccola icona che gli avevo
portato in dono e che rappresentava la “sua”
vergine Oidigitria di Bari.
Volle ricambiare con un suo minuscolo
libricino, credo l’unico suo libro o uno dei pochissimi, stampato – mi disse – da poco. Piccolissimo. Solo
a casa, più tardi, mi accorsi quanto invece è grande quell’opera che canta e
spiega, esalta ed illustra, illumina ed incensa il mistero della Divina
Eucarestia.
Con la raffinatezza del teologo consumato e
lo stupore di un fanciullo…!