di Bruno Demasi
Era il 1996 quando il comune di
Scido insieme con quelli di Oppido Mamertina, Santa Cristina d’Aspromonte e
Platì, nei cui territori ricadeva e ricade l’ex sanatario antitubercolare di
Zervò con i suoi annessi, decideva di concedere gratuitamente alla Comunità
Incontro dell’allora “don” Pierino Gelmini , scomparso in questi giorni, l’importante e grandissima struttura
da poco tempo restaurata con enorme impiego di denaro pubblico.
Si gridò da tutte le parti con entusiasmo al
miracolo che avrebbe compiuto sull’Aspromonte questo uomo che era riuscito dal
niente a creare un vero e proprio impero della carità sotto forma di recupero
dei tossicodipendenti, e non solo in termini di accoglienza, ma anche in
termini di creazione di un vero e proprio baluardo contro la ndrangheta .
Nell’immaginario collettivo infatti la vecchia struttura dell’ex sanatorio, sia
prima sia dopo gli onerosissimi lavori di restauro costati alla collettività un
mare di soldi, era quasi una succursale del santuario di Polsi in termini di
improbabile rifugio di filibustieri e ricercati di ogni risma, picciotti di
giornata, capi , vicecapi e sottocapi della grande costellazione
ndranghetistica posta a cavallo del Tirreno e dello Ionio. La presenza della
Comunità Incontro – si diceva – avrebbe debellato questa piaga cancerosa che
invece da un pezzo aveva ormai
lasciato i contrafforti aspromontani per vivere
agiatamente nei grandi centri costieri e nelle grandi città.
Quanta retorica, ricordo, per giustificare e
rendere credibile un insediamento, un’operazione politico-culturale in sé
discutibilissima, ma ammantata da tanto buonismo quanto votata a una “missione”
di recupero che di fatto in questi diciotto anni non ha coinvolto in alcun modo utile, se non
di striscio, i paesi della Piana, alla cui estrema propaggine di S-E, su una
plaga montana coperta di faggete, abetaie e pinete lussureggianti si tornava a insistere su un
nuovo miracolo dell’industria della carità dopo il bluff pauroso che alcuni
decenni prima aveva registrato la retorica trombona di un sanatorio
antitubercolare. Un ospedale , quello, che per la peculiarità del clima molto
umido non solo non curava i malati , ma li uccideva, riempiendo in pochi anni i
cimiteri di Santa Cristina e Piminoro di cadaveri dimenticati e – dopo il
repentino abbandono delle sue strutture – le case di questi stessi paesi e di
altri, di coperte , lenzuola ,stoviglie e derrate rubati
nottetempo, che seminarono a
loro volta, con una diffusione incontrollata del bacillo di Koch, malattia e morte in centinaia di famiglie…
Gelmini
prometteva il sole radioso della rinascita etica e sociale sui monti, dove ogni
Ferragosto celebrava con la consueta corona di politici compiacenti, di amici,
amici degli amici e di tantissima gente sempre disponibile a spellarsi le mani
davanti a chi urla e promette di più, la sua coreografica messa tra i faggi. In
essa egli non trascurava quasi mai di indossare i sontuosi e scenografici
paramenti del suo rango di esarca mitrato della Chiesa cattolica greco-melchita carica
corrispondente più o meno a quella di vescovo della Chiesa Cattolica romana.
Da
quest’ultima egli era stato ordinato sacerdote nel lontano 1948, ma in essa ,
secondo i malevoli, si era stufato di aspettare invano una “promozione” a un
rango pastorale superiore che non arrivava mai, tanto da decidersi a tuffarsi
nella confessione melchita, che pur restando di obbedienza a Roma, risultava
ben più accogliente e forse anche più accomodante.
Gli
stessi sontuosi paramenti culminanti in una pesante tiara che lo faceva spesso barcollare egli amava indossare
con effetti vagamente comici allorquando, invitato più volte a celebrare la
messa e a presiedere la processione della Madonna Annunziata nel mese di
agosto, si recava a Oppido con pochi giovani ospiti della sua comunità di
Zervò,
ostentando quasi una sgradevole forma di sfida larvata nei confronti del
vescovo titolare della Diocesi, che per (discutibile) principio partecipava
testardemente solo alla processione dell'Annunziata di marzo e non a quella estiva del
Ringraziamento.
Negli
ultimi anni, dopo che venne investito dalle note accuse scandalistiche e decise
nel 2008 di essere ridotto allo stato laicale ( si disse per poter anche
continuare a gestire l’immenso patrimonio di finanze, di strutture e di
esperienze che aveva creato) cominciò ad appoggiarsi per le sue liturgie
plateali, anche a Zervò, all”esule” e anziano vescovo siriano melchita Hilarion
Capucci che aveva trovato in Gelmini e nelle sue case il rifugio sicuro e amico
per un’accoglienza senza riserve.
Capucci era stato appena vescovo ausiliare presso l' archieparchia melchita di Gerusalemme e si era
Capucci era stato appena vescovo ausiliare presso l' archieparchia melchita di Gerusalemme e si era
dichiarato
sempre oppositore politico dello stato israeliano , allineandosi apertamente
alle posizioni dei Palestinesi Nel 1974 era stato arrestato dalla polizia
israeliana per contrabbando di armi: a bordo della sua mercedes infatti egli
stava introducendo in Cisgiordania dal Libano, fucili automatici, esplosivo
TNT, bombe a mano , pistole e varie munizioni. Un tribunale israeliano lo
dichiarò colpevole di servirsi del suo status di diplomatico per rifornire di
armi l' Esercito dell'OLP e lo condannò a dodici anni di reclusione. Da quel
momento l’OLP e molte altre forze diplomatiche simpatizzanti con quest’ultima
brigarono per la sua liberazione, che avvenne solo quando Papa Paolo VI si
assunse la responsabilità di ospitarlo in un monastero occidentale garantendo
personalmente a che il medesimo non nuocesse più in alcun modo agli interessi
di Israele e della Pace. Capucci fu liberato e giunse a Roma, ma pochi mesi
dopo, violando i patti e tradendo la fiducia di quel galantuomo di papa Paolo
VI, fece ritorno clandestino in Medio Oriente, dove non mancò di partecipare a
riunioni ufficiali dell’OLP o di elogiare pubblicamente l’ayatollah Khomeini.
La sua amicizia con Pierino Gelmini risale al periodo in cui egli era al centro
di queste tumultuose vicende non esattamente dettate da spirito improntato al
pacifismo non di parte…
Ricordo
che nell’agosto (2008 o 2009) il clero oppidese ancora una volta si recò
implorante in montagna e bussò alla
porta di Gelmini per averne la preziosa presenza durante la festa
dell’Annunziata. Gelmini, ormai ridotto allo stato laicale, propose qualcosa di
più e di meglio, promettendo che per l’occasione avrebbe fatto arrivare a
Oppido il “vescovo di Gerusalemme”. La gente si aspettava il top
dell’importanza e alla messa che precedeva la processione serale, la cattedrale
era gremitissima più che mai. Fece l’ingresso dal portone
centrale Capucci con
veste talare e copricapo nero, accompagnato da un Gelmini abbigliato in anonimo
vestito scuro e la gente pensò che l’applauso che venne lanciato dal
presbiterio fosse rivolto solo a Gelmini, in quanto il “vescovo di Gerusalemme”
ancora doveva arrivare… Capucci ebbe il buon gusto di non celebrare la messa,
ma accettò di buon grado di tenere l’omelia, nella quale si impappinò sovente
in discorsi pericolosamente altalenanti tra qualche timido e sparuto spunto
teologico- evangelico e ragionamenti di politica internazionale improntati a
forme di pacifismo tutte proprie… Era ormai chiaro che era lui il “Vescovo di
Gerusalemme “ tanto decantato, ma ancora moltissima gente , sentendolo
predicare, domandava al vicino di banc: “
…ma d’undi cumparìu stu monacu?”
Oggi della Comunità Incontro a Zervò restano
solo macerie, o quasi, tra cui una costosa torre campanaria in metallo, dalla
sommità della quale Gelmini vantava di poter vedere le gru e le luci del porto
di Gioia Tauro, ma dalla quale al massimo si può osservare più o meno da vicino
il nido di qualche allocco.